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Algis Budrys: Il satellite proibito

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Algis Budrys Il satellite proibito

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La fantascienza è l’unico genere letterario nel quale l’uomo sia direttamente e concretamente posto a confronto con l’infinito. In questo dato risiede il suo fascino principale: perchè dall’infinito emerge l'enigma, l’ignoto, l’incubo, ed il confronto si trasforma in una sfida. Questo romanzo di Algis Budrys (un autore che i lettori di «Futuro» hanno già avuto modo di apprezzare) ripropone uno dei temi più classici della narrativa fantascientifica: quello della minaccia nascosta in un mondo sconosciuto, del mistero che deve essere rivelato a rischio della vita. Il mondo che cela l’enigma, e dà corpo alla sfida, è il nostro satellite naturale: la Luna, che l’uomo ha appena sfiorata, e che cela nelle sue viscere un segreto mortale. Cosa si nasconde in fondo al labirinto dal quale nessun esploratore è mai uscito vivo? Quale intelligenza maligna ha potuto concepire una trappola cosi crudele e mostruosa? L’intelletto umano non possiede strutture adeguate a scandagliare un abisso così folle e contorto, anche perchè la «cosa» che si cela in fondo all’abisso è a sua volta al di là della follia e dell’assurdo. «Il satellite proibito» è il più originale e famoso tra i romanzi di Budrys. Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1961.

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Hawks lo guardò.

Reed proseguì. — Ora, ho spiegato la mia idea al signor Cobey, ed egli ha ritenuto che fosse opportuno sottoporla a lei.

Cobey contrasse le labbra.

— Perciò — concluse Reed — abbiamo chiesto al comandante Hodge se la Marina sarebbe stata disposta a prendere in considerazione un cambiamento nella procedura operativa, purché non interferisse con l'efficienza.

Hodge disse, con l'aria di non dedicare molta attenzione alle proprie parole: — Risparmiare non ci dispiace. Specialmente quando non riusciamo a farci approvare tutte le spese dalle commissioni parlamentari.

Hawks annuì.

Nessuno disse niente per qualche istante, poi Cobey proruppe: — Bene, è disposto ad ascoltare, Hawks?

— Certo — disse Hawks. Si guardò intorno. — Chiedo scusa… Non sapevo che aspettaste la mia risposta. — Guardò Reed. — Continui, la prego.

— Bene — disse Reed, abbassando lo sguardo sulle cifre — mi pare che molti di questi apparecchi siano più o meno doppioni. Voglio dire, qui sono contabilizzati cento divisori di voltaggio di un unico tipo. E qui…

— Sì. Ecco, il nostro equipaggiamento consiste in gran parte di dati componenti particolari, collegati in serie tra loro. — Hawks teneva la testa inclinata lateralmente, e i suoi occhi erano guardinghi. — Dobbiamo svolgere simultaneamente una grande quantità di operazioni in sostanza simili. Non c'era il tempo di disegnare componenti con la capacità di svolgere tali funzioni. Dovevamo utilizzare modelli elettronici già esistenti e rimediare alla loro capacità relativamente bassa usandoli in gran numero. — Si interruppe per un attimo. — Ci vogliono mille formiche per trasportare il contenuto di una tazza di zucchero — concluse.

— Molto bene, Hawks — disse Cobey.

— Stavo cercando di spiegare…

— Vada avanti, Reed.

— Bene… — Reed si sporse in avanti, animandosi. — Non voglio che lei mi giudichi una specie d'orco, dottor Hawks. Ma, siamo sinceri, in quelle apparecchiature è immobilizzato molto danaro, e secondo me non c'è motivo perché, se abbiamo una macchina duplicatrice, non possiamo… — Scrollò le spalle. — Non possiamo fare tutte le copie che ci servono. Non capisco perché sia necessario fabbricarle noi, o acquistarle da fornitori esterni. Ora, in questa situazione non sono in grado neppure di calcolare un costo operativo fisso. E…

— Signor Reed — disse Hawks.

Reed s'interruppe. — Sì?

Hawks si passò una mano sulla faccia. — Capisco il suo punto di vista. E mi rendo conto che la sua proposta è completamente ragionevole. Però…

— Bene, Hawks — fece asciutto Cobey. — Sentiamo il «però»…

— Ecco — disse Hawks a Reed — lei conosce i principi in base a cui opera l'analizzatore… il duplicatore?

— Soltanto approssimativamente, purtroppo — rispose paziente Reed.

— Bene, approssimativamente, il duplicatore prende un pezzo di materia e lo riduce in una serie sistematica di flussi d'elettroni. Elettricità. Un segnale, come quello che esce da un'emittente radio. Ora il segnale passa in queste componenti… nello stesso modo, diciamo, in cui verrebbe captato dall'antenna di una radio ricevente e passato ai suoi circuiti interni. Quando esce all'altra estremità del circuito, non va a finire in un altoparlante, ma viene ritrasmesso alla Luna, dopo essere stato nel frattempo controllato e ricontrollato. Ora, è sostanzialmente questo, ciò che fanno tali componenti… esaminano il segnale per accertarne la coerenza. Il fatto è che l'esattezza con cui il pezzo di materia originale viene ricostruito… duplicato, dipende dalla coerenza dei flussi d'elettroni che arrivano al ricevitore. Perciò, se dovessimo usare componenti duplicati per controllare la coerenza del segnale con cui duplichiamo oggetti estremamente complicati, come un essere umano vivo, introdurremmo una possibilità addizionale d'errore che, nel caso di un essere umano, è più alta di quanto possiamo permettere. Mi segue?

Reed aggrottò la fronte.

Cobey contrasse un angolo della bocca e guardò Hawks.

Hodge riprese il berretto e cominciò ad aggiustarne il filo metallico che lo manteneva rigido sotto la stoffa.

Finalmente Reed disse: — È tutto, dottor Hawks?

Hawks annuì.

Reed scrollò le spalle, imbarazzato. — Bene, senta — disse — purtroppo non capisco ancora. Mi rendo conto che forse l'equipaggiamento originale non può venire duplicato, perché l'analizzatore non funzionerebbe, altrimenti, ma…

— Oh, funzionerebbe - l'interruppe Hawks. — Come ho detto, è un circuito di controllo, non un circuito primario.

Reed abbassò bruscamente le mani e guardò Cobey. Poi scosse la testa.

Cobey trasse un profondo respiro e lo esalò, amaramente. — Cosa ne dice, comandante?

Hodge posò il berretto. — Penso che il dottor Hawks intenda dire che se lei adopera un tornio automatico per fabbricare altri tornii automatici, e dopo si serve di questi per fabbricarne altri ancora, basta che una parte qualsiasi abbia un difetto minimo, per ritrovarsi alla fine tra le mani milioni di tornii che sono semplicemente dei catorci.

— Beh, maledizione, Hawks, perché non l'ha detto subito? — domandò Cobey.

Il giorno in cui il tempo di sopravvivenza arrivò ai nove minuti e trenta secondi, Hawks disse a Barker: — Sono preoccupato. Se il tuo tempo di sopravvivenza continua a crescere, il contatto tra L e T risulterà troppo facile. Gli specialisti del percorso mi dicono che i suoi rapporti stanno diventando sensibilmente meno coerenti.

— E allora che provino loro ad andare lassù. E vedranno cosa riusciranno a ricavarne. — Barker s'inumidì le labbra. Aveva gli occhi incavati.

— Non è questo che intendevo.

— So quello che intendeva. Può smettere di preoccuparsi. Sto quasi per uscire dall'altra parte.

— Questo non me l'hanno detto — fece brusco Hawks.

— Non lo sanno. Ma ho quest'impressione.

— Un'impressione.

— Dottore, la carta mostra soltanto quello che io dico dopo una giornata di lavoro. Non ha principio e non ha fine, tranne quando la faccio finire io. — Si guardò intorno, rabbiosamente. — Tutto questo ciarpame, dottore, in ultima analisi è tutto imperniato su di un uomo. — Fissò Hawks. — Un uomo, e ciò che c'è nella sua mente. O forse due uomini. Non so. Cosa c'è nella sua mente, Hawks?

Hawks ricambiò lo sguardo di Barker. — Io non curioso nella sua mente. Lei non metta piede nella mia. E adesso, devo fare una telefonata.

Attraversò il laboratorio, e chiamò un numero esterno. Attese la risposta, guardando senza vederlo il vecchio, familiare muro liscio. All'improvviso, scattò, vi batté contro con violenza il palmo della mano libera. Poi il ronzio al suo orecchio s'interruppe con uno scatto, ed egli disse, impaziente: — Pronto? Elizabeth? Sono… sono Ed. Senti… Elizabeth… Oh, sto bene. Ho molto da fare. Senti… sei libera stasera? È soltanto che non ti ho mai portata fuori a pranzo o a ballare, niente… Ci vieni? Io… — Sorrise al muro. — Grazie. — Riappese il ricevitore e se ne andò. Si voltò indietro e vide che Barker l'aveva osservato, e trasalì, vergognandosi un po'.

PARTE OTTAVA

— Elizabeth… — esordì Hawks, e poi agitò il braccio irritato. — No, stavo per dirlo tutto d'un fiato. Capita così spesso.

Erano in piedi su di un promontorio roccioso che si spingeva tra la risacca. Hawks si era rialzato il colletto, e si teneva chiusa la giacca con una mano. Elizabeth aveva il soprabito, e teneva le mani in tasca: i capelli erano coperti da un foulard. La Luna, che tramontava all'orizzonte, rifletteva la sua luce sulle nubi. Elizabeth gli sorrise. — Mi hai portata in un posto molto romantico, Edward.

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