Lui rise. — Ma sai quanto ci hanno guadagnato? Prova a dirlo! Hanno trasmesso tutte le loro cognizioni a una memoria elettronica. Così gli basta premere un pulsante, dovunque siano, e il computer esegue una ricerca e analisi dei dati, o ne inserisce di nuovi. Tutto all’istante. In tutto il mondo. In tutti i mondi che si sono associati, perché adoperano procedimenti standard.
Lo fissai. — Parli già come un computer — dissi. — Hai imparato un sacco di cose da quando hai lasciato la tua linea temporale.
— Non ho avuto scelta, Dom — disse. — E presto o tardi capirai che non ce l’hai neanche tu. Qua. Ti aiuto a fare il primo passo. — Batté qualcosa sulla tastiera e poi si alzò. — Comincia a imparare a contare — ordinò, e mi fece sedere al suo posto.
Fui costretto a dirmi che aveva ragione.
Cosi cercai di tornare serio. Distolsi la mente dai miei problemi personali, misi da parte anche Nyla, e cominciai a concentrarmi. Ciò che Nicky aveva richiamato sul monitor per me era un vecchio documento dal titolo Il sistema binario e le necessità umane , da cui potevo apprendere gli elementi base su come scrivere in aritmetica binaria e come pronunciarla.
La forma scritta era abbastanza semplice. Il metodo consisteva nel rappresentare i numeri con gruppi di sei cifre binarie, divise in mezzo da un trattino, 000-000. Dove occorrevano più di sei cifre si usava la virgola fra i due gruppi: 000-000,000-000. Molto laboriosamente provai a convertire l’anno corrente in numeri binari, e 1983 risultò così:
1-111,011-111
A prima vista mi parve abbastanza stupido.
Poi, continuando a leggere, venni a scoprire che ogni gruppo di sei cifre aveva una sua pronuncia, basata su una regola che li per lì trovai campata in aria e ridicola. Studiando la tabella tuttavia non risultava complicata. Bisognava pronunciare i gruppi di tre cifre ma con una leggera differenza, a seconda se erano prima o dopo il trattino centrale, questo per facilitare la comprensione:
Numero binario |
Pronuncia del primo gruppo |
Pronuncio da solo o nel secondo gruppo |
000 |
ohly |
pohl |
001 |
ooty |
poot |
010 |
ahtah |
pahtah |
011 |
oddy |
pod |
100 |
too |
too |
101 |
totter |
tot |
110 |
dye |
dye |
111 |
teeter |
tee |
Così il numero «dieci», ovvero 1-010, diventava «ooty-pahtah». E «cinquanta», ovvero 110-010, diventava «dye-pahtah», cosicché quando Nicky tornò in camera fui in grado di dirgli: — Da qui a quattro mesi, per il prossimo primo dell’anno, ti augurerò un felice ooty-tee, oddy-tee.
— Ben fatto, Dom — sogghignò. — Ma l’anno che hai detto è questo. Il prossimo sarà il 1984, e perciò mi dirai «Buon ooty-tee, too-pohl».
— All’inferno se te lo dirò! — sbottai. — Credo che non riuscirò mai a imparare questa roba!
Mi mise una mano su una spalla. — Sì che la imparerai, Dom. Dopotutto, come ti ho detto, non hai altra scelta.
Non potevo occupare tutto il mio tempo a domandare di Nyla e a studiare. C’erano delle decisioni da prendere; avremmo dovuto metterci a lavorare. Inoltre non potevamo soggiornare in eterno al Plaza, poiché gli edifici adibiti alla quarantena dovevano ricevere migliaia di altri Gatti, con arrivi giornalieri. Né potevamo illuderci di continuare a lungo coi servizi di camera, perché l’albergo era un’istituzione provvisoria che lavorava in perdita. Prima di quei trasferimenti in massa nell’intero pianeta c’erano stati poco meno di cinquantamila coloni, fra volontari e coscritti. Adesso già duecentomila Gatti stavano dilapidando le risorse disponibili, e al termine degli arrivi previsti il numero sarebbe più che raddoppiato. Ciascuno avrebbe avuto bisogno di cibo, alloggio e tutti i servizi sociali del terziario, oltre alle migliaia di cosette che rendono tale la vita civile. Il cibo veniva prima di tutto. Io non sapevo nulla di giardinaggio, neppure a livello di hobby domenicale, ciò malgrado il mio primo lavoro fu all’estremità settentrionale del parco, dove molti erano già all’opera per sfoltire gli alberi, portare via il legname, riaprire i prati e sistemare i viali. Il secondo fu giù al ponte di Brooklyn, dove gli ingegneri stavano controllando i cavi e decine di persone scrostavano la ruggine e spalmavano vernice per rimettere in servizio il vecchio ponte. Il mio terzo lavoro, e poi il quarto e il quinto furono in giro per la città, a riparare condutture dell’acqua e linee elettriche, a elencare appartamenti adatti a essere abitabili per l’inverno, e al recupero di rottami buoni per essere portati in fonderia e trasformati in nuove auto, aratri, rotaie e utensili d’ogni genere in attesa che le miniere di ferro di Mesabi potessero (in qualche modo) ripartire con la produzione del minerale.
— Sarà splendido — m’incoraggiò Nicky. — Pensa, Dom, hanno bisogno di tutto, e prima o poi avranno anche bisogno di gente al governo. Tu saprai farti valere, e così anch’io. Quando Greta sarà qui… — Schioccò le dita, con un sorriso estatico. — Una casa! Una moglie! Una famiglia… una grande casa, con mezzo acro di terreno intorno e siepi belle alte, così potremo prendere il sole anche mezzi nudi se ci va…
— Scusa, ma ho un appuntamento — dissi, e me ne andai lasciandolo ai suoi sogni. Non avevo mentito, anche se l’appuntamento era con l’impiegata del Biltmore Hotel. Non ebbi bisogno di presentarmi.
— Dominic DeSota, giusto? — sospirò. — Un momento, prego. — E si girò verso il suo computer, studiando poi quel che era apparso sullo schermo. Io attesi.
E d’un tratto vidi la sua espressione farsi scura.
Potei sentirle dire le parole che aveva letto molto prima che le uscissero di bocca. — Signore, sono davvero, davvero spiacente ma purtroppo devo comunicarle che… — cominciò a dire. Alzai una mano perché mi risparmiasse il resto.
Avevo un sorriso già pronto, tenuto da parte per i momenti in cui trovarne uno vero da esibire mi sarebbe stato molto molto difficile. Quando piegai le labbra alFinsù scoprii, senza entusiasmo, che funzionava ancora. — Non sempre la pallina si ferma sul numero giusto, vero? — dissi alla ragazza. — Be’, tesoro… ha qualche impegno speciale stasera?
Il sorriso avrebbe anche potuto ingannarla, ma la voce con cui parlai la indusse a guardarmi impietosita. Era una brava ragazza. Probabilmente aveva già dovuto annunciare a centinaia di Peety-Deepies che le persone a loro care non se l’erano esattamente sentita di cominciare una nuova vita in una nuova terra. — Mi creda, molta gente ha davvero troppa paura del viaggio attraverso il paratempo — mormorò.
Il mio sorriso stava cominciando a cedere, ma lo tenni su e feci un piccolo sforzo di conversazione. — Chi non ce l’ha? — fui d’accordo, poi scossi le spalle. — Nyla non manca di coraggio, ma cose di questo genere fanno impressione a sentirsele chiedere. Non la biasimo. Se fossi stato al suo posto probabilmente avrei detto anch’io no, grazie… o almeno ci avrei pensato su molto a lungo per… — M’interruppi, perché la ragazza aveva fatto la faccia stupita.
— Come l’ha chiamata?
— Nyla. Nyla Bowquist. Qualcosa non va?
— Oh, accidenti ! — esclamò, tornando a manovrare col computer. — Lei è quel Dominic DeSota. Non l’avevo identificato correttamente… stesso numero di camera, e tutto il resto, capisce? La donna che ha dato risposta negativa si chiama Greta. La sua… vediamo. — Controllò la scritta apparsa sullo schermo, toccò la tastiera per avere conferma della lettura e quando si volse il suo sorriso brillava come l’oro. — La sua richiesta era per Nyla Christophe Bowquist, e lei l’ha accettata. Si trova già al Floyd Bennet Field per la disinfestazione preliminare. Sarà qui all’albergo entro la mattinata di domani.
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