Robert Wilson - Memorie di domani

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Per cercare una via di scampo a un tragico passato, Raymond Keller acconsente a diventare un Occhio, ovvero un volontario che accetta di farsi impiantare nel cervello un perfetto impianto di registrazione. In tal caso non potrà più guardare dove vorrà, ma solo dove è necessario per vedere, registrare, documentare. E così dimentica il proprio passato, il presente, il futuro. Finché incontra Teresa, la meravigliosa ragazza che è anche una splendida artista. Una donna preda delle violente allucinazioni indotte dai gioielli sognanti seminati in epoche remote da una razza di extraterrestri, e che hanno proprietà ancora non completamente esplorate dalla razza umana. Occorre qualcuno che abbia rinunciato a sé per poter penetrare un segreto tra i meglio custoditi dell’universo.

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Esaminò i pezzi in vendita in quei luoghi circondati dalla terra. Pitture su cristallo, sculture in gesso o in materiale di scarto. Per la maggior parte provenivano dalla Città Galleggiante ed erano considerate espressione artistica popolare, a giudicare dai commenti della gente. Alcuni pezzi erano veramente belli, altri meno, ma Teresa si rese conto con una certa sorpresa che la sua insegnante aveva ragione. Non c’era niente che non sapesse fare anche lei. Le mancavano gli arnesi per portare a termine alcuni dei progetti che aveva in mente, ma i lavori già eseguiti con pezzi di metallo racimolati qua e là erano buoni almeno quanto la metà di quelli che aveva visto nelle vetrine. Era la sua occasione, pensò. Due settimane più tardi ritornò in terraferma con tre dei suoi pezzi. Scelse una galleria che si chiamava "Arte di Mare" e mostrò i lavori alla proprietaria, una donna poco più giovane di Rosita. La signora Whitney, così si chiamava, all’inizio si mostrò scettica, ma cambiò idea quando Teresa tolse la tela cerata con cui aveva protetto le sculture. La donna spalancò gli occhi, molto colpita, poi li socchiuse. — Un’esecuzione molto matura, per una ragazzina della tua età — commentò.

— Li comperate? — chiese Teresa.

— Noi vendiamo su commissione. Ma posso offrirti un anticipo.

Era un’elemosina, come Teresa ebbe modo di imparare più tardi. Una cifra ridicola. Eppure era la più grossa quantità di denaro che avesse mai visto in una volta sola.

La portò a Ruy e gliene offrì la metà. Lui le diede tante pillole da riempire entrambe le mani aperte a conchiglia.

Quella notte Teresa ne prese due.

Sollievo. Fluiva attraverso di lei come un fiume. Razionò le pillole a una ogni notte, per farle durare, e nel tempo libero iniziò a lavorare a un’altra scultura da portare alla signora Whitney. La donna gliela pagò il doppio, e fu un bene, perché anche le pretese di Ruy avevano cominciato ad aumentare. Teresa pagò, ma cominciò a odiarlo. Ruy era diventato all’improvviso molto importante per lei, tanto che prese l’abitudine di osservarlo con attenzione. Il ragazzo camminava con aria spavalda su e giù per i pontoni, con il bacino proteso in avanti. — Muy macho - commentava Rosita quando lui ostentava quelle pose anche in casa, ma non c’era più nessuno in grado di fargli cambiare atteggiamento. Stazionava con i ragazzi della sua risma vicino alle pareti della darsena coperte di graffiti; Teresa lo aveva visto spesso vendere le pillole nella zona. Un pomeriggio, rosa dal rancore, marinò la scuola e lo seguì da lontano, fino a una piccola baracca a metà strada verso la terraferma, nella parte nord della Città Galleggiante. Aveva l’aspetto di un distributore di benzina e riversava gli scoli nelle acque putride del canale sottostante. Ruy entrò nella baracca con il portafoglio in mano e ne uscì con un sacchetto di carta rigonfio.

Teresa raccolse tutto il proprio coraggio, e quando fu certa che Ruy se n’era andato, andò a bussare a quella porta.

L’uomo che venne ad aprire era vecchio, magro e con gli occhi infossati. La scrutò a lungo e poi, muovendo a fatica le labbra aride, domandò: — Che cosa diavolo vuoi?

— Delle pillole — rispose lei, ormai in preda al panico.

— Pillole! Che cosa ti fa credere che ne abbia?

— Ruy… è mio fratello — spiegò Teresa, disperata.

L’espressione dell’uomo si addolci. — Bene — commentò. — La sorellina di Ruy ha deciso di tagliar fuori l’intermediario. — Annuì. — Ruy si piscerebbe addosso, immagino, se sapesse che sei qui.

— Posso pagare — disse lei.

— Dimmi che cosa vuoi.

Teresa descrisse le capsule rosa e gialle.

— Capisco — brontolò lui. — Se vuoi proprio quelle… Ma è uno spreco di denaro, se ti interessa la mia opinione. — Rovistò nel cassetto di una vecchia scrivania in fondo alla sua unica stanza, che sembrava ondeggiare in modo alquanto precario. Lei guardò senza oltrepassare la soglia. — Credo che queste ti piacerebbero di più.

Erano minuscole pastiglie dal rivestimento nero, raccolte in una busta di carta. Forse un centinaio. Teresa le guardò con espressione dubbiosa. — Fanno lo stesso effetto?

— Un effetto migliore. Non alleviano il dolore, capisci? Procurano la felicità.

Stordita, lei gli consegnò il denaro. Solo mentre compiva il lungo viaggio di ritorno le venne il dubbio di essersi fatta ingannare. Le pillole avrebbero anche potuto essere di zucchero. O di chissà quale altra porcheria. La notte, a letto, rimase a lungo incerta prima di decidersi a prenderne una. E se fossero state velenose? E se fosse morta?

Purtroppo, i rifornimenti ottenuti da Ruy si erano esauriti e lei non osava rubarle dal flacone di Rosita. Il bisogno fu più forte della diffidenza. Teresa inghiottì una pillola nera, prima che qualcosa le facesse cambiare idea.

Dal suo stomaco iniziò gradualmente a diffondersi una sensazione di piacere che in breve divenne assoluta. Non avrebbe mai potuto desiderare niente di più. Era la soddisfazione generata da un lavoro riuscito, dalla certezza di essere amati e, soprattutto, dalla possibilità di dimenticare. Sdraiata sul materasso, cullata dal lento ondeggiare dell’acqua, avrebbe anche potuto essere l’ultima persona al mondo. Amava quelle nuove pillole, pensò. Erano davvero migliori. Sì. E una era abbastanza. In principio, almeno.

La nuova soluzione le permise di vivere bene per mesi. I profitti di ciò che vendeva alla signora Whitney le permettevano di rifornirsi regolarmente. Aveva cominciato a prendere una pillola anche di mattina e passava nell’ozio giornate intere che a lei sembravano poche ore. Avrebbe potuto continuare in quel modo a tempo indefinito se non fosse stato per Ruy, che aveva scoperto ben presto di essere stato estromesso dal gioco, con conseguente perdita di guadagno, ed era venuto a conoscenza dei suoi accordi diretti con il fornitore. Il giovane si era vendicato mostrando a Rosita la scatola dove Teresa teneva le pillole, nascosta sotto un’asse del pavimento, sotto il letto. Tia abuela Rosita, irritata e ferita, aveva preso le pillole e le aveva buttate a una a una nelle condotte di scarico pubbliche. Teresa rimase così sconvolta nel vedere la sua riserva di felicità finire nelle fognature che, senza mostrare la minima emozione, impacchettò le sue cose, prese ciò che rimaneva del denaro guadagnato alla galleria, e se ne andò.

Diversi anni più tardi aveva cercato di ritornare, con l’idea di scusarsi con Rosita e di riconciliarsi con lei… ma l’atmosfera del quartiere si era molto deteriorata e la sua famiglia di adozione aveva cambiato zona. Se n’erano andati da un giorno all’altro, le aveva raccontato un anziano vicino, e nessuno sapeva che fine avessero fatto. A parte Ruy, naturalmente. Lui era rimasto ucciso in una rissa all’arma bianca.

Ma prima, lasciata la famiglia adottiva, Teresa aveva messo insieme uno studio di fortuna di fronte a Long Beach e dopo un po’ aveva scovato un altro fornitore di pillole nere. Venne a sapere che erano prodotti di laboratorio, encefaline sintetiche, molto potenti e in grado di creare una forte assuefazione. Ma questo non importava, lei non si sarebbe fatta trascinare. Sapeva quello che stava facendo. Cominciò a frequentare altri artisti della Città Galleggiante e capì che non era sola. Molti altri, come lei, dipendevano da sostanze chimiche, chi in un modo chi nell’altro. Alcuni usavano addirittura le pietre Esotiche, gli oneiroliti provenienti dalle miniere brasiliane. Ma quella era un’altra cosa, pensò. Troppo strana, non del genere che interessava a lei.

Non seppe mai dire il momento esatto in cui la faccenda le prese la mano. Il limite che aveva oltrepassato era invisibile. Stranamente l’assuefazione non interferì in modo negativo con il suo lavoro. Semmai, accadde il contrario. Era come se quel qualcosa dentro di lei che era capace di creare opere d’arte, venisse addirittura stimolato dalla droga, nello stesso modo in cui un albero che sta per morire produce fiori e frutti con più abbondanza.

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