Per un attimo, sperimentò un’ondata di ciò che gli psicologi dell’esercito chiamavano "depersonalizzazione", un senso di distacco da se stesso, una frattura. Per una frazione di secondo capì che l’orrore provato per le pietre aliene poteva essere puramente personale, una patologia, un disgusto di sé così profondo come quello dimostrato da Tavitch poche ore prima. Una fobia della memoria. Fissò il volto pallido e mite dell’uomo che gli sedeva di fronte e pensò: se tu avessi visto ciò che ho visto io… se tu avessi fatto le cose che ho fatto io…
Ma era una progressione logica che non poteva permettersi, e la scacciò dalla mente. Gli oneiroliti erano il Male. Non esisteva altra possibilità.
— Tentavo solo di chiarire la nostra posizione — disse il capo della squadra di ricerca.
— Capisco — replicò Oberg.
Emerse dal ricordo come da un brutto sogno.
In quel momento l’aereo descriveva un ampio cerchio, mentre il cielo cominciava a schiarirsi. Le guardie di pace erano quasi tutte addormentate. Oberg ebbe la sensazione di sentirla avvicinare, come la fonte di un virus, il centro di un’infezione. L’analogia gli sembrava molto appropriata. Prosperava come un virus, si insinuava nel corpo, o meglio nella mente, proprio come un virus. E, sempre come un virus, aveva i propri scopi. Che contrastavano con quelli umani.
Sbirciò fuori dal finestrino e osservò la polvere di Pau Seco, un velo pallido nella luce del mattino, alzarsi da un canyon nella giungla.
— Sembra un inferno — commentò Keller.
— È un inferno — confermò Ng, gaio. — Ma non avete ancora visto il peggio.
Erano arrivati dall’ampia autostrada proveniente da Cuiaba. Ng guidava un autocarro scassato carico a metà di carne surgelata. Era il suo lavoro diurno, spiegò. Riforniva le città dormitorio affollate di foraos speranzosi e di sfortunati formigas. Rendeva bene, disse. Non raccontò quale fosse il suo lavoro notturno.
Da Cuiaba il viaggio era piuttosto lungo. Teresa e Byron sonnecchiarono nel retro della grossa cabina, mentre Keller rimase seduto di fianco a Ng. Il vietnamita non sprecò molte parole, ma quelle poche bastarono a confermare i sospetti di Keller. L’uomo era stato un soldato e aveva fatto parte dei commandos vietnamiti impegnati nell’offensiva sull’Anello del Pacifico. Ray aveva sempre avuto un po’ di paura dei vietnamiti. Erano soldati scelti, selezionati alla nascita e addestrati nei grandi asili militari alla periferia di Danang. Il loro corpo era addestrato a produrre spontaneamente alte quantità di serotonina e di norepinefrina e tassi bassissimi di monoammina ossidasi. In altre parole, erano aggressivi e prepotenti, e ricercavano l’eccitazione a tutti i costi. Lo stile di guida di Ng ne era un esempio: troppo veloce, accompagnato da un sorrisetto fisso e tirato. E quando il vietnamita affrontò una curva, la manica gli scivolò sul braccio scoprendo una piccola doppia X azzurra disegnata sotto la pelle. Il tatuaggio di Danang.
Raggiunsero Pau Seco poco dopo l’alba. Keller scorse il pennacchio di polvere all’orizzonte piegarsi verso sud. — Pau Seco? — chiese. Ng annuì. Un’ora più tardi raggiunsero l’estrema periferia della vecchia città, ridotta a un esempio su grande scala della povertà endemica del Brasile. Su e giù per le colline a panettone le baracche si susseguivano senza sosta, tutte uguali, aggregati precari di lamiera ondulata, cartone e carta catramata. Keller osservò gli uomini emaciati che si raccoglievano sulla strada e che gli restituivano lo sguardo senza curiosità, mentre il grosso automezzo li oltrepassava.
— Formigas - spiegò Ng. — Minatori senza permesso, e a volte semplici osservatori. Vengono qui nella speranza che qualcuno li prenda a giornata per lavorare nella miniera. I garimpeiros sono i proprietari legali della terra. Assumono le formigas perché scavino al posto loro. Promettono una paga misera, o magari una percentuale sul guadagno. Sempre che il guadagno ci sia, alla fine. Ma questi poveracci sono in troppi, l’offerta supera la domanda. La maggior parte di loro passa la giornata nei recinti dei manovali, sperando che qualcuno ci lasci la pelle. È il modo migliore per trovare lavoro.
In quel momento raggiunsero un’altura e Keller vide per la prima volta la miniera.
Pau Seco, pensò. L’orrendo centro del mondo.
Ng condusse l’automezzo al riparo di un grosso edificio che funzionava da fornace e smontò, scrollandosi la polvere dai pantaloni. Condusse Keller sulla cima di una montagnola e indicò con un gesto d’orgoglio la fossa della miniera. — Ecco l’inferno — disse.
Avrebbe potuto esserlo davvero. Era una specie di canyon di fango rosso e di argilla bianca, così immenso che gli alberi sul bordo più distante sembravano grigi. Keller eseguì una panoramica professionale, da est a ovest, in modo da poterla utilizzare in sede di montaggio per il suo reportage. Era una ripresa grandiosa.
— Qui, una volta, c’era una pianura — spiegò Ng. — Una pianura coperta dalla giungla. Poi arrivarono i garimpeiros , gli stranieri e infine lo stato, a pretendere il suo venticinque per cento. Quando bruciarono tutti gli alberi le ceneri si sparsero nei dintorni per chilometri e chilometri.
Sembrava una scena tratta da un altro secolo. Formigas che si arrampicavano su per i pendii come formiche vere, nel clamore assordante degli arnesi meccanici e delle voci umane. Forse gli Atzechi avevano estratto così il loro oro, pensò Keller, e si sentì cogliere da un senso di vertigine, come di fronte a un abisso, non solo di spazio ma anche di tempo.
Ng abitava in una baracca nella città vecchia, con vista sulla miniera e sui recinti dei lavoratori. La città vecchia si svegliava di notte. Era, come spiegò lui stesso, un concentrato di bordelli, banche e bar. Ogni giorno, almeno due delle migliaia di garimpeiros presenti diventavano ricchi: la città esisteva proprio per prosciugarli di quelle ricchezze. Di tanto in tanto, si udiva qualche sparo.
Keller era seduto nell’anticamera di legno della baracca, beveva con cautela da una bottiglia di cachaca bianca e ascoltava Ng che spiegava in quale guaio si trovavano.
Il vietnamita parlava un inglese molto elementare, con una lieve inflessione americana. — Non conosco Cruz Wexler — disse, stringendosi nelle spalle. — Il suo nome non significa niente per me. Due mesi fa sono stato avvicinato da un uomo che ha detto di essere un ispettore e di lavorare per la SUDAM. Era un brasiliano. Aveva le credenziali della SUDAM, ed era ben vestito. Mi confidò che c’era un acquirente interessato a comperare una pietra di profondità e mi chiese di procurargliene una. — Si stirò, nello spazio consentito dai tre tiranti che tenevano la baracca ancorata al fango, ed esaminò un buco nella propria maglietta. — Be’, non è una cosa facile. La sorveglianza è molto stretta. L’uomo ha detto una cifra; la cifra era interessante, e così gli ho promesso che avrei fatto quello che potevo.
— È tutto sistemato? — chiese Byron, speranzoso.
— Dovreste avere la pietra domani. È meglio fare in fretta. Ma dovete capire… voi siete qui come corrieri, vero?
— Sì — confermò Byron. — Dobbiamo prendere la pietra e portarla fuori dal paese.
— Nessuno vi ha detto che può essere pericoloso?
— Abbiamo i documenti…
— Carta! — Ng scrollò la testa. — Se fosse così semplice, qualsiasi forao con un po’ di cervello riuscirebbe a uscirne vivo. — Sogghignò. — Il contrabbando è scarso perché c’è un rigido controllo militare. In pratica si può fare quasi tutto, nella città vecchia. Ma ci sono i militari. Loro hanno i fucili e sparano. Il reato di cui stiamo parlando è ufficialmente punibile con la morte. Cioè, con un’esecuzione sommaria. Un processo — concluse con un sorriso ironico — sarebbe davvero insolito.
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