Robert Wilson - Memorie di domani

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Per cercare una via di scampo a un tragico passato, Raymond Keller acconsente a diventare un Occhio, ovvero un volontario che accetta di farsi impiantare nel cervello un perfetto impianto di registrazione. In tal caso non potrà più guardare dove vorrà, ma solo dove è necessario per vedere, registrare, documentare. E così dimentica il proprio passato, il presente, il futuro. Finché incontra Teresa, la meravigliosa ragazza che è anche una splendida artista. Una donna preda delle violente allucinazioni indotte dai gioielli sognanti seminati in epoche remote da una razza di extraterrestri, e che hanno proprietà ancora non completamente esplorate dalla razza umana. Occorre qualcuno che abbia rinunciato a sé per poter penetrare un segreto tra i meglio custoditi dell’universo.

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Per arrivarci, aveva oltrepassato la collina dove si trovava la baracca di Ng, e proprio mentre guardava in quella direzione, due militari corpulenti gli erano passati accanto quasi correndo. Tramortito dalla paura, lui si era voltato a guardarli un’altra mezza dozzina di volte, mentre si facevano strada su per la collina, fendendo il buio con le luci elettriche ad alta pressione. Meirelles non aveva dubbi sul luogo cui erano diretti. Stavano cercando Ng. Sapevano il suo nome e dove viveva.

Il vietnamita poteva esserne al corrente oppure no. In entrambi i casi, pensò, era possibile che l’omino fosse ancora al bar. In attesa. Pronto a concludere l’affare. Lui pensò al denaro e si passò la lingua sulle labbra.

Ma se la polizia sapeva di Ng, rifletté, non avrebbe tardato molto a trovarlo. C’erano militari dappertutto. Magari ce n’erano anche al bar, ad aspettare che lo scambio venisse effettuato, e in questo caso lui rischiava di essere arrestato insieme al vietnamita. Oppure Ng progettava di appropriarsi della pietra senza pagare. Meirelles si sentiva impotente, ma sapeva che la pietra era la sua unica arma.

Chiuse gli occhi e spinse la porta con le spalle sospirando.

Dentro c’era soltanto la penombra consueta e il clamore delle voci. Il puzzo della cachaca e della birra a buon mercato lo fece vacillare, e la pressione di corpi caldi lo costrinse contro il muro. Era acutamente conscio della presenza della pietra sotto i vestiti. In pochi secondi i suoi occhi si abituarono alla luce tremolante della lampada e lui girò lo sguardo verso il tavolo d’angolo dove si era incontrato con Ng il mese prima. Il vietnamita lo stava aspettando.

Era seduto al tavolo con altri tre. Indossava la solita maglietta lacera e i pantaloni da lavoro cenciosi. Gli altri erano vestiti in modo analogo, ma portavano cappelli a tesa larga calati sugli occhi alla maniera delle formigas più giovani, appena arrivate dalla città. Una specie di travestimento, pensò Meirelles, sebbene non troppo efficace. E anche scomodo, con quel caldo. Si fece strada verso il tavolo, dal momento che non c’era traccia di polizia militare. Si incuneò in una sedia e aspettò che fosse Ng a parlare.

— L’hai portata? — chiese l’omino in un soffio.

Meirelles si sentì quasi mancare. Era evidente, dal suo comportamento disinvolto e quasi divertito, che l’orientale non sapeva nulla del raid della polizia alla sua baracca, e non immaginava neppure lontanamente di essere ricercato.

Doveva dirglielo?, si chiese Meirelles.

Scrutò i compagni del vietnamita. Erano in tre. Due uomini e una donna. L’uomo sulla sinistra era alto, forse americano, con l’espressione attenta e un paio di occhi che indugiarono nei suoi forse un po’ troppo a lungo. Quello sulla sinistra era più basso e anche più nervoso, con i capelli lunghi, color bianco sporco. La donna che sedeva tra di loro era di una bellezza enigmatica, ma sembrava turbata: teneva le mani intrecciate e aveva la fronte corrugata.

È lei che vuole la pietra , pensò Ng.

— È qui — disse Meirelles, con la voce roca, in inglese. — È qui… l’ho portata.

Vide una luce sottile brillare negli occhi scuri di Ng.

— Dategli il denaro — suggerì il vietnamita.

— Non vedo la pietra — protestò l’uomo con i capelli bianchi.

La donna gli toccò la mano, come per comunicargli qualcosa, magari un avvertimento. L’americano alto si limitò a guardare.

L’uomo con i capelli bianchi sospirò, si mise una mano in tasca e ne tolse due pezzi di carta. Uno per Ng e uno per lui. Un oggetto così privo di consistenza, pensò Meirelles. Per un attimo, lo scambio sembrò ridicolo. L’oneirolita, una cosa solida, per quel pezzo di carta.

Lo stese e lo guardò abbastanza a lungo per capire che, almeno, sembrava regolare: un assegno della banca di Bradesco, con una cifra così alta, in cruzeiros, da fargli girare la testa. — D’accordo — udì la sua voce dire. — Va bene.

Ng intascò il suo assegno e sorrise.

Meirelles tirò fuori la pietra esotica avvolta nel pezzo di tela cerata. L’uomo dai capelli bianchi la guardò con sospetto. — Come facciamo a sapere che è proprio quella che vogliamo?

Ma la donna gli sfiorò di nuovo il braccio. — È quella giusta.

Lo sente , pensò Meirelles. È una sensitiva. La guardò allungare la mano verso la pietra e avvertì la sua esitazione, il rispetto per il mistero che nascondeva. — Prendetela — le disse. — Toccatela pure. Non vi farà effetto attraverso la tela cerata. — Lei non capì il suo portoghese, ma sembrò rassicurata dal suo tono di voce.

Ng strinse la mano di Meirelles, per sigiare la felice conclusione dell’affare.

Adesso , pensò Meirelles. Se voleva dirgli della polizia, doveva farlo adesso. Se uscivano da quel bar senza che Ng ne sapesse qualcosa, probabilmente il vietnamita li avrebbe invitati tutti a casa sua, dove la polizia li stava aspettando.

Ma se gliel’avesse detto, Ng avrebbe preteso che lui restituisse il denaro?

Tastò l’assegno che aveva in tasca, una presenza che gli riscaldava il cuore. Un biglietto di ritorno tra le braccia di sua moglie e di sua figlia. Un biglietto per uscire da Pau Seco e tornare a Cubatao. Un pezzo di carta in grado di assicurargli una vita migliore.

Ritirò la mano, mentre l’orientale si alzava. Gli americani erano già in piedi.

— Aspettate — disse.

— Che cosa c’è? — chiese Ng socchiudendo gli occhi.

Meirelles sentì il sudore imperlargli la fronte. Guardò il vietnamita in faccia. Non era abituato a facce come la sua, così difficili da decifrare.

— La polizia — disse con un filo di voce. — Qualcuno vi ha tradito.

L’omino lo fissò con aria grave, per un tempo che gli parve interminabile. Si piegò sul tavolo di legno, con le nocche serrate e una espressione terribile negli occhi. Meirelles non riuscì a distogliere lo sguardo. Risparmiami , pensò, ormai in preda al panico.

Ma Ng si limitò a stringergli la mano una seconda volta.

— Grazie, Roberto — gli disse. — Grazie per avermelo detto.

I tre americani lo seguirono fuori.

11

Ng descrisse il posto, che si trovava sulla strada, e disse loro di aspettare là. Un autocarro sarebbe venuto a prelevarli.

— Potrebbe essere una trappola — brontolò Byron. — Chi ci assicura che non ci avete venduto?

Keller si aspettò una reazione irritata da parte del vietnamita, invece lui scrollò soltanto la testa. — Ho anch’io il mio onore — assicurò. — Non tradisco chi mi paga.

Così s’incamminarono lungo la strada che univa la miniera alla città vecchia, nascosti dai vestiti, dal buio della notte e dal viavai delle persone attorno a loro. Evitarono i falò e camminarono con le spalle curve, non troppo adagio ma nemmeno troppo in fretta, attenti alle pattuglie della polizia. Fuori dalla città si mantennero al riparo del bosco. Un cane dal torace magro si affiancò a loro per mezzo chilometro, saltellando su tre gambe. Byron gli tirò dietro un sasso, per convincerlo ad allontanarsi.

Finalmente arrivarono nel punto che Ng aveva descritto, uno slargo nella strada allo sbocco di una pista disboscata che proveniva da ovest. La mezzanotte era già passata e il traffico era molto ridotto. Per due volte dei grossi diesel d’anteguerra passarono rombando accanto a loro, diretti verso Pau Seco. Una volta, invece, transitò un mezzo di trasporto militare. Per il resto del tempo la strada rimase vuota, e nella notte si udirono soltanto i rumori del bosco.

Keller era caduto in una specie di vigile dormiveglia, quando un furgone si fermò sul margine della strada, svegliandolo. Il cielo andava già schiarendosi e lui fu in grado di leggere la parola ELETRONORTE scritta a lettere bianche un po’ sbiadite sulla fiancata mezzo arrugginita del veicolo. L’autista aspettava, con il motore in folle.

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