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Algis Budrys: Morte dell'utopia

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Algis Budrys Morte dell'utopia

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Il pavimento del mondo è increspato come il fondale di un oceano. Il sole al tramonto inchiostra d’ombra violetta ogni increspatura. Le dune riempiono il mondo fino agli orli. E su questo pianeta che non è la Terra, un uomo insegue l’amsir, la grande bestia alata, per ucciderla. Perché gli uomini hanno sempre fatto cosi, da che il tempo è iniziato all’ombra della Spina. Ma per Honor White Jackson qualcosa cambia all’improvviso: l’amsir parla, e scaglia dardi. Forse, allora, la realtà non è soltanto quella di cui ha sempre parlato l’Anziano... Cosi inizia Morte dell’utopia, uno dei romanzi più originali, magici e inquietanti della fantascienza moderna, scritto da un maestro del genere, Algis Budrys.

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L’amsir aveva cominciato improvvisamente a esalare quell’odore caratteristico che Jackson aveva studiato sin dall’infanzia. Cautamente, provò a togliersi la calotta, e constatò che in effetti si trovava all’interno del raggio delle condizioni accettabili, anche se il terreno sotto i suoi piedi era ancora quello del deserto, e respirare richiedeva un certo sforzo nell’aria gelida. Era molto più lontano di quanto osassero spingersi i contadini. Più avanti, avrebbe incontrato una quindicina di braccia di erba incolta intorno al perimetro, prima che cominciassero i campi. Durante l’inverno, quella fascia si restringeva, ma restava sempre un po’ più ampia di sette braccia. Per una parte dell’anno, quando le giornate erano lunghe e il Sole alto batteva crudo sulle griglie scintillanti in cima alla Spina, la fascia poteva allargarsi fino a diciotto braccia. I campi non l’invadevano mai. Un contadino (White Jackson era arrivato da un pezzo a quella conclusione) era un uomo capace di rimuginare giorno e notte per trovare il modo di sottrarre mezza spanna di terreno a un vicino, ma neanche per tutto Ariwol si sarebbe tagliato le dita sul filo di una pergamena.

Era davvero Black Jackson, alto e con quei muscoli intorno allo stomaco e alla vita che destavano l’invidia di White Jackson, e i capelli corti che lo indicavano come un Honor compiuto. La faccia glabra spiccava in una chiazza più chiara, in contrasto con la bocca e le occhiaie. White si fermò, ma non lasciò scivolare al suolo l’amsir, e restò ritto, disinvolto.

«Benvenuto, Honor», disse Black. C’era un ansito inconsueto nella gran voce rombante, che da tanti anni White considerava forte ma amichevole. Black si fece avanti e toccò la spalla di White… la spalla illesa. Sebbene fosse ancora quasi completamente buio, a quella breve distanza White poteva scorgere l’espressione sobria della larga bocca di Black. Le labbra cominciarono a rilassarsi quando Black toccò l’amsir. Già da tanto tempo White aveva notato che la gente credeva solo a ciò che toccava… Al resto credeva condizionatamente, in base alla testimonianza di coloro che affermavano di avere toccato. «Tutto bene, ragazzo?». Black toccò di nuovo lui.

«Uh-uh».

«Bene. Bene, ne hai preso uno, no? E sei illeso». Black gli girava intorno, dimostrando in modo sempre più evidente una sorta di sollievo, studiando l’amsir, tastando la carcassa. «Giovane», disse, esaminando i calli dei cuscinetti dei piedi con uno strofinio del pollice. Aveva portato il dardo e il bastone. Li posò e guardò White. «Ti ha dato molti fastidi?».

White scrollò le spalle.

Black aveva notato il giavellotto sulle spalle di White, sotto il corpo dell’amsir. Se lo fece scorrere tra le mani. «Ti ha attaccato con questo, vero?».

«Uh-uh».

Black alzò di scatto lo sguardo, sotto la fronte china. «Ha detto niente?».

«Non molto».

«Cos’ha detto?».

«Che mi aveva preso, credo. Ero troppo occupato. E mi ha chiamato “diavolo bagnato”».

«Nient’altro?».

«No. Poi l’ho ucciso».

Black si chinò a esaminare il collo dell’amsir. Tastò gli orli della ferita inferta dal dardo. «Bel lavoro. Lo hai preso pulito».

«Be’, è così che mi ha insegnato Black Jackson».

«Ragazzo?».

«Sì?».

«È una bella sensazione, no?». Black Jackson sorrideva. Lo sapesse o no, in quel momento aveva l’aria di ricordare, non di godersi il presente. E sembrava che dovesse sforzarsi per ricordare. «Uscire, catturare il primo amsir… Scoprire quanto sei forte e resistente».

«Vuoi dire che per te è stata una bella sensazione, quando l’hai fatto tu».

«Be’, sì. Sì, ragazzo. Ricordo che…».

«Io sono forte e resistente, Black?».

«Non ti capisco».

«Voglio dire, tu sei contento di quello che io ho scoperto. Sai che cosa ho scoperto?».

«Be’, sicuro. Io… Senti, io non me la sono presa con nessuno, perché a me non avevano detto che gli amsir erano armati di lancia e sapevano parlare!».

White Jackson aveva continuato a pensarci dal momento in cui il primo grido era uscito dalla bocca dell’amsir. Ma non aveva mai visto suo fratello comportarsi così. Scrutò Black con la stessa attenzione con cui aveva scrutato l’amsir che era fuggito dopo il fallimento dell’imboscata ma non aveva cercato veramente di distanziarlo. «Pensavo che magari potremmo parlarne un po’». Stava pensando, in realtà, a un giavellotto che aveva almeno la stessa portata del dardo di un Honor, a un amsir che non si era messo a distanza di sicurezza per colpirlo da lontano, e non si era fermato a combattere fino a quando era stato pronto.

«Il fatto è che non era necessario dirtelo, vero? Lo hai ucciso comunque, giusto?». Black aveva piantato il giavellotto con la punta nella sabbia, accanto al suo piede, e vi si appoggiava. Così sembrava una specie di bastone, non un’arma. «E ti avevo detto che erano furbi. Ricordi?», aggiunse, come per un ripensamento.

«Uh-uh». White tenne più stretto il suo amsir. Credeva che fosse così perché aveva la stupida sensazione che Black potesse tentare di portarglielo via. Credeva di avere quella stupida sensazione perché all’improvviso s’era reso conto che Black non gli avrebbe reso il giavellotto. Attese che Black dicesse qualcosa. Era Black, evidentemente, a sapere cosa sarebbe accaduto, adesso.

«Be’, non è qualcosa andare in caccia di una bestia tanto forte e tornare portandola sulle spalle?».

«Sì, è qualcosa».

Black serrava e allentava le grosse dita intorno all’asta del giavellotto. L’acuminata punta metallica scricchiolò, affondando ancora di più nella sabbia. «Ti dà la sensazione di essere un uomo, giusto?».

«Mi dà una sensazione. Ero già un uomo prima di andare là fuori».

Black gli batté leggermente, goffamente, con il pugno chiuso, questa volta sulla spalla ferita. Non poteva vedere che era ferita. «Sei sempre stato un duro. Non hai mai ceduto d’una spanna. Mi avresti conciato male come avresti fatto con uno dei ragazzi con cui ti azzuffavi. Se non fossi stato tuo fratello, voglio dire… E più grande e grosso di te, credo».

Non era così che White si era visto attraverso gli occhi del fratello. E quello non era il discorso che si era aspettato. Gli insegnava sul conto di Black assai più che sul conto della caccia agli amsir, e lui non voleva imparare altro, sul conto del fratello. Si era sempre accontentato di quel che aveva creduto fino a quel momento.

«Black, sta arrivando la prima luce», disse sottovoce White. «Devo andare a sedermi vicino alla Spina. A metà mattina, verrà l’Anziano Honor a vedere il mio amsir, vedrà che è vero, mi riconoscerà Honor, mi taglierà i capelli e chiamerà un vincitore per radermi. Sarai tu, immagino. Sarà una giornata piena per tutti e due. Perché, per il momento, non ci accontentiamo di dire che sono un Honor compiuto, e non lasciamo che impari altri trucchi del mestiere con il passare del tempo?».

Una spanna del giavellotto, ormai, era sepolta nella sabbia. White pensò che Black doveva affondarlo solo per poco più di un braccio, prima di farlo sparire completamente. «No, senti, ragazzo, potrebbe essere stato qualcun altro ad aspettarti qui. La prima volta, viene sempre qualcuno a incontrarci. È… Diavolo, tu capisci che è necessario. Ma poteva essere Red Filson o Black Harrison o uno di quegli altri che stanno sempre intorno all’Anziano. Non era detto che dovessi essere io. Però io ti ho addestrato, nello stesso modo in cui ero stato addestrato io. È lo stesso per tutti. E quando torni indietro, capisci l’utilità di…».

«Se torni indietro».

« Tu? Diavolo, lo sapevo che tu saresti tornato!».

«Sicuro».

«Be’, pensavo che avessi buone probabilità». Black rigirò il giavellotto. White non riusciva a capire se stava davvero cercando di seppellirlo o se era così preso dalle sue parole da dimenticare quel che facevano le sue mani. Una caratteristica simile poteva costare la vita a un Honor. White dovette concludere che era molto rara. « Buone probabilità», ripeté ostinatamente Black.

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