Frederik Pohl - L'invasione degli uguali

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L'invasione degli uguali: краткое содержание, описание и аннотация

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Quando viene arrestato dall’FBI con l’accusa di aver spiato un segretissimo laboratorio di ricerca, Dominic DeSota è sbalordito, perché lui in realtà in quel luogo non c’è mai stato. Ma quando gli vengono mostrate fotografie e impronte digitali che provano inconfutabilmente il suo crimine, la vicenda si trasforma in un incubo. Il fatto è inspiegabile, a meno che non si voglia credere alla più pazzesca delle ipotesi, e cioè che esista un altro Dominic DeSota, proveniente da... un mondo parallelo. Ma il problema è che ci sono tanti Dominic DeSota quante le infinite versioni di storia contenute nell’universo, e in una di queste qualcuno ha scoperto il segreto del paratempo, e con esso la possibilità di viaggiare tranquillamente da una dimensione parallela all’altra. Tuttavia, lo sfruttamento indiscriminato del paratempo non può sfuggire alla più semplice legge di compenetrazione, e infatti ogni trasferimento fra diverse linee temporali sta per raggiungere il punto critico, in un crescendo di situazioni bizzarre e affascinanti, dove la Casa Bianca sta addirittura per essere attaccata... dall’esercito degli Stati Uniti di una dimensione parallela. E allora qualcuno dovrà a tutti i costi escogitare una soluzione per evitare che l’intero universo precipiti nel caos.
Con questo nuovo romanzo, Frederik Pohl conferma la sua inesauribile vena, e si lancia in un’emozionante avventura sul tema degli universi paralleli, piena di verve e di ironia.

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Da lì a non molto. Ma non subito, perché adesso avevo altre cose da fare.

Quando terminai di sciacquarmi i capelli ero già riuscita a elaborare un piano che poteva funzionare piuttosto bene. Mi arrotolai un asciugamano intorno alla testa bagnata, senza preoccuparmi d’indossare altro, e uscii dal bagno. Su di me si fissarono tre sguardi mascolini penetranti come trapani; li ignorai e mi rivolsi alla Bowquist: — Mi piacerebbe prendere a prestito un po’ di biancheria — dissi, con una certa buona grazia.

— Nei cassetti — rispose, indicando il canterale. Era troppo ben educata per fare commenti sulla mia nudità, ma mentre aprivo i cassetti notai con la coda dell’occhio che reprimeva un sorriso. Mutandine, calze di nylon, reggiseni… tutta roba di lusso, e tutta ordinata secondo lo stile. Quella Amy doveva essere un tipo prezioso. Scelsi un intero set di biancheria in seta bianca, parlando mentre la indossavo.

— Quello che adesso faremo — dissi, — è d’impadronirci di un portale. Poi torneremo a casa nostra.

Questo produsse un mutamento d’espressione sulle loro facce. Specialmente negli uomini. Avevo notato già altre volte negli uomini che, mentre un corpo nudo li interessa sempre, trovano qualcosa di particolarmente eccitante in una femmina appena uscita da sotto la doccia, calda e bagnata, ancora fumante: sembrano incapaci d’aspettare che si sia asciugata. Ma feci in fretta a distoglierli da quei pensieri. Moe annuì, accettando la direttiva generale. L’altro Larry sembrava istupidito. E il nostro Larry sbuffò. — Per l’amor di Dio, Nyla, non riesci a capire che adesso sei fuori da quel letamaio? Rimani qui! Dimentica questa stupida idea di tornare indietro!

Scossi il capo. — Forse tu sei ansioso di dimenticare casa tua, tesoruccio — dissi, — perché, ammettiamolo pure, là ti attende un futuro assai poco divertente. Ma io lavoro per il Bureau, e loro si aspettano qualcosa da me. Devo presentare il mio rapporto.

— Aah, all’inferno, Nyla! — grugnì. — Vuoi davvero tornare in un posto dove ti sbattono in galera se porti gli shorts a più di un palmo sopra il ginocchio? Questo non è un mondo malvagio! Quando si saranno liberati da questa guerricciola… — Poi una riflessione gli bloccò la voce in bocca, e la rabbia che aveva in faccia si trasformò in ansia. — Cosa intendi per «futuro poco divertente»?

Dolcemente dissi: — Non ti aspetterai che io ti protegga in eterno, no? Direi che ormai sei proprio bruciato, carino… Vuoi passarmi quei pantaloni bianchi, Bowquist?

— Ma Nyla! Perché vuoi negare quel che c’è fra noi?

— Bah, Larry, chi vuoi prendere per il bavero? È una vita che sei impelagato nei tuoi piccoli racket, una truffa qui, un furtarello là. Mica ti biasimo per esserti immaginato che entrare nel mio letto era il colpo grosso che sognavi. Sbatterti un Agente Capo dell’FBI era una garanzia per star fuori dalle nostre mani, eh? Ma il dossier che abbiamo su di te intanto cresceva. … solo che non te l’ho mai detto.

— Nyla! — Stava cominciando a sudare. L’altro Larry, per contro, parve meno abbacchiato: peggio va per qualcun altro, meglio sembra che vada per noi. Erano proprio due tipi della stessa razza: snelli ed eleganti di modi, anche piacevoli, ma dentro fatti di niente.

— Non facciamoci cattivo sangue — dissi, tirando su la lampo dei pantaloni e ammirandomi allo specchio. Non erano aderenti come mi sarebbe piaciuto, però quel che volevo era evitare l’attenzione, non attirarla. Gli battei una mano su una spalla. — Anch’io ho avuto quel che volevo, lo sai. Ti avrei messo definitivamente in cima alla graduatoria di quelli che frequentavano la mia camera da letto, se non avessi cercato di ciurlarmi nel manico. Ed è quello che hai fatto. — Tolsi l’asciugamano dai capelli e me li tastai. Ancora piuttosto bagnati. — Bowquist, hai da prestarmi anche un asciugacapelli?

— Nel bagno — disse, muovendosi verso la porta, ma la fermai.

— Vai tu, Larry, e poi dammi un’asciugatina, eh? — ordinai al nostro Larry. Con aria risentita entrò nel bagno, e lo sentii frugare negli armadietti. — Ora, quel che cercheremo di fare sarà uno scambio. Noi abbiamo qualcosa che loro vogliono. Loro hanno qualcosa che io voglio.

— Qualcosa cosa, capo? — si accigliò Moe, ruminando sulla difficoltà di quel concetto.

— Quello che hanno loro è un portale. Quello che abbiamo noi sono due ostaggi. — Sorrisi con simpatia all’altra Nyla e all’altro Larry. — La Bowquist è quella che saranno più ansiosi di riavere, suppongo — dissi, — a giudicare da come il suo boyfriend se la coccolava. Sfortunatamente non è lui ad avere il portale. Ma ce l’ha il DeSota che vuole te, Dr. Douglas, e ci tiene molto a recuperarti…

— Oh, no ! — gemette lui. — Ascoltate: non dovete rimandarmi da loro! Ho un’idea migliore.

— Sto ascoltando — dissi, sempre sorridendo.

— Avremo l’uso di un portale, forse… non so come, ma troveremo il modo. E torneremo nel vostro paratempo. Vi insegnerò come costruire l’apparecchiatura, così come l’ho insegnato agli altri! È questo che volevate da me! Lavorerò fino alla morte per voi, ve lo giuro!

Ci pensai su. — Così potrebbe essere ancor più sicuro per noi — gli concessi. — La domanda è: dove trovare un portale? — Mi volsi alla Bowquist. — Forse è qui che puoi venire utile. Pensi che se tu sussurrassi le paroline giuste al tuo boyfriend lo convinciresti a lasciarci usare un portale, per qualche minuto?

— Non ne ho idea — disse, molto fredda, molto distaccata. Situazioni di quel genere non erano parte del suo mondo, e dovetti ammirarla. Con una parte di me desiderai essere più simile a lei. E con quella parte di me rimpiangevo amaramente ciò che non ero diventata, ciò che avrei voluto diventare se le cose fossero andate diversamente, perché dopotutto io ero lei… — Cosa?

— Ho detto — ripeté, — che al tuo ex amichetto dev’essere successo qualcosa. — Stava guardando in direzione del bagno.

Mi occorse un secondo per capire di cosa stava parlando. Poi m’accorsi che aveva ragione. Nella stanza da bagno era già cessato ogni rumore, ma Larry ancora non usciva. Fui alla porta con due passi svelti.

Non c’era nulla dietro cui ci si potesse nascondere li dentro. Non sotto il lavandino, non nel cubicolo della doccia le cui tendine erano aperte come le avevo lasciate poco prima, e non dietro di esse.

Lui non c’era. Non esisteva neppure un pertugio da cui sarebbe potuto uscire. Ma lui non era lì.

Per la prima volta da non so quanto tempo provai la morsa gelida e acre della paura fisica. Mi volsi a Moe, in piedi presso la finestra, e aprii la bocca per dirgli di cercare sotto il letto o da qualche altra parte. L’espressione di Moe era vagamente perplessa…

Poi non ci fu più nessuna espressione sulla sua faccia, perché non ci fu più una faccia su cui avrebbe potuto dipingersi.

Nessuna faccia.

Un attimo prima guardavo lui, e un attimo dopo stavo guardando attraverso di lui. Era scomparso. I miei occhi brancolarono sulla finestra, sul canterano dove giaceva il fucile preso al soldato che aveva ucciso, ma dell’uomo che era stato in piedi fra me e quegli oggetti non c’era più traccia.

D’improvviso oltreché spaventata mi sentii nuda. Non intendo a pelle nuda, come quand’ero uscita dalla doccia, voglio dire senza speranza e senza difesa alcuna. Balzai verso il fucile automatico per puro riflesso.

Non lo raggiunsi mai.

La stanza cominciò a farsi evanescente, a svanire…

Ed ero svanita anch’io.

Avevano sorvolato i verdi campi d’Irlanda e si trovavano ormai da duecento miglia sull’Atlantico quando finirono di controllare i biglietti. Non era stato un lavoro molto entusiasmante. I passeggeri erano irritati e a disagio; sapevano che qualcosa stava andando storto. C’era stata quell’impiegabile attesa prima che la torre di Heathrow desse il permesso di decollo, tutti quei sussurri nello scompartimento delle hostess, e poi l’insolita richiesta di ricontrollare i biglietti a tutti quanti mentre erano già in volo. Eppure la cosa doveva esser fatta, perché il cancelletto alla dogana aveva marcato il passaggio di 640 persone, e sulla scaletta del grande pulsojet la macchina aveva ticchettato su 640 biglietti, ma a bordo c’erano soltanto 639 passeggeri. Qualcuno, in qualche modo, era salito sull’aereo ma mancava alla conta. Quando ogni poltroncina su ambedue i livelli fu controllata e i sei compartimenti frugati in ogni angolo, incluse le diciotto toilette e i nove bagagliai, l’equipaggio non aveva ancora una spiegazione, ma se non altro aveva un nome. — Be’ — disse cupo il secondo ufficiale, — almeno sappiamo di non aver sbagliato la conta. Ma non vorrei essere al posto di chi dovrà dare la notizia alla famiglia di questo Dr. John Gribbin!

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