Nella tarda mattinata, poco prima di mezzogiorno, Samson Joyce sedeva in una sedia pieghevole situata dietro l’alto seggio di granito dei giudici che fronteggiava la piazza. Tra pochi minuti avrebbe salito i gradini per raggiungere la sommità dalla quale si sarebbe affacciato e, in piedi dietro il solido parapetto, avrebbe guardato il recinto degli Imputati nella piazza. In questo momento stava controllando la sua pistola.
Toccò il cursore, guardò la culatta che si apriva e l’estrattore che avanzava con la sua punta di metallo. L’otturatore si ritrasse con uno scatto, esitò, e scattò in avanti. Prese uno straccio di seta e tolse l’olio in eccesso, spargendolo in uno strato sottile ed uniforme sul metallo. Tolse le cartucce dal caricatore, oliò il meccanismo, e ricaricò. Fece tutto questo con la cura paziente che gli veniva da una lunga pratica.
Il sole aveva giocato per tutta la mattina tra le nuvole, e a tratti soffiava un leggero vento. Gli stendardi e le bandiere delle famiglie si agitavano irrequiete. La giornata era incerta.
Quella pistola era la sua preferita: una Grennel 15 mm a gas che aveva fin dai tempi in cui era stato Giudice Aggiunto ad Utica. Si adattava perfettamente alla sua mano, dopo tutti quegli anni, Non era una di quelle anticaglie ingioiellate, placcate e incise che ci si poteva aspettare di vedergli usare nei grandi processi di New York o Buffalo. Era semplicemente una pistola: svolgeva la funzione per cui era stata costruita, con efficienza e precisione, e la usava ogni volta che gli era possibile. Non era niente di speciale, ma non falliva mai.
Si accigliò, guardandola. Era turbato da sciocchi sentimenti che avrebbe preferito non provare affatto.
Un tempo, quando era stato un ventenne, aveva guardato avanti. Ora aveva più di cinquant’anni e, quando volgeva lo sguardo dietro di sé, ciò che vedeva era un po’ meno soddisfacente di quanto si fosse aspettalo.
Sollevò il capo e guardò i tre uomini che quel giorno erano stati designali Giudici Aggiunti camminare verso di lui provenienti dall’albergo. Bianding con la sua valigetta, Pedersen con la sua valigetta e Kallimer con il suo cipiglio. Il grosso labbro inferiore di Joyce accennò ad un fuggevole sorriso divertito che scomparve subito senza lasciare traccia. Tutti e tre erano più giovani di quanto non fosse stato lui ad Urica e tutti e tre avevano fatto molta più strada. Bianding era Giudice Aggiunto qui a Nyack, il che significava che con il suo prossimo incarico avrebbe abbandonato i sobborghi per la città vera e propria. Pedersen stava aspettando i risultati delle elezioni primarie di Manhattan per ottenere la conferma ufficiale. Dopo di che avrebbe occupato il suo seggio nel Corpo Legislativo. E Kallimer era Giudice Speciale Aggiunto del Giudice capo dello Stato Sovrano di New York, signor Samson Ezra Joyce. Forse era lo sforzo di ricordare il suo titolo che gii dava sempre quell’aspetto cupo, che gli corrugava le sopracciglia e il naso ossuto. O forse stava assaporando dentro di sé il suono di «Giudice Capo dello Stato Sovrano di New York, signor Etan Benoni Kallimer».
Erano tutti e tre giovani fortunati, avviati a una carriera promettente. Ma, essendo giovani, non erano capaci di godersi la loro buona sorte. Joyce indovinò quello che stavano provando mentre si dirigevano verso di lui. Pensavano che fosse un vecchio sciocco intrattabile, un conservatore irriducibile nel modo in cui amministrava la giustizia… e che i giovani avessero maggiori capacità.
Pensavano che Joyce volesse vivere in eterno, senza lasciare alcuna possibilità agli altri. Erano sicuri che lui pensasse di essere l’unico adatto ad indossare la Toga di Giudice Capo.
E lo chiamavano il Vecchio Gambe Storte tutte le volte che lo vedevano in calzamaglia.
Ad ogni processo si presentavano con la loro valigetta, completa di pistola. Ognuno di loro aspettava il giorno in cui Il Messire avrebbe revocato il verdetto umano, e quindi fallibile, di Joyce. Ci sarebbe stato un nuovo Giudice Capo e promozioni in tutta la scala gerarchica.
Fece scattare il cursore, annuì soddisfatto e reinseri il caricatore. In trent’anni di attività, Il Messire non aveva annullato i suoi verdetti neppure una volta. C’era andato vicino (Joyce aveva più di una cicatrice), ma, in pratica, non aveva fatto altro che sollevare un’obiezione prima di convalidare la decisione di Joyce.
Blanding, Pedersen e Kallimer, nei loro semplici abiti neri, con i bianchi polsini di pizzo, si fermarono di fronte a lui.
Uomini tetri. Invidiosi… persino Pedersen, che stava per lasciare la magistratura. Uomini impazienti.
Joyce ripose la sua pistola. Uomini giovani, che non si rendevano conto della fortuna di avere ancora una meta da raggiungere ed un sogno da realizzare. Che non intuivano che toccava agli uomini giunti al vertice, agli uomini che avevano raggiunto la meta, rivolgere incessantemente tutti i loro sforzi alla conservazione dell’ideale; coloro che, con l’aiuto del Messire, lavoravano ogni minuto della loro vita per mantenere immacolato lo scopo della loro esistenza. I giovani non capivano, perché non avevano ancora raggiunto la cima, che la gioia stava nella lotta e il compito più duro nel mantenimento di quella vittoria. I giovani servivano l’ideale, senza mai chiedersi che cosa mantenesse questo ideale ben saldo ed elevato.
Un giorno l’avrebbero imparato.
— Buon giorno, Giudice — dissero, quasi in coro.
— Buon giorno Giudici. Mi auguro che abbiate dormito bene.
Dal rumoreggiare degli spettatori, immaginò che l’Imputata fosse stata portata in piazza. Era interessante notare il cambiamento nelle voci della folla nel corso degli anni. Ultimamente era diventato facile distinguere il rumore che proveniva dai palchi delle famiglie dal chiasso della gente, che era di un’intera ottava più basso.
Joyce guardò l’orologio della torre. Restava ancora qualche attimo.
Insoddisfazione? Che cosa provava?
Immaginò se stesso mentre cercava di spiegare ad uno di questi giovani quello che provava e… sì, «insoddisfazione» era la parola che avrebbe usato.
Ma questo non sarebbe successo. Blanding era troppo giovane per fare qualcosa che non fosse schernire il vecchio sciocco dalle gambe storte e le caviglie gonfie. Pedersen era fuori dalla mischia. E Kallimer, naturalmente, di cui Joyce rispettava l’intelligenza, era troppo intelligente per ascoltare. Aveva le sue idee.
Joyce si alzò. Toccò l’immagine del Messire nascosta sotto il colletto, aggiustò l’abito e la parrucca e si volse verso i suoi collaboratori. Nel farlo, lasciò che il suo sguardo si posasse per un attimo sull’Imputata, per la prima volta. La donna era in piedi nel suo banco, in attesa. Solo un’occhiata, prima che lei potesse rendersi conto che Joyce aveva compromesso la sua dignità guardandola.
— Bene, Giudici, è ora.
Si soffermò un istante e poi li segui su per gli scalini che avrebbero messo a dura prova le sue caviglie.
Per prima cosa, Blanding doveva rinunciare al proprio diritto di giudicare il caso, dal momento che rientrava nella sua giurisdizione.
Joyce, in piedi da solo sulla sezione centrale rialzata della piattaforma, si sporse leggermente in avanti, finché le cosce non toccarono la fredda pietra del banco, alleggerendo un poco il peso sulle caviglie.
Dalla piazza sottostante nessuno l’avrebbe notato. Guardando la parete grigia della facciata esterna del banco, tutto ciò che si sarebbe potuto vedere era il busto dei quattro uomini: due in nero, uno leggermente più in alto con la sua veste sgargiante e poi un altro uomo in nero. Quest’ultimo era Blanding, che in quel momento girò intorno all’estremità del banco, dirigendosi verso la piattaforma sospesa che fungeva da tribuna del magistrato nei processi ordinari, e si fermò, magro, immobile, nero, svettante al di sopra della piazza.
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