Frederik Pohl - L'invasione degli uguali

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L'invasione degli uguali: краткое содержание, описание и аннотация

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Quando viene arrestato dall’FBI con l’accusa di aver spiato un segretissimo laboratorio di ricerca, Dominic DeSota è sbalordito, perché lui in realtà in quel luogo non c’è mai stato. Ma quando gli vengono mostrate fotografie e impronte digitali che provano inconfutabilmente il suo crimine, la vicenda si trasforma in un incubo. Il fatto è inspiegabile, a meno che non si voglia credere alla più pazzesca delle ipotesi, e cioè che esista un altro Dominic DeSota, proveniente da... un mondo parallelo. Ma il problema è che ci sono tanti Dominic DeSota quante le infinite versioni di storia contenute nell’universo, e in una di queste qualcuno ha scoperto il segreto del paratempo, e con esso la possibilità di viaggiare tranquillamente da una dimensione parallela all’altra. Tuttavia, lo sfruttamento indiscriminato del paratempo non può sfuggire alla più semplice legge di compenetrazione, e infatti ogni trasferimento fra diverse linee temporali sta per raggiungere il punto critico, in un crescendo di situazioni bizzarre e affascinanti, dove la Casa Bianca sta addirittura per essere attaccata... dall’esercito degli Stati Uniti di una dimensione parallela. E allora qualcuno dovrà a tutti i costi escogitare una soluzione per evitare che l’intero universo precipiti nel caos.
Con questo nuovo romanzo, Frederik Pohl conferma la sua inesauribile vena, e si lancia in un’emozionante avventura sul tema degli universi paralleli, piena di verve e di ironia.

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Tornai a lui. Mi stava fissando con disapprovazione. — Scusa — dissi. — Ero soprappensiero.

Sbuffò. — Cosa sei venuto a cercare qui?

— Speravo di trovare Dominic DeSota… quell’altro, lo scienziato.

— Ah, loro. Ce ne sono parecchi di loro, qui, che ammazzano il tempo discutendo dei paratempi e di tutta quella roba. C’è anche un paio di me. Potrai trovarli nel bar, probabilmente.

Fu li che andai. Le sue informazioni erano esatte. Nel bar c’erano dieci o undici persone che bevevano birra e parlavano animatamente. Due di loro erano Larry Douglas, quattro erano Stephen Hawking, ciascuno in un diverso stato di salute, due erano John Gribbin, dei quali avevo già incontrato una coppia al Floyd Bennet Field. Nessuno di loro si volse a guardarmi quando entrai: erano occupatissimi, come aveva detto il Larry all’ingresso, a confrontare le loro osservazioni.

Andai al bancone e mi servii una lattina di birra anch’io, con un orecchio alle loro chiacchiere ma di nuovo immerso nei miei problemi. Riflettere non era difficile visto che la conversazione non mi disturbava, o meglio, visto che non ne capivo una parola. — Noi siamo partiti con la fissione a oltroni — buttava lì uno di loro, e un altro lo interrompeva: — Cos’è un oltrone? — E il primo diceva qualcosa come: — Uh, è una carica, subluce mi spiego? Con una varianza di zero virgola cinque… — E un altro saltava su: — Varianza? — Dopodiché tutti cominciavano a disegnare diagrammi di reazioni subnucleari sui tovaglioli, finché uno diceva: — Ah, tu intendevi un corpo-Newmann! Giusto. E questo si scinde in un Aleph-A e in un gimmel, sicuro. — E quindi ripartivano a spiegarsi cosa fossero i gimmel. Lasciai che quei discorsi mi scivolassero dentro da un orecchio e fuori dall’altro, finché Dominic DeSota si girò a cercare la sua birra e mi vide.

— Ehi, Dom! — esclamò. — Già di ritorno? Senti un po’: Gribbin, qui, dice che loro negli acceleratori usavano piastre di vanadium, e ottenevano una brillanza quasi doppia. Tu che ne pensi?

Gli sorrisi. — Non molto — confessai. — Io sono il senatore con cui lui è tornato a casa, Dom. Ero con lui a Washington quando siamo stati prelevati.

— Oh, quello — annuì, divertito. — Be’, d’altronde io non sono quel Dom. Lui è uscito un momento a cercare sua moglie.

Sospirai. — Va bene. Digli che ero venuto a parlargli, ti spiace? — E mi volsi per uscire, invidiando la sua maledetta fortuna. Se soltanto avessero rapito anche la mia Nyla, invece dell’Agente Senzapollici, allora le cose…

Mi fermai di colpo, deglutendo un groppo di saliva.

— Ehi! — dissi. — Non avranno portato qui anche sua moglie, no? Lei non s’era mossa dalla sua linea temporale, e non stava lavorando alle ricerche sul paratempo.

— No, naturalmente no — disse l’altro Dom. Mi fissò, perplesso. — Ha fatto richiesta per essere raggiunto da lei, ecco tutto. È uscito giusto per vedere se stava arrivando.

— Richiesta… per essere raggiunto! Vuoi dire…

Sì, voleva dire proprio quel che aveva detto. I nostri rapitori non erano inumani, e il loro programma prevedeva anche questo. Erano dispostissimi a trasportare lì le nostre famiglie, a patto che le persone interessate fossero d’accordo di venire.

E io non avevo altro che da farne richiesta.

Quaranta minuti dopo ero al Biltmore Hotel, in attesa del mio turno di… l’espressione esatta, suppongo, è «fare la mia proposta». Non ero il solo. C’erano almeno cinquanta persone in fila davanti a me per lo stesso motivo. Nessuno parlava molto, certo perché ciascuno di noi stava ripassando il discorsetto che era sul punto di fare. E quando mi sentii battere su una spalla sussultai.

Ma era soltanto Nicky. — Anche tu, Dom? — disse, e sorrise. — Io ho appena finito. E adesso, se soltanto Greta dirà di sì…

D’un tratto ci trovammo al centro dell’attenzione di quelli che mi precedevano e seguivano, curiosi di sentire il resoconto di uno che aveva appena fatto la richiesta. Lo afferrai per un braccio. — Ma non ti ha risposto?

— Risposto? No! Tu non le parli mica direttamente — spiegò. — Non hanno abbastanza linee telefoniche o qualcosa del genere, credo. Quello che fai è di andare in una stanza, e loro ti riprendono come in un film… be’, non so se sia proprio un film, comunque tu puoi dire quello che hai da dire. Poi loro localizzano tua moglie, o chiunque sia, e glielo trasmettono. Come chiamavano quella roba? Olografia? Sarà una specie di immagine olografica di te, e hai tempo un minuto per parlare. Poi dipenderà da lei…

Poi tutto sarebbe dipeso da lei.

Cosa si può dire a una donna per convincerla ad abbandonare tutto un mondo che la ama, in cambio dell’avventurosa incertezza e dell’esilio? Per tutto il tempo in cui avanzai un centimetro dopo l’altro nella fila, e anche mentre fornivo all’addetto le informazioni necessarie a rintracciare Nyla Bowquist, non feci altro che escogitare ragioni. No, non ragioni. Lusinghe. Dolci promesse su ciò che sarebbe stata la nostra vita insieme… come se già sapessi tutto di essa!

E quando infine fui davanti alle lenti, con le luci dell’apparecchiatura che mi abbacinavano gli occhi, dimenticai ogni ragione, ogni lusinga, ogni promessa. E tutto ciò che riuscii a dire fu: — Nyla, mia cara. Io ti amo. Per favore, vuoi venire qui e diventare mia moglie?

Quel sabato fummo dichiarati finalmente liberi dai microbi e pronti a cominciare una nuova vita. Quel sabato la donna al banco delle informazioni dell’Hotel Biltmore era già stanca di vedersi davanti la mia faccia e quella di Nicky. C’era un numero limitatissimo di canali di comunicazione con gli altri paratempi, spiegò con pazienza, e un numero eccessivo di richieste per il loro uso. No, non sapeva se Nyla avesse già ricevuto il mio messaggio. Sì, a Nyla sarebbe stato detto tutto quel che doveva sapere su questo mondo e su come sarebbe arrivata qui. No, lei non poteva neppure immaginare quanto tempo ci sarebbe voluto. In qualche caso erano bastate meno di ventiquattr’ore, ma certa gente stava ancora aspettando la risposta dopo tre settimane…

Non volevo aspettare tre settimane. Non volevo restare solo tanto a lungo… specialmente quando nulla escludeva che alla fine delle tre settimane tutto quello che avrei avuto sarebbe stata la certezza che mi attendeva una vita di solitudine.

Nel frattempo dovevo occupare il tempo, in un modo o nell’altro. Nicky aveva lo stesso problema, tuttavia non sembrava avere anche le stesse difficoltà nel risolverlo. Quando non lavorava esplorava la città, e quando non esplorava s’incollava al terminale di computer nella nostra camera cercando d’imparare più cose che poteva. La terza volta che gli battei su una spalla per domandargli quanti ooties c’erano in un oddy-poot, disse: — Sul serio, Dom, come pensi di cavartela qui se non sai neppure tradurre i numeri?

— Mi ci confondo troppo, Nicky. Tutti quegli uno e quegli zeri!

— È aritmetica binaria — mi corresse. — Uno uguale uno. Uno-zero uguale due. Uno-uno uguale tre… — e mi mostrò una colonna di di cifre:

1 — 1

10 — 2

11 — 3

100 — 4

101 — 5

— Certo, Nicky, certo — borbottai, — ma cosa fai quando passi i primi dieci o dodici numeri digitali? E come te la cavi a pronunciarli?

Lui disse, serio: — Quel che devi fare, Dom, è solo imparare i codici di pronuncia.

— E perché dovrei? No, no, lo so — lo interruppi. — Il motivo per cui dovrei imparare è che sono inchiodato qui, e quando sei a Roma devi imparare i numeri romani, no? Solo che è una cosa idiota! Può darsi che ci sia un risparmio di tempo o qualcos’altro, però dev’essergli costato milioni passare dal sistema decimale a quello binario.

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