— Dominic.
— Dominic, d’accordo.
— Questo per quanto riguarda Greta. E di Moe, che mi dici?
Mi considerò fra stupita ed irritata. — Quel gorilla? Che fottuta specie di donna pensi che io sia, Ni… Dominic, eh? — Assaggiò la coscia di coniglio, intingendola nel sugo. — Comunque — disse, — ha cambiato aria. Lui e gli altri due Moe… si sono, per così dire, scoperti l’un l’altro, tutti e tre. E non erano mai stati omosessuali, prima! Però… a sedurli dev’essere stato il pensiero di avere amanti che sapessero tutto di loro. Voglio dire, capisci, sapere esattamente cos’è che ti dà piacere. — Esitò, gettandomi uno sguardo indagatore. — Sai di cosa sto parlando? Intendo il fatto di sapere esattamente come fare, be’, tutto quanto, cosicché…
— So di cosa stai parlando, certo — dissi con fermezza. — E allora che ne pensi?
— Vuoi dire che ne penso di sposarti? — Per qualche minuto s’industriò a spolpare le ossa del coniglio, accigliata. Si stava accigliando sull’idea, non sullo stufato, che era ottimo… anzi meditavo di farmi dare la ricetta dal cuoco. Finì l’ultima cucchiaiata di sugo, vuotò il bicchiere di vino e si guardò attorno con l’aria di chi adesso aspetta il caffè. Feci cenno al cameriere di portarne due tazzine.
— Be’ — disse, dubbiosa. — È sempre simpatico sentirselo chiedere.
— E io l’ho chiesto. A questo punto quello che succede, in genere, è che la ragazza risponde qualcosa.
— Lo so, Dom — disse. — Ci sto provando. Solo che non sono sicura di… insomma, tu che ne sai di me? Non sono esattamente quella che potresti chiamare una sposina vergine, questo lo sai. E, senza offesa, Dominic, tu mi hai sempre dato l’impressione di un classico maledetto bigotto per questo genere di cose.
Dissi: — Nyla, tu e io abbiamo alle spalle un passato che non ci fa precisamente credito. Come hai detto tu, senza offesa; ma eri affascinante quanto il morso di un crotalo. Io ero un sempliciotto. Passato remoto , Nyla. Nessuno ci costringe a essere ancora… no, aspetta un momento. — M’interruppi, mentre il cameriere portava il caffè e il conto. — Voglio dirlo un po’ meglio. Lasciami ricominciare. In un certo mondo noi dovevamo essere quello che eravamo, perché così ci ha fatto il mondo dove abbiamo vissuto. Dire «dovevamo» forse è eccessivo, dato che molto è stato solo per colpa nostra… prendiamo sempre la strada più facile. C’erano strade migliori, anche nel nostro mondo. Ma la colpa non è stata tutta nostra, e avremmo potuto essere migliori. Guarda i nostri duplicati! Il senatore, lo scienziato, e Nyla Bowquist. Potevamo essere come loro! E… possiamo ancora esserlo, cara.
Non era stata mia intenzione usare quell’ultima parola. L’avevo soltanto pensata, e senza che lo volessi m’era uscita di bocca. All’istante la vidi socchiudere leggermente le palpebre. Potei accorgermi che ne assaggiava il suono come analizzando un sapore nuovo. Non mi parve che lo trovasse repellente. M’affrettai a dire: — Il senatore si sta occupando dell’amministrazione della metà occidentale della città, adesso. Nyla è incinta. Quei due sono riusciti a cambiare le loro vite. Noi possiamo cambiare le nostre.
Lei sorseggiò il caffè, studiandomi da sopra il bordo della tazzina. — Dunque è di questo che stai parlando, Dom. Non solo matrimonio, ma anche bambini? Una bianca casetta di campagna, con le rose che si arrampicano sulla veranda e il caffè caldo fra i fiori profumati ogni mattina?
Sorrisi. — Non posso garantirti il caffè, perché il Consorzio non si può ancora permettere il superfluo. Ma il resto, certo. Anche le rose, se ti piacciono le rose.
Abbassò lo sguardo. Mi parve che le sue spalle s’incurvassero. — Dannazione! — disse. — Io amo le rose.
— Questo significa un sì oppure un no? — la incalzai.
— Be’, non c’è una legge che ci impedisca di provare questa cosa — disse. Mise giù la tazzina e mi fissò. — Perciò… sì. Desideri baciare la tua fidanzata, adesso?
— Ci puoi scommettere — sogghignai. E lo feci. Quella fu così la prima volta che la baciai. La sua bocca sapeva di caffè, di stufato di coniglio e di lei stessa, e lo trovai un delizioso miscuglio. — E ora — dissi, rimettendomi a sedere, — faremo meglio a muoverci. Tu devi prendere la tua roba, e poi dire alla gente là al museo che tagli la corda. Diciamo due ore, per questo. Ci restano ancora un paio d’ore, così magari possiamo andare in giro a comprare quello che pensi ti servirà in California, prima che il dirigibile decolli. Durante il volo costringeremo il capitano a sposarci a bordo.
S’era di nuovo portate alle labbra la tazzina di caffè e la sorseggiò. — Cristo, Dom! — protestò, come se solo in quel momento scoprisse dove stava andando a cacciarsi. — Agguanteresti un’anguilla coi denti se non ci riuscissi con le mani, tu. È una faccenda legale?
— Cara — dissi, stavolta di proposito. — Forse tu hai perso un po’ di vista come vanno le cose qui. È una vita nuova. Non dobbiamo preoccuparci di quello che una volta era legale o no. C’erano troppe leggi e di troppi generi nei mondi da cui tutti noi siamo venuti, così per andare avanti dobbiamo lasciarcela alle spalle. E fra le tante cose che abbiamo trovato qui, questa è la migliore.
Così poche ore più tardi eravamo marito e moglie, legalmente, e ce lo dimostrammo a vicenda nella piccola cuccetta del dirigibile, da qualche parte sopra il New Jersey. E poi sopra la Pennsylvania, e probabilmente anche sull’Ohio, benché l’unica posizione geografica che c’interessasse fosse quella del suo corpo rispetto al mio. Avremmo tentato un altro decollo nei cieli dell’Indiana se Mary Wodczek, che aveva officiato il rito la sera prima con grande serietà, non avesse bussato alla porta. Pudicamente fece entrare solo il vassoio, con il caffè, succo d’arancio e dei toast. — Ho pensato che gradireste un po’ di colazione — disse, e ci fece l’occhiolino con aria di gentile complicità. Le dicemmo che era un pensiero gentile. E lei gentilmente richiuse la porta.
Poco dopo, mentre seduti sul bordo del lettuccio ci lasciavamo cullare dalle oscillazioni del dirigibile, cingendomi la vita con un braccio Nyla disse: — Sai, Dominic, se qualcuno venisse a dirmi che posso tornare indietro non credo che accetterei.
— Neppure io — bofonchiai, mordicchiandole il collo.
Mi appoggiò una guancia su una spalla, pensosamente. — Però è strano. Mentre lavoravo al museo, per tutto il tempo non facevo che sperare in un miracolo. E con la fantasia mi vedevo già tornare là come una specie di eroina, dopo aver sconfitto i malvagi o qualcosa del genere… Ma laggiù le cose sarebbero sempre come prima, no? Qui invece è tutto diverso, e onestamente penso che non mi dispiacerebbe se restassimo per sempre.
— Questo è bello — dichiarai, e la baciai ancora a lungo. — Però non ti garantisco che sarà così. Voglio dire il fatto che ci costringano a restare qui per sempre.
Lei mi poggiò la fronte sul mento. Poi alzò gli occhi e mi scrutò con un sorriso incerto, come a una battuta di spirito che non riusciva a capire. — In che senso? Sai bene che hanno chiuso tutti i portali in via definitiva!
— Lo so, tesoro — ammisi. — Be’, lasciamo perdere. Ascolta, lo sgabuzzino della doccia darebbe la claustrofobia a un nano, ma scommetto che tu e io, entrandoci di traverso…
— Fra un minuto, ragazzo! Spiega quello che hai detto!
Mi piegai davanti a lei per prendere la mia tazza di caffè. — Voglio solo dire che quella gente così progredita è umana, dolcezza. Non sono superuomini. Certo, non dubito che abbiano chiuso i portali, a parte i loro apparecchi-spia, visto che hanno una paura del diavolo di vedersi sfuggire di mano i rimbalzi balistici.
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