E il motivo per cui m’ero procacciato quel passaggio fino a New York era di vedere se potevo far qualcosa in merito.
Fluttuammo giù verso Great Meadow, dove gli ormeggiatori erano in attesa di agguantare i nostri cavi, e aprii l’oblò della cabina. New York City non era cambiata molto dall’ultima volta. Non c’era ragione per cui avrebbe dovuto cambiare: erano trascorse solo sei settimane da quando ero partito per il mio nuovo lavoro in California. Ma, santo cielo, avevo l’impressione che fosse passato un sacco di tempo.
Appena gli ormeggi furono assicurati calammo la scaletta e uscii in quello che risultò un giorno grigio e piovoso tipico dell’autunno di New York, e fin dal primo passo le mie scarpe da tennis s’inzupparono di fango.
Lì ad aspettarmi c’era già Herby Madigan, che allungava il collo per cercare di vedere cosa ci fosse oltre gli oblò della stiva. Mi strappò di mano le bolle di carico prima ancora di darmi il buongiorno, e lesse la lista dei prodotti. — Pomodori? — protestò, indignato. — Perché diavolo ci hai portato dei pomodori? Ne abbiamo fin troppi negli orti del New Jersey e di Long Island.
— Da qui a un paio di settimane non ne raccoglierete più — gli dissi. — E allora vi metterete a piangere per avere i nostri. Comunque ci sono anche datteri e avocados. — Vidi il suo sguardo schiarirsi. — E ho parecchie cassette di arance e noci di cocco, tanto per farvi sorridere.
— Aranci! — esclamò.
— Ho paura che non ne vedrete molto — lo avvertii, — perché ci vorrà ancora del tempo prima che gli aranceti forniscano una produzione reale. E mentre parliamo, non potremmo levarci un momento dalla pioggia?
Non potei però farlo in fretta come avevo sperato, perché uno degli addetti al traffico aereo mi bloccò per sapere se avevo notato segni di rimbalzi balistici nel tragitto dalla California a New York. Fu soddisfatto quando gli risposi di no, fu meno soddisfatto quando dissi che per metà del tempo avevo dormito e per l’altra metà m’ero occupato solo delle scartoffie. Tuttavia riuscì a sorridere nell’informarmi che da oltre un mese nessuno aveva più segnalato fenomeni del genere. Evidentemente i loro computer confermavano che gli effetti di risonanza si stavano smorzando.
Finalmente potemmo metterci al riparo nell’ufficio di Herby, un cubicolo illuminato vivamente in una delle strutture a bolla del parco. Per una mezz’ora discutemmo e mercanteggiammo sui prezzi, e intanto ne approfittai per togliermi le scarpe e farle asciugare. Aveva del vero caffè, di cui mi affrettai ad accettare una tazza, e mi chiesi se saremmo riusciti a metterne su una piantagione. Decisi di non tentare. Alcuni membri del Consorizio erano già stati a esplorare giù verso Baja e altre zone del Messico. Un giorno o l’altro forse avremmo mandato coloni laggiù, a produrre caffè, banane e papaya, ma i terreni adatti erano troppo lontani da Palm Springs perché l’idea fosse realizzabile in quel periodo. Comunque avevo progetti più che a sufficienza per l’anno prossimo.
— Fra circa un mese avremo spinaci e uva — dissi a Herby. — E verso Natale meloni Crenshaw. Però siamo a corto di mano d’opera. Sai se ci sono probabilità che emigrino qui dei contadini davvero esperti?
— Qui non arriva più nessun emigrante — disse con aria assente, rimuginando sui meloni Crenshaw che avevo promesso. — Hanno chiuso tutti i portali, eccetto un paio adibiti solo agli apparati-spia e alle comunicazioni. Comunque puoi avere mano d’opera non qualificata. Negli alberghi ci sono ancora circa duecento fra fisici, militari e altri in attesa di un lavoro fisso.
Sospirai. Riaddestrare fisici e soldati era già costato tempo prezioso a quelli che dovevano occuparsi dei campi e dei frutteti rimasti in abbandono. — Se mi trovi una ventina di volontari — dissi, — potremo imbarcarli con noi stasera. Preferirei famiglie al completo. O ragazze nubili di cui volete disfarvi.
Lui rise. Me l’ero aspettato, ormai era una specie di battuta. Quando terminammo di discutere sui prezzi e ci fummo accordati per i prossimi carichi di derrate, versò ancora un paio di tazze di caffè e si appoggiò allo schienale della poltroncina, osservandomi pensosamente. — Dominic — disse, — che ne diresti di sistemarti qui e lavorare per me come amministratore?
— No, grazie.
Lui insisté: — Avresti un lavoro molto più comodo. Io resterei qui a occuparmi del traffico, e tu potresti curare la distribuzione delle derrate in città. Adesso abbiamo elettricità e acqua in tutto il West Side. Fra non molto qui si starà davvero bene.
— Dopo che avrete spazzato via un miliardo di tonnellate d’immondezza — sogghignai io.
— Sicuro! Ci diamo da fare. Da qui a cinque anni…
— Da qui a cinque anni — lo interruppi, — noi avremo ripulito San Diego. E quello è un posto come si deve per una città! Per non parlare del clima.
Si fece pensieroso. — Sai, ti confesso che anch’io qualche volta penso di stabilirmi in California, dopo che avremo rimesso le cose a posto qui intorno. Non mi dispiacerebbe Los Angeles…
— Los Angeles! Chi vorrebbe tornare a vivere a Los Angeles? — Gettai uno sguardo al mio orologio. — Mi ha fatto piacere parlare con te, Herby, ma il dirigibile partirà stasera con o senza di me e ci sono delle cosette che vorrei fare. C’è la possibilità di trovare da qualche parte un paio di scarpe come si deve? E magari un impermeabile?
L’atrio del Plaza era molto più lindo di come l’avevo lasciato, e anche più vuoto. Dai centri di quarantena di New York City erano passati circa ventiduemila Peety-Deepies. Al Plaza ne restavano meno di duecento, mentre molti degli altri alberghi erano stati chiusi e sigillati, in attesa dei futuri turisti che sarebbero giunti in auto o in aereo invece che attraverso i portali.
Non mi trattenni molto. Appena entrato andai al banco della ricezione, dove l’impiegata mi lasciò usare il suo terminal abbastanza da ottenere un nome e un indirizzo. Poi chiesi al portiere come si poteva raggiungere Riverside Drive, venni a sapere che davanti all’albergo avrei potuto prendere un taxi, e solo allora ricordai che non avevo neppure i soldi per pagarmi una corsa in taxi. O nient’altro. — Posso pagare con la mia carta di credito della California? — domandai, e lui cercò di non mettersi a ridere.
— Ha bisogno di liquido — m’informò. — Laggiù c’è l’ufficio del nostro cassiere. Se ha una carta di credito, forse potrà fare qualcosa per lei.
Poté farlo. Gli occorse l’aiuto di un computer per convincersi che non lo stavo imbrogliando, ma infine mi contò un bel mucchietto di strani dollari fruscianti e uscii in strada soddisfatto. Un provinciale nella grande metropoli, così mi aveva visto. Alcune cose non sarebbero mai cambiate!
Nel taxi esaminai le banconote, incuriosito. Era una seccatura usare le carte di credito per le piccole cose, come quando si trattava di acquistare oggetti dalle comunità indipendenti di Santa Barbara o Palo Alto, o di fare una partitina a poker il sabato sera. Queste avevano colori interessanti: verde-oro e nero da un lato, oro e scarlatto dall’altro. I numeri erano binari, naturalmente, e il materiale era diverso da qualunque altra carta per banconote avessi visto in vita mia. Nell’altra mia vita, intendo. Al tatto risultava liscia come la seta, e come scoprii quando ne raschiai un angolo con un’unghia era molto più dura della carta. L’effetto visivo era quello di una banconota, anche se le immagini della Casa Bianca da una parte e quella di Andrew Jackson dall’altra non erano disegni bensì ologrammi. Girando la banconota fra le dita la prospettiva cambiava leggermente, e altri colori apparivano nei disegni: rosso bianco e azzurro dietro Jackson, e un arcobaleno completo sopra la Casa Bianca. In un angolo c’era il nome della tipografia, una di Filadelfia — fino ad allora avevo creduto di sapere tutto su quel che organizzavano a Filadelfia — cosicché ne presi nota, scarabocchiando il meno possibile mentre il taxi prendeva tutte le buche nell’asfalto di Broadway. Alla prossima riunione del consiglio avrei proposto di pensare alla possibilità di far stampare cartamoneta di quel genere anche per noi.
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