— Dev’essere una sensazione strana. — Teresa sembrava più calma, mentre scivolava nel sonno, stretta contro di lui.
— Già, piuttosto strana. — Ma non fu certo che lei avesse sentito. Il suo respiro divenne più profondo, mentre lei si abbandonava tra le sue braccia. — Molto strana — ripeté Ray, rivolgendosi alla stanza buia e silenziosa.
Raggiunsero in autobus la provincia settentrionale del Para e si fermarono una notte a Campo Alegre, sul fiume Araguaia. Era una vecchia città, con un’economia basata principalmente sull’allevamento del bestiame, organizzata in cooperative. La loro sistemazione era primitiva e il puzzo del macello poco lontano ricordava a Keller la prima impressione che aveva avuto da Cuiaba. Si fermarono in un vecchio albergo del ventesimo secolo, frequentato da tetri agenti di commercio che si occupavano dell’esportazione della carne. Sbalordirono l’addetto alla ricezione pagando in contanti. Male, disse Byron, il contante dava nell’occhio. Ma finché non riuscivano a procurarsi qualche carta di credito al mercato nero, non potevano fare altrimenti.
Teresa comperò qualche indumento più consono alla foggia locale e una borsa nella quale nascondere la pietra esotica. Ray aveva osservato il modo in cui se la portava dietro, con cura esagerata e l’evidente desiderio di usarla al più presto. Un desiderio appena smorzato dalla paura. Ciò che Teresa chiedeva alla pietra, aveva capito, era un aiuto per ritrovare la memoria. Gli sembrava pericolosa e ingenua l’idea che la memoria fosse in grado di dare un nuovo significato alla sua vita, come se fosse stata un tesoro sepolto.
Lui sapeva tutto sulla memoria. Ed era sicuro che non fosse affatto un tesoro. Anzi, il vero tesoro era l’oblio. Ma dov’era la pietra, la droga, la pillola o la polvere che poteva operare una così grande magia?
Teresa si ritirò nel minuscolo stanzino per la doccia e lasciò Byron e Keller da soli in camera. Fino a quel momento Byron era rimasto alla finestra, con gli occhi fissi sulle acque gonfie dell’Araguaia. Adesso, mentre lo scroscio costante dell’acqua riempiva il silenzio della stanza, si volse all’improvviso verso Keller.
— So che cosa sta succedendo — dichiarò.
L’altro lo fissò senza parlare.
— Non è certo un segreto — continuò Byron. — Cristo, Ray. Non sono cieco. E nemmeno sordo. — Raddrizzò le spalle, e quel gesto di grande dignità tradì tutto il suo dolore. — Non è difficile capire. E non è detto che io disapprovi. Se lei è felice, per me va bene. Se tu non la stai usando, intendo dire. Il punto è questo: non voglio che tu le faccia del male.
— Ascolta, io… — incominciò a dire Keller.
— Credi che sia facile per me? — l’interruppe Byron, in tono convulso. — Ero anch’io come te, ricordi? So che cosa vuol dire. Ero un buon Angelo. Facevo il mio lavoro con passione. Poi tornai dalla guerra e mi fece disconnettere i fili. Fai pure quei gesti, come per dire che hai capito, che io sono tornato alla vita normale… Ma non è così semplice. Ci si porta dietro tutto, nella vita. Non è solo una faccenda fisica. Se vuoi davvero tornare nel mondo devi andarlo a cercare, riprenderne possesso. Devi avere qualcosa per cui valga la pena di provarci. — Sospirò a fondo, prima di riprendere a parlare.
— Io avevo lei. Non era una semplice infatuazione, ma molto di più. Forse era amore vero. Probabilmente lo è ancora. Lei rappresentava il mio biglietto di ritorno per il mondo. Sai come succede, la gente scopre che sei stato un Angelo e comincia a trattarti in modo diverso. Come se tu fossi uno zombie, un morto vivente. A volte non mi interessa che la gente lo pensi, a volte sono io stesso a incoraggiarla. Non fa sempre male, trovarsi in un mondo a parte. Ma non voglio che sia realmente così. Mi capisci? Lei era il mio modo di dimostrare che non era vero. Le ho voluto bene abbastanza da salvarle la vita, o da accompagnarla fin qui. Conosco il sentimento che lei prova per me. Non è amore. Ma non mi interessa. L’importante è che io ami lei, e che abbia continuato ad amarla anche quando è andata a letto con altri. Anche adesso che si sta palesemente innamorando di te. Ciò che importa è il mio amore. — Aveva i pugni stretti e il viso rivolto alla finestra.
— Immagino che per te sia difficile capirmi — continuò. — Il tuo impianto funziona ancora. Il Palazzo di Ghiaccio ti mette al riparo da tutto, anche se con ogni probabilità sei convinto del contrario. Puoi guardare Teresa dall’alto del tuo castello sicuro, e puoi addirittura permetterti il lusso di innamorarti un po’. Bel coraggio! I miei fili non ci sono più, Ray. Qui sta la differenza. Io non sono più una macchina. Sono un essere umano, oppure una nullità. Sono una macchina guasta. Per questo l’amo. Se lei mi ricambia, tanto meglio, è il massimo che possa sperare, ma anche se non mi ama, se mi fa stare male, io continuerò a lasciarla fare, perché solo così sarò sicuro di essere davvero tornato dalla guerra, di essere di nuovo nel mondo, di respirare… — Premette i pugni contro i braccioli della poltroncina. — Di essere fatto di carne e di sangue.
Keller continuò a fissarlo in silenzio.
Byron scrollò la testa. — È difficile parlare con te, a volte.
Nella doccia, l’acqua smise di scrosciare e le ultime gocce scivolarono lentamente verso il basso. Teresa canticchiava.
— Non farle del male — ripeté Byron con dolcezza. — È l’unica cosa che ti chiedo.
Arrivarono a Belem, un porto internazionale nelle ampie foci del Rio delle Amazzoni, dove Byron conosceva un americano espatriato che forse poteva aiutarli a uscire dal Brasile, e dove Keller fece l’amore con Teresa per la prima volta.
Avevano preso alloggio in una stanza d’albergo simile a quelle di Sinop o di Campo Alegre. La stanza si trovava in un bell’edificio in mattoni e si affacciava su un mercato di pesce chiamato Ver-o-Peso. Byron passò la maggior parte del tempo sulle banchine del porto, cercando di contattare il suo vecchio amico dell’esercito, e per parecchi pomeriggi Ray si ritrovò solo in camera con Teresa.
Fecero l’amore con le tende tirate. Cominciò a piovere e l’acqua attuti i rumori del traffico. Teresa gemette una volta, come se il semplice atto d’amore le avesse liberato dentro qualche brandello di memoria.
Era passato molto tempo dall’ultima volta che Ray aveva fatto l’amore con una donna di cui gli importava. Si accorse, seppure in modo remoto, che qualcosa si muoveva dentro di lui, che qualche sinapsi abbandonata riprendeva vita. Immaginò la rete di fili nella sua testa come una cartina stradale in cui giungle neutrali, dimenticate per anni, si illuminavano all’improvviso. Era una specie di peccato, pensò, ma si abbandonò senza ripensamenti al suo sentimento per Teresa, alla gioia di fare l’amore con lei. Sapeva che non avrebbe mai decodificato quella scena dalla memoria AV, per cui gli sembrava quasi di avere dei dubbi sulla sua esistenza. Un’esperienza condivisa da loro due, destinata a rimanere solo nella memoria di lei e nella sua. Memoria umana, si disse, volubile e poco affidabile. Ma ne avrebbe custodito il ricordo con cura. Adhyasa , il peccato dell’Angelo. Ma l’avrebbe tenuto stretto dentro di sé.
Dopo, rimasero abbracciati in silenzio.
La pioggia aveva sollevato un velo di umidità e la pelle di Teresa sembrava febbricitante accanto alla sua. Lei teneva gli occhi ostinatamente chiusi. La tensione degli ultimi giorni, pensò Keller, il viaggio da Pau Seco. E non solo quello.
— Non è solo dell’Organizzazione che hai paura — le disse.
Lei scrollò la testa.
— La pietra, allora?
— È strano — rispose Teresa. — Desideri qualcosa per tanto tempo, e poi… la tieni tra le mani e pensi "che cos’è?" "Che cosa ha a che fare con me?" — Si rizzò a sedere, scostando le lenzuola spiegazzate.
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