Frederik Pohl - L'invasione degli uguali

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L'invasione degli uguali: краткое содержание, описание и аннотация

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Quando viene arrestato dall’FBI con l’accusa di aver spiato un segretissimo laboratorio di ricerca, Dominic DeSota è sbalordito, perché lui in realtà in quel luogo non c’è mai stato. Ma quando gli vengono mostrate fotografie e impronte digitali che provano inconfutabilmente il suo crimine, la vicenda si trasforma in un incubo. Il fatto è inspiegabile, a meno che non si voglia credere alla più pazzesca delle ipotesi, e cioè che esista un altro Dominic DeSota, proveniente da... un mondo parallelo. Ma il problema è che ci sono tanti Dominic DeSota quante le infinite versioni di storia contenute nell’universo, e in una di queste qualcuno ha scoperto il segreto del paratempo, e con esso la possibilità di viaggiare tranquillamente da una dimensione parallela all’altra. Tuttavia, lo sfruttamento indiscriminato del paratempo non può sfuggire alla più semplice legge di compenetrazione, e infatti ogni trasferimento fra diverse linee temporali sta per raggiungere il punto critico, in un crescendo di situazioni bizzarre e affascinanti, dove la Casa Bianca sta addirittura per essere attaccata... dall’esercito degli Stati Uniti di una dimensione parallela. E allora qualcuno dovrà a tutti i costi escogitare una soluzione per evitare che l’intero universo precipiti nel caos.
Con questo nuovo romanzo, Frederik Pohl conferma la sua inesauribile vena, e si lancia in un’emozionante avventura sul tema degli universi paralleli, piena di verve e di ironia.

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E l’autista dovette inchiodare di colpo i freni.

Il viale era bloccato per tutta la sua lunghezza. Sembravano gli schieramenti preliminari per la parata del Giorno delle Forze Armate, con le rappresentanze di ogni arma in sosta anche nelle stradicciole laterali, e i capisquadra dagli elmetti rossi o dorati che andavano nervosamente avanti e indietro accanto ai loro veicoli in attesa di ricevere via radio il segnale di partenza. Solo che non si stavano preparando a una parata. Si preparavano a varcare il portale, per attaccare la Signora Presidentessa. E in quello scenario c’era una nota anacronistica: una corsia del viale era stata tenuta aperta per evacuare un po’ degli animali più ingombranti dello zoo, tutti quanti mezzo imbizzarriti per il rumore e la confusione. Veicoli simili a vagoni ferroviari, con porte e finestre di sbarre, stavano portando via leoni, leopardi e gorilla. Dietro di questi dozzine d’inservienti frenetici stavano facendo marciare le giraffe, gli elefanti e le zebre nella calda notte di Washington. Il nostro autista suonò rabbiosamente il clacson. Un elefante scalpitò con un barrito minaccioso. — Al diavolo! — mi gridò all’orecchio Magruder. — Impossibile passare in questo caos! Dobbiamo proseguire a piedi!

Anche a piedi non fu un divertimento. I cingolati da assalto erano fermi in lunghe file, e zigzagare fra essi significava finire ogni tanto quasi fra le zampe degli elefanti… e dover saltare, qua e là, mucchi di sterco d’elefante. Facciaditopo Magruder avanzava come un mediano di mischia in possesso di palla fra la difesa avversaria, voltandosi a lanciarmi richiami a cui non rispondevo neppure, occupato com’ero a farmi strada verso il cancello dello zoo oltre il quale c’era il portale.

Nessuno era in via di passaggio attraverso il rettangolo nero.

— Dannazione! — imprecò ancora Magruder. — Andiamo! — E si diresse al bar dello zoo, dove gli ufficiali in comando si stavano affollando attorno a un televisore.

— Qual è il problema qui, eh? — sbottò. Un generale con due stellette si volse.

— Guardi lei stesso. — Agitò un pollice verso lo schermo. — C’è una trasmissione via satellite dal palazzo delle Nazioni Unite, a Ginevra.

Un diplomatico grasso, con occhiali a pince-nez, stava leggendo qualcosa alle telecamere. La voce che si udiva era però quella di una donna, che traduceva dal russo all’inglese.

— I russi? — chiese Magruder.

— Indovinato — annuì l’altro generale. — Quello che sta parlando è il delegato sovietico. Nota la sua faccia stanca? Sono circa le sei di mattina laggiù; dev’essere rimasto in piedi tutta la notte.

— Che cos’ha detto, signore? — domandai io.

— Be’ — riferì asciutto il generale, — sta dicendo che hanno… come le ha chiamate? le prove incontrovertibili che stiamo portando avanti un attacco contro di loro passando attraverso un mondo parallelo. Ha detto che se non ritiriamo immediatamente le nostre truppe la Russia agirà come davanti a un’invasione del suo territorio. C’è quasi da ridere, no? I russi che proteggono gli americani da altri americani!

Deglutii saliva. — Questo significa che…

— Che ci attaccheranno? Sì, sembra che voglia dire questo. Perciò può anche trovarsi da sedere da qualche parte. Abbiamo bloccato ogni movimento di truppe finché qualcuno non deciderà quel che dobbiamo fare… e ringrazio Iddio che quel qualcuno stia molto più in alto di me.

Poiché era una dei pochissimi che riuscivano a decifrare il suo linguaggio da laringectomizzato, alla segretaria venne chiesto di spingere la sedia a rotelle dell’uomo lungo gli antichi viali ombrosi del college. Ma davanti alla scalinata della terrazza dovette fermarsi. — Cercherò qualcuno che mi aiuti — disse, e si chinò per ascoltare il sussurro di lui. — Oh, no — lo rassicurò. — Non è un disturbo, Dr. Hawking! — E non mentiva. Anche nell’afa di quell’Agosto inglese (c’erano più di 35 gradi!) scortare uno scienziato di fama mondiale nei bei viali di Cambridge non era una seccatura. Era un onore, e una responsabilità. Ma quando la donna fece ritorno con un robusto impiegato e un ansioso professore del King’s College, le sfuggì un grido di sconforto. — Ma non può essersi alzato da solo! — gemette. Tuttavia davanti a loro c’era la sedia a rotelle, con le cinghie di sicurezza ancora allacciate, il poggiapiedi fissato in alto per tenere ferme le sue gambe invalide… ma Stephen Hawking non era più lì.

Data: 11-110 111-111, mo 1-000, da 11-101
Ore: 1-010, mn 11-110 — Senatore Dominic DeSota

Non riuscireste mai ad abituarvi a saltare da un tempo parallelo a un altro, neppure se sapeste che è quanto vi sta accadendo.

Io non lo sapevo.

Tutto ciò che seppi fu che un momento prima stavo affrettandomi giù per le scale che scendevano dall’appartamento della Presidentessa, con gli occhi fissi sulla donna che amavo. E un momento dopo, senza alcun percepibile intervallo di tempo (avrebbero potuto essere ore, e avrebbero potuto essere giorni) giacevo disteso sulla schiena mentre una voce mi sussurrava dolcemente all’orecchio che non avevo nulla di cui preoccuparmi. Quello era proprio il genere di cose che riuscivano a preoccuparmi. Sapevo riconoscere una bugia quand’era abbastanza grossa, e un nodo d’angoscia mi strinse alla gola.

Questo era ciò che provavo a livello mentale. Ma il mio corpo non sembrava far parte di quel tormento, di quell’angoscia. Giaceva immobile e perfettamente rilassato. Non avevo mai provato una tale rilassatezza fisica fin’allora, salvo forse ogni tanto dopo un amplesso davvero prolungato con Nyla quando ambedue ci abbandonavamo piacevolmente sfiniti. Non voglio dire che le mie condizioni avessero qualcosa di sensuale, solo che ero in uno stato di pieno e completo riposo muscolare.

Non c’era motivo che giustificasse questo. C’erano mille motivi per cui avrei dovuto essere teso e allarmato, e avrei dovuto sentirmeli come un groviglio doloroso nei muscoli e nei nervi. Inoltre nulla di quel che potevo vedere o sentire sembrava fatto per rassicurarmi. Ero disteso su un giaciglio duro in un locale simile a una stanza mortuaria delle più macabre. C’era un’altra dozzina di giacigli oltre al mio, ciascuno con un corpo umano su di esso. L’acre odore di medicinali e sostanze chimiche mi convinse che doveva trattarsi appunto di una «morgue».

Neanche la persona che mi stava sussurrando all’orecchio era rassicurante. Non aveva faccia. Uomo o donna che fosse, ciò che riuscivo a vedere era un velo color carne che celava tutto dai capelli al mento. Oscillava appena, mentre la voce parlava, ma sotto di esso non s’indovinavano forme o lineamenti d’alcun genere. Lei (o lui) stava dicendo: — Sarà trattato bene, uh, senatore, uh, DeSota, e godrà della più completa libertà personale. — E mi poteva vedere, benché non gli/le scorgessi gli occhi, perché le sue mani mi stavano toccando, e dove lui/lei mi toccava avvertivo un formicolio o una fitta di dolore.

Mi stava facendo qualcosa. Potevo solo lasciare che lo facesse.

E c’era un’altra cosa che dovetti lasciar succedere. Non voglio dire che non fossi scosso, o preoccupato… diavolo, ero terrorizzato! Ma qualunque cosa la mia mente provasse a dire al mio corpo esso non ubbidiva: faceva ciò che gli diceva di fare qualcun altro. Non c’era bisogno che gli fosse detto in parole; tocchi e gesti bastavano, e all’istante il mio corpo si muoveva, si girava, o presentava al richiedente la parte da lui desiderata.

D’un tratto ricordai che avevo già visto qualcosa di simile, dopo che Nyla Senzapollici e il suo gorilla erano stati recuperati insieme a noi dalla stanza del motel nel New Mexico. Ma loro erano addormentati. Questo era molto, molto peggio. E in quell’occasione io ero stato solo uno spettatore. Non avevo mai immaginato di poter subire un trattamento così indegno, col mio corpo che si girava da una parte e dall’altra, da solo, offrendosi poi a una specie di sculacciata finale.

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