Algis Budrys - Il satellite proibito

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La fantascienza è l’unico genere letterario nel quale l’uomo sia direttamente e concretamente posto a confronto con l’infinito. In questo dato risiede il suo fascino principale: perchè dall’infinito emerge l'enigma, l’ignoto, l’incubo, ed il confronto si trasforma in una sfida. Questo romanzo di Algis Budrys (un autore che i lettori di «Futuro» hanno già avuto modo di apprezzare) ripropone uno dei temi più classici della narrativa fantascientifica: quello della minaccia nascosta in un mondo sconosciuto, del mistero che deve essere rivelato a rischio della vita. Il mondo che cela l’enigma, e dà corpo alla sfida, è il nostro satellite naturale: la Luna, che l’uomo ha appena sfiorata, e che cela nelle sue viscere un segreto mortale. Cosa si nasconde in fondo al labirinto dal quale nessun esploratore è mai uscito vivo? Quale intelligenza maligna ha potuto concepire una trappola cosi crudele e mostruosa? L’intelletto umano non possiede strutture adeguate a scandagliare un abisso così folle e contorto, anche perchè la «cosa» che si cela in fondo all’abisso è a sua volta al di là della follia e dell’assurdo. «Il satellite proibito» è il più originale e famoso tra i romanzi di Budrys.
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1961.

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Elizabeth alzò il viso verso di lui. — Nella mia mente, un poco? Insieme a te?

Hawks la guardò. Piegandosi teneramente, come un bambino che riceve un fiocco di neve, la prese delicatamente tra le braccia. — Elizabeth, Elizabeth — disse. — Non avevo mai capito che cosa mi permettevi di fare.

— Ti amo.

Camminarono insieme lungo la spiaggia. — Quand'ero bambina — disse lei — mia madre mi aveva iscritta a una scuola di recitazione e cercava di farmi ottenere delle parti nei film. Ricordo che una volta cercavano una bambina per fare la parte della figlia di un pastore messicano, e mia madre mi vestì accuratamente con una camicetta alla contadinella e una gonna a fiori, e mi comprò un rosario perché lo tenessi in mano. M'intrecciò i capelli, mi scurì le sopracciglia e mi portò allo studio. Quando tornammo a casa, quel pomeriggio, mia zia chiese a mia madre: «Non è andata, eh?». E mia madre, così furiosa che stava per scoppiare in lacrime, disse: «È stato lo schifo peggiore che abbia mai visto! È stato terribile! Ce l'aveva quasi fatta, ma le hanno preferito una marmocchia messicana!».

Hawks, che le cingeva le spalle con un braccio, la strinse a sé. Guardò il mare e il cielo. — Questo è un luogo bellissimo — disse. — Sai, un luogo bellissimo.

PARTE NONA

1

Barker era appoggiato ad un banco, quando Hawks entrò nel laboratorio, la mattina, e gli si avvicinò.

— Come va? — chiese Hawks, guardandolo intento. — Bene?

Barker sorrise fiaccamente. — Cosa vuole? Che ci tocchiamo i guantoni prima d'incominciare l'ultimo round.

— Le ho rivolto una domanda.

— Sto benone. Vispo e pieno d'energia. Okay , Hawks? Cosa vuole che le dica? Che sono orgoglioso? Che sono pienamente consapevole del fatto che questo è un enorme passo avanti per la scienza, che sono onorato di contribuire a questo fausto giorno? Sono già decorato con il Purple Heart, Doc… basta che lei mi dia un paio di aspirine.

Hawks disse, incalzante: — Baker, è veramente sicuro che ce la farà a uscire dall'altra parte della formazione?

— Come posso esserne sicuro? Forse fa parte della sua logica il fatto che sia impossibile vincere. Forse mi ucciderà per dispetto. Non so. Posso soltanto dirle che sono solo a un passo dalla fine dell'unico percorso sicuro. Se il mio prossimo movimento non mi condurrà fuori, allora vuol dire che non esistono vie d'uscita. È un barattolo di pomodori, allora, e io sono arrivato al fondo. Ma se è qualcosa d'altro, allora, sì, oggi è il gran giorno.

Hawks annuì. — Non posso chiederle di più. Grazie. — Si guardò intorno. — Gersten è al trasmettitore?

Barker rispose di sì con un cenno. — Mi ha detto che saremo pronti al lancio tra circa mezz'ora.

— Bene. Benissimo — disse Hawks. — Può cominciare a indossare le sottotute. Ma ci sarà un po' di ritardo. Prima dovremo effettuare una mia analisi preliminare. Verrò con lei.

Barker schiacciò la sigaretta con un tacco. Alzò la testa. — Immagino che dovrei dire qualcosa. Qualche frase ironica su di lei, che arriva intrepido a guado sulla spiaggia nemica dopo che le truppe hanno già conquistato l'isola. Mi venga però un colpo se avevo mai pensato che lei fosse disposto a farlo.

Hawks non disse nulla, e s'incamminò verso il trasmettitore.

— Tu sapevi che avevamo delle tute di scorta — disse a Gersten, mentre si sdraiava dentro l'armatura aperta. I tecnici della Marina lavoravano intorno a lui, regolando le viti sulle lastre a pressione. Il guardiamarina sorvegliava attentamente, con un'espressione un po' incerta.

— Sì, ma dovevano servire solo nel caso che ne perdessimo una in un'analisi sbagliata — ribatté Gersten, ostinatamente.

— Abbiamo sempre avuto una scorta, di tutte le taglie.

— Hawks, essere in grado di fare qualcosa e farlo sono due questioni diverse. Io…

— Senti. Tu conosci la situazione. Sai quello che stiamo facendo, qui, come lo so io. Non appena abbiamo un percorso sicuro, incomincia la fase di studio. Dovremo smontare quella cosa, come se fosse una bomba: io sono il responsabile del progetto. Fino a ora, se il progetto mi avesse perduto, sarebbe stato un sacrificio troppo grande. Ma adesso il rischio è accettabile. Voglio vedere com'è quella formazione. Voglio essere in grado d'impartire istruzioni intelligenti. È tanto difficile capirlo?

— Hawks, lassù potrebbero andare storte moltissime cose, oggi.

— Supponiamo che vada tutto bene. Che Barker ce la faccia. E allora? Allora lui resta là, e io sono quaggiù. Credi che non ne avessi avuto l'intenzione fin dall'inizio?

— Prima ancora di conoscere Barker?

— Vorrei non averlo mai conosciuto. Tirati via e lascia che chiudano l'armatura. — Infilò meticolosamente la mano nel guanto, dentro al gruppo degli utensili.

Lo spinsero nella camera. I magneti lo sollevarono, e il tavolo venne rimosso. Lo sportello si chiuse e venne bloccato. Hawks galleggiò a mezz'aria, con le gambe e le braccia protese, circondato dai centomila occhi scintillanti degli analizzatori. Gaurdò oltre il disco di vetro del casco, imperturbabile. — Quando vuoi, Ted — disse con voce assonnata nel microfono, e le luci della camera si spensero.

Le luci si accesero nel ricevitore. Hawks aprì gli occhi, sbatté dolcemente le palpebre. La porta si aprì, il tavolo venne infilato sotto di lui. I magneti laterali smisero di funzionare, quando furono spenti i reostati, ed egli scese, fluttuando, a contatto con la superficie di plastica. — Mi sento normalmente — disse. — Avete ottenuto una buona registrazione?

— Sì, a quanto ne sappiamo — rispose Gersten, attraverso il microfono. — I computer non hanno riscontrato difetti nella trasmissione.

— Bene, è il meglio che possiamo fare — disse Hawks. — D'accordo… rimettetemi nel trasmettitore, e tenetemi lì. Infilate Barker nella tuta, abbassate le gambe del tavolo, e infilatelo sotto di me. Oggi — disse — segna un altro precedente negli annali dell'esplorazione. Oggi manderemo un Sandwich sulla Luna.

Fidanzato, che spingeva il tavolo attraverso il laboratorio, rise nervosamente. Gersten girò la testa di scatto e lo guardò.

2

Hawks e Barker si alzarono lentamente in piedi, nel ricevitore lunare. Gli specialisti della Marina che li attendevano fuori aprirono la porta, e si spostarono per lasciarli passare. La stazione lunare era spoglia e grigia, con le travature geodetiche di palstica triangolare che reggevano la cupola di lastre semiflessibili. C'erano lampade che ne pendevano a intervalli, come stalattiti, e il pavimento era un intreccio di stuoie pressate, poste sopra il rivestimento del terreno. Hawks si guardò intorno incuriosito, girando il casco dell'armatura con un lieve cigolio che immediatamente si trasmise alle lastre della cupola e venne ingigantito: ogni movimento compiuto da un uomo era seguito da un'eco amplificata. L'interno della struttura non era mai immobile. Scricchiolava e gemeva continuamente, facendo fremere le lampade appese ai supporti.

Gli uomini, gli specialisti della Marina nelle loro sottotute e Hawks e Barker nelle loro armature, erano inondati da riflessi mobili, come se si trovassero sul fondo di un mare sconvolto da una tempesta. Al portello, gli uomini della Marina s'infilarono nelle tute elastiche e poi, a uno a uno, uscirono tutti sulla superficie scoperta della Luna.

La luce delle stelle splendeva sopra di loro con fredda, mesta intensità, più forte di quella che discende sulla Terra in una notte illune, ma squarciata da nette fasce d'ombra a ogni irregolarità del terreno. Dal livello del suolo era possibile distinguere le forme vaghe dell'installazione, ogni cupola e ogni galleria coperta dalle griglie mimetiche; giaceva come il relitto di un dirigibile alla destra di Hawks, e aveva un vago colore verdegrigio, senza luci.

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