Algis Budrys - Morte dell'utopia

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Il pavimento del mondo è increspato come il fondale di un oceano. Il sole al tramonto inchiostra d’ombra violetta ogni increspatura. Le dune riempiono il mondo fino agli orli. E su questo pianeta che non è la Terra, un uomo insegue l’amsir, la grande bestia alata, per ucciderla. Perché gli uomini hanno sempre fatto cosi, da che il tempo è iniziato all’ombra della Spina. Ma per Honor White Jackson qualcosa cambia all’improvviso: l’amsir parla, e scaglia dardi. Forse, allora, la realtà non è soltanto quella di cui ha sempre parlato l’Anziano... Cosi inizia Morte dell’utopia, uno dei romanzi più originali, magici e inquietanti della fantascienza moderna, scritto da un maestro del genere, Algis Budrys.

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Algis Budrys

Morte dell’Utopia

Questo libro è per Jeff,

che mi ha spiegato perché era possibile,

e per Barbara,

che mi ha spiegato come terminava.

CAPITOLO 1

I

Il pavimento del mondo era increspato come il fondale di un oceano. Il Sole al tramonto inchiostrava d’ombra violetta ogni increspatura. Screziate e chiazzate, le dune basse si ammonticchiavano una dietro l’altra, come individui ammantati nelle coperte, e riempivano il mondo fino agli orli.

Gli orli si ergevano alti e crudeli. L’orizzonte orientale era una muraglia azzurronera sotto un arco ampio e basso di ruggine corrosa, le cui estremità sprofondavano in lontananza, a destra e a sinistra. Qualche massa rocciosa più vicina brillava arancione nella faccia rivolta verso il Sole, crivellata e lucente contro lo sfondo monotono d’ombra sotto l’orlo arrugginito. Sopra quell’orizzonte, minuscole scaglie di luce senza tremolii si aprivano un varco, trafiggendo i neri labirinti della Creazione.

E verso quell’orizzonte correva l’amsir. I piedi dalle grosse dita unghiute sbattevano e frusciavano tra le increspature, sollevando effimeri sprazzi di sabbia grossolana che subito ricadevano. Ogni volta che giungeva sulla cima d’una duna, l’amsir emergeva dall’ombra sempre più fitta e, come le rocce, luccicava fiocamente; e poi, a differenza delle rocce, scendeva caprioleggiando, e spariva per riapparire sull’altura successiva. L’amsir era alto poco meno di due braccia. Teneva un giavellotto dall’asta metallica stretto contro il torace, con le mani minuscole che spuntavano a metà delle ossa principali delle ali.

Honor White Jackson lo stava inseguendo, e aveva un’opinione diversa, ma l’amsir era molto bello. La faccia rostrata era tutta angoli e fessure, come la visiera d’un cavaliere, e teneva protese, per conservare l’equilibrio, le grandi ali traslucide inette al volo. Aggraziato come la sposa di un folletto, procedeva a falcate, in uno svolazzare di lunghi nastri merlettati che crescevano dal corno del corpo gonfio e dagli esili arti inferiori. Quei nastri assicuravano un ottimo isolamento per gli amsir in riposo, ed erano molto utili anche per gli umani della Spina di Ferro. Ora avevano l’effetto di trasformare la bestia in uno sfuggente prodigio, un essere pallido e inquieto che procedeva a passi rapidi e saltellanti, forse gioiosi.

Le ali, che avevano un’apertura di oltre tre braccia e mezzo da una all’altra delle estremità dure come chiodi, luccicavano di un tenue color corallo nella luce morente del sole ed erano utilissime per cambiare direzione con esasperante ingegnosità. Molte volte, mentre lo rincorreva, White Jackson aveva mantenuto l’andatura per tirare, con il brutale dardo dalla punta vitrea già incoccato nella scanalatura del bastone d’osso di amsir. E, ogni volta, l’amsir aveva alzato una spalla, in un movimento carico di disdegno, virando sul perno della resistenza di quattordici braccia quadrate di superficie frenante, ed era ripartito su una direttrice leggermente modificata. Dietro le feritoie delle rotonde torrette di corno che velavano gli occhi, le pupille si volgevano indietro, scintillando.

Mentre lasciavano scie appaiate di color magenta sul grande deserto, White Jackson e l’amsir, insieme, creavano una certa bellezza, superiore a quella del loro aspetto individuale. Jackson era piuttosto magro, alto, slanciato, brunito. Non si sarebbe mai immaginato che discendesse da una razza evolutasi per lanciarsi da un ramo all’altro, senza raddrizzare quasi mai la schiena. Come l’amsir, aveva la faccia magra e gli occhi scintillanti. Come l’amsir, correva con eleganza, toccando la superficie con le dita appuntite dei piedi solo il tempo necessario per creare lo slancio per il passo successivo, cercando di non posare mai il piede di piatto. Portava una vecchissima calotta metallica, lucente, con uno spuntone aguzzo e un sottogola nuovo, fatto di trina d’amsir. Aveva un quarto di litro d’acqua in una vescica di amsir legata sulle reni, e portava il dardo di riserva sotto l’ascella sinistra. Muscoloso e teso quanto l’amsir era etereo allo sguardo, era ben consapevole che quella scena dipendeva da una sospetta pigrizia della selvaggina, non meno che dalla sua energia.

White Jackson, inoltre, era consapevole che l’esasperante zigzagare dell’amsir aveva una direttrice comune, e lo conduceva progressivamente lontano dalla sicurezza della Spina di Ferro. Quel maledetto uccellaccio cercava di adescarlo. White Jackson era un Honor da poco tempo, e se questo era ciò che poteva aspettarsi dal modo di vita che aveva scelto, intendeva studiarlo bene finché era ancora abbastanza giovane per imparare. Perciò, sebbene di tanto in tanto si posasse sulle piante dei piedi nei balzi più lenti e sussultanti che avevano lo scopo di trasferire l’energia al bastone da lancio, non si attendeva per le sue fatiche nulla più di quanto ottenesse: una serie di bruschi tonfi dell’orlo della calotta contro il cuoio capelluto. Non aveva motivo di dubitare di essere più duro e più astuto di qualunque amsir o di qualunque uomo al mondo. Se non lo era, non era troppo presto per impararlo. Era rassegnato a continuare a correre per tutto il giorno, escludendo un solo limite irrinunciabile; e prevedeva che l’amsir avrebbe fatto scattare la trappola appena fosse abbastanza buio. Era addirittura disposto a collaborare perché scattasse, se la trappola era quella che sospettava.

Mentre correvano, giocando l’uno con l’altro, Famsir aveva indubbiamente i suoi motivi per essere dov’era. Intanto, Jackson pensava che, se avesse preso l’amsir, suo fratello Black l’avrebbe trattato in un certo modo; e l’avrebbe trattato in un modo diverso se non l’avesse preso. Comunque, suo fratello era sempre buono con lui. Pensava che sarebbe stato piacevole sedere alla tavola della comunità con il contegno di chi ha ucciso ciò che sta per essere mangiato. Immaginava che questo avrebbe avuto effetto sulle donne e avrebbe potuto contribuire a togliergli di torno gli anziani. Ma tutto questo era colorato dalla gioia semplice d’essere forte, instancabile, d’essere un Honor in un mondo circondato dalla sabbia e dagli amsir, popolato soprattutto da scialbi contadini, e incentrato intorno alla Spina, da cui i contadini non si allontanavano mai.

Girò la testa per individuare la Spina. Si era allontanato di molto. Solo la sommità del profilo nero era visibile sopra l’orizzonte. Non c’era dubbio: se avesse perso ora la calotta, per lui vi sarebbero stati brevi, orribili momenti di morte, e null’altro. Ciò che lo sconcertava era il fatto che l’amsir non lo ritenesse abbastanza intelligente.

Honor White Jackson, ancora più dei vecchi, saggi contadini che si guardavano bene dal desiderare qualcosa al di là dei campi si rendeva conto chiaramente che era una gran brutta cosa allontanarsi dalla vista della Spina. Era una gran brutta cosa anche allontanarsi dal perimetro dei campi senza la calotta. La verità a proposito della calotta gli era stata dimostrata da suo fratello, che l’aveva condotto nel deserto e poi gliel’aveva tolta dalla testa. L’aria intorno a White Jackson s’era istantaneamente mutata in un ghiaccio bruciante e sitibondo. Il sole era divenuto un pallido, freddo martello che gli aveva fatto prudere la pelle per ore dopo che la calotta gli era stata rimessa sulla testa, e che, se ne avesse avuto l’occasione, avrebbe annerito il suo cadavere congelato. La verità che non ci si doveva mai allontanare dalla vista della Spina, calotta o non calotta, Jackson l’accettava per fede sulla parola di Black, un Honor professionista e rispettato. C’erano anche gli anziani, naturalmente, i quali sapevano tante maledette cose che solo il fatto di tenere sempre la bocca aperta impediva che gli traboccassero dalle orecchie. E c’erano le donne degli anziani, il cui compito nella vita sembrava essere mentire nel dare alle ragazze ogni sorta di utili allusioni sugli inganni e le difficoltà della vita.

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