Robert Wilson - Memorie di domani

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Per cercare una via di scampo a un tragico passato, Raymond Keller acconsente a diventare un Occhio, ovvero un volontario che accetta di farsi impiantare nel cervello un perfetto impianto di registrazione. In tal caso non potrà più guardare dove vorrà, ma solo dove è necessario per vedere, registrare, documentare. E così dimentica il proprio passato, il presente, il futuro. Finché incontra Teresa, la meravigliosa ragazza che è anche una splendida artista. Una donna preda delle violente allucinazioni indotte dai gioielli sognanti seminati in epoche remote da una razza di extraterrestri, e che hanno proprietà ancora non completamente esplorate dalla razza umana. Occorre qualcuno che abbia rinunciato a sé per poter penetrare un segreto tra i meglio custoditi dell’universo.

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Un mese più tardi, Wexler le aveva detto di aver organizzato un acquisto, non in Oriente ma in Brasile, a Pau Seco, proprio dove si trovava la miniera. Era una mossa dispendiosa e poco ortodossa, ma ne valeva la pena. La nuova pietra avrebbe contenuto tutte le risposte, la saggezza misteriosa, la gnosi finale. Teresa fu contagiata dal suo entusiasmo.

Aveva solo bisogno di un corriere, spiegò Wexler. Una persona incensurata, che non avesse contatti troppo stretti con lui.

Byron rimase di stucco quando Teresa si offrì volontaria. — Tu non ne sai niente… Cristo, a che cosa pensavi quando gli hai detto che saresti andata laggiù?

— Non capisci. Io ho bisogno di andare. — Erano ore che camminavano su e giù per i canali, accanto alle bancarelle galleggianti riparate dalle tende, con il sale che luccicava sui camminamenti sotto una fila di luci al vapore di sodio. Teresa lo prese per mano, intuendo che era davvero spaventato per lei e che il suo bizzarro e tormentato amore era più vivo che mai. — È molto importante per me. Non posso rinunciare a questa possibilità.

— Vengo con te — disse lui.

Lei acconsentì, perché Byron conosceva il luogo dove sarebbero andati e perché la sua intuizione poteva rivelarsi corretta. Forse l’impresa non era così semplice come aveva promesso Wexler. Acconsentì anche quando Byron decise di portare con loro l’Angelo della Rete, Raymond Keller, altro veterano. Ma le sue concessioni si erano fermate lì.

E così erano in Brasile.

Solo una finestra la separava da Pau Seco. Poteva sentirne l’odore. Avvertiva la vicinanza di quegli oggetti antichissimi, le pietre venute dalle stelle, frammenti dispersi sottoterra. Ma la miniera era un luogo vasto e orrendo, che aveva frantumato le sue speranze. Aveva rischiato la sua vita, pensò tristemente, insieme a quella di Byron e di Keller, per una voce che sentiva nella mente. Per un semplice sogno.

Per la sensazione di essersi persa. Una sensazione che provava da anni, da tutta la vita.

Aveva paura di mettersi a dormire. Ripensare alle minuscole pillole nere, le encefaline sintetiche, aveva risvegliato il vecchio desiderio. Se ne avesse avuta una, pensò, l’avrebbe presa. Ed era un’idea infida e pericolosa.

Fissò il cielo senza stelle oltre i vetri e si augurò che spuntasse presto l’alba.

9

Stephen Oberg rimase perplesso quando incontrò il responsabile della sorveglianza militare di Pau Seco. L’uomo era un massiccio brasiliano dell’entroterra, con occhi scuri e un profondo senso della territorialità. Si presentò come Maggiore Andreazza e offrì a Oberg una sedia dallo schienale stretto e scomodissimo. Il suo ufficio si affacciava sull’ampia valle della miniera. Lui si accomodò in un’elegante poltrona girevole dietro la sontuosa scrivania.

— Grazie — disse Oberg.

Andreazza lo guardò come da lontano. — Dovete dirmi perché siete venuto fin qui — dichiarò.

E così Oberg dovette rispiegare tutto un’altra volta. Le potenze dell’Anello del Pacifico erano ansiose di assicurarsi che gli oneiroliti di profondità non cadessero nelle mani di persone poco sicure. A tal fine, le organizzazioni di sicurezza avevano intensificato i controlli negli istituti di ricerca in Virginia, a Kyoto e a Seoul. Tuttavia, un informatore vicino allo scienziato americano Cruz Wexler aveva avvertito l’Organizzazione che si premeditava un asporto proprio lì, a Pau Seco. Oberg era venuto per impedirlo.

Andreazza girò la poltrona verso la finestra. — Noi stessi siamo già molto impegnati con i controlli — fece notare.

— Lo so. — Con i fucili, pensò Oberg, le intimidazioni e le esecuzioni pubbliche. Solo l’anno prima c’erano state parecchie impiccagioni a Pau Seco. Eppure… Cercò le parole. — I controlli non sono stati abbastanza rigorosi.

Andreazza alzò le spalle. — Le formigas vengono perquisite ogni sera, quando lasciano la miniera. Abbiamo informatori nei recinti di lavoro. Non vedo che cosa potremmo fare di più.

— Non intendo criticare i vostri sforzi, Maggiore. Sono sicuro che sono encomiabili. Voglio solo localizzare tre americani. — Aprì la valigetta, ne estrasse le fotografie che aveva ottenuto dai funzionali della SUDAM e le fece scivolare sulla scrivania di Andreazza.

Il maggiore diede loro una rapida scorsa. — Se sono qui — commentò — dubito che siano ancora così puliti.

— Sappiamo che hanno un contatto nella città vecchia — insisté Oberg. — Qualcuno che probabilmente li ospita.

— Noi controlliamo la miniera — precisò Andreazza. — In qualche modo controlliamo anche le baracche, si capisce; ma non sopravvalutateci, signor Oberg. Fuori dal recinto vivono duecentocinquantamila persone. La città vecchia è nel caos. Senza nemmeno un nome, c’è un limite a ciò che possiamo fare.

— Abbiamo il nome — ribatté Oberg.

— Davvero?

— Il nome è Ng.

— Capisco — disse Andreazza, annuendo.

Pranzarono insieme al commissariato militare. Oberg era ansioso di continuare il suo lavoro, l’urgenza gli rendeva l’attesa insopportabile, ma Andreazza l’obbligò a rispettare il protocollo della buona educazione. Il cibo, era ovvio, risultò disgustoso.

— Oberg — disse Andreazza a un certo punto. — Stephen Oberg. Lo sapevate che c’era un Oberg qui, durante la guerra? Apparteneva ai Reparti Speciali, penso. Rase al suolo un certo numero di villaggi a ovest di Rio Branco. Fu uno scandalo. Uccise centinaia di donne e bambini. — Sorrise. — Così almeno raccontano.

— Non lo sapevo — rispose l’altro con disinvoltura.

— Già — concluse Andreazza, in tono pensoso.

10

Il giorno fissato, Roberto Meirelles si svegliò prima dell’alba, con il presentimento che qualcosa stesse andando storto. Il problema era uno solo: portare a termine l’affare, oppure no?

Dormiva su un letto di legno nella sua baracca in una valle vicina alla città vecchia di Pau Seco. Una pessima sistemazione. La maggior parte delle acque di scolo della città scorrevano proprio accanto alla baracca, in un torrentello fangoso e puzzolente che oltrepassava altre abitazioni altrettanto squallide e andava a perdersi in un boschetto reso verdissimo e rigoglioso da quella ricchezza di concime naturale. Tutto ciò che Meirelles possedeva si trovava nella baracca: due T-shirt cachi scolorite, due paia di pantaloni da lavoro, un materasso, una fotografia della moglie e della figlia.

E la pietra.

Quella mattina, già nervoso ma ben deciso a non pensare alla giornata che l’attendeva, tolse la pietra esotica dal nascondiglio che le aveva creato, una fessura del materasso da cui aveva estratto un pugno di imbottitura, e la guardò con aria grave alla luce di una lampada a batteria.

Tu sarai la mia fortuna , pensò. Oppure la mia morte.

Prese la pietra con cautela. Nel tempo aveva imparato a conoscerne le sfumature. Sospesa come ora nel palmo aperto della sua mano, generava solo un impercettibile brivido di timore, un’eccitazione sottile che sembrava tramutarsi in una sensazione fisica, appena dietro gli occhi. Se l’avesse stretta con forza tra le dita avrebbe cominciato a funzionare. Avrebbe prodotto le visioni; visioni di posti così incredibili e lontani che Meirelles non riusciva nemmeno a immaginare dove si trovassero. Oppure, più spesso, visioni di casa sua.

Meirelles aveva saputo che gli oneiroliti erano venuti da un altro mondo, che avevano viaggiato per uno spazio inimmaginabile. All’inizio se ne era meravigliato, ma ora la cosa non gli sembrava più tanto strana o stupefacente. Era un dato di fatto, e i fatti diventano più accettabili, con l’abitudine. Ciò che per lui rendeva la pietra stupefacente, e preziosa, era la sua capacità di fargli rivivere i ricordi della moglie e della figlia a Cubatao. Con un po’ di fortuna, pensava, quella stessa pietra gli avrebbe permesso di arricchirsi e di tornare da loro.

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