«Non devi offenderti. Tieniti pronta, piuttosto, a intervenire quando do il segnale. E non curiosare nei miei banchi memoria quando siamo in sovrapposizione… Tutti sono convinti che per diventare dottori basta conoscere i fatti: una volta piazzati i leucociti e i citoplasti ai posti giusti, chiunque crede di poter essere una segaossa! È quello che pensi tu. Quindi tieniti fuori e fai il tuo lavoro, e io farò il mio».
Cosa diavolo stavano combinando? Jackson tentò di sfilare le braccia, e questo gli permise di scoprire che era impossibile. E anche se si fosse liberato, dove avrebbe potuto fuggire? Fuori? Attraverso la piccola stanza dove Ahmuls bussava e bussava? Ma cosa diavolo volevano fargli? Due tamponi rotondi spuntarono dietro la sua testa, la strinsero leggermente.
«Bene, adesso parto con i predispositori». Una cosa minuscola, simile alla punta cava di un giavellotto, uscì di scatto dalle viscere del dottore, sfrecciò alla gola di Jackson, si arrestò vicinissima e sparò qualcosa di freddo e pungente nel punto dove la pulsazione del sangue si avvicina di più alla superficie della pelle. Jackson lo sentì solo per il tempo di un battito del cuore; era ancora meravigliato per la rapidità con cui si muoveva quando la punta guizzò via e sparì. «Dose massiccia», commentò il dottore. «Con questo individuo occorre la stessa dose che servirebbe per insegnare composizione sinfonica a un cavallo». Jackson sentì che ai suoi occhi, e ai suoi orecchi stava accadendo qualcosa di molto strano. I suoni cominciarono a spezzarsi in minuscoli frammenti vibranti. I contorni di tutto ciò che vedeva si confusero, e si sentì molto debole. Torrenti di lacrime scintillanti gli sgorgarono dalle palpebre inerti e gli corsero sulla faccia.
Dalla bocca dello stomaco si dilatò una sensazione calda, ingombrante. Si sentiva le dita come se le palme venissero tagliate, senza dolore, lungo le ossa. Mentre le lacrime gli piovevano dagli occhi, le labbra erano gonfie e aride; e mentre il ventre era caldo, la fronte era gelida. Deglutì, e sentì uno schiocco negli orecchi. Sbatté le palpebre, e gli occhi colmi di lacrime parvero riempirsi di sabbia. «È pronto», disse il dottore.
Un altro spruzzo fine e freddissimo sulla nuca di Jackson. «Inizio dell’ input » . Qualcosa che era sottile e solleticante come uno dei capelli di Petra Jovans si insinuò nel collo di Jackson, penetrò elegantemente nella testa e, a quanto gli parve di capire, restò lì a fremere. «Sta bene, inserisciti», disse il dottore.
Qualunque cosa fosse, Jackson intuì che Susiem doveva averlo fatto perché all’improvviso, dentro la sua testa, dove era lui, vi fu una sensazione come… accadde una cosa come… be’, quello che accadeva era che… no, quello che accadeva era…
«A chi potrei dirlo?», urlò Jackson, con tutto il fiato che aveva nei polmoni. «Chi mi crederebbe?».
Non era diverso, in realtà, dal ricordo di essere stato bambino, intorno alla Spina. Un giorno era soltanto un marmocchio (un marmocchio qualunque, a parte il fatto che era dentro se stesso), e il giorno dopo era lì, a bordo della nave della spedizione, e ricordava. Probabilmente non era diverso.
«Ebbene?», chiese il dottore.
«È fatta», disse Susiem.
Aveva in bocca il sapore della polvere calda che turbinava intorno alla Spina, mentre lui correva e correva. La sensazione della prima volta in cui aveva mosso il braccio nel modo giusto e il dardo era volato diritto al bersaglio, ronzando, preannunciando quello che poteva fare Honor White Jackson. Honor Second Black Jackson. Honor Red Jackson. Honor Red Jackson, sofferente e affamato, che simulava d’essere una porta tra gli echi alieni della Spina degli amsir. E adesso era lì. La memoria non aveva né tempo né spazio.
Si sentiva la testa piena da scoppiare.
Ehi!, pensò, avevo ragione! Era troppo piccolo… Era tutto troppo piccolo, ed era tutto sbagliato. Io avevo ragione, e loro avevano torto.
Quando pensò a come avevano tentato di tenerlo incatenato, come si tenevano incatenati anche loro, cominciò a sorridere. Quando pensò agli amsir, che frugavano e cercavano, cercando di comprendere tutto dal posto in cui erano… Sorrise ancora più trionfalmente. Oh, caspita… Mia è la Terra e tutto quello che c’è.
«Congratulazioni, capitano», disse Susiem. «Ora sei laureato cum laude in Arti Liberali presso l’Università Statale dell’Ohio. Hai uno speciale diploma in Psicologia del Comando dell’Università di Chicago e un altro in giornalismo Militare dell’Accademia Aeronautica. Sei pienamente qualificato per comandare questa nave».
«Lo so», disse Jackson.
«Queste qualifiche ora sono registrate nel mio banco dei dati e verranno comunicate al Centro Statistiche della Terra appena avrò ristabilito il contatto con la rete comunicazioni del Progetto di Ricerche Generiche delle Università Associate del Middle West», continuò scrupolosamente Susiem.
Jackson la sentiva appena. Sentiva, attraverso la struttura della nave, molto sommesso ma molto presente nei suoi pensieri, un klop, klop, klop.
«Non conosci un modo per farlo uscire dalla camera stagna e fargli ridiscendere la scaletta, vero?», disse pro forma; ma del resto non voleva farlo. Povero, sciagurato Ahmuls. Se l’avesse fatto uscire e l’avesse rimandato all’affetto dell’Anziano amsir, di che utilità sarebbe stato, dopo che la nave se ne fosse andata? E la nave se ne sarebbe andata. Lui non aveva certo intenzione di restare per sempre a terra, anche supponendo che il sistema di supporto vitale potesse durare tanto a lungo, adesso che il suo organismo lo sfruttava. Ma anche questo era secondario… Anzi, irrilevante. Chi, conoscendolo per ciò che era adesso, sapendo quali lacune c’erano da colmare, avrebbe potuto immaginare che lui andasse in qualche altro posto che non fosse la Terra?
Sulla Terra, ad Ariwol, notò tra parentesi. Sulla Terra, ad Ariwol. La lingua della sua mente si attorceva voluttuosamente intorno alla capacità di far fluire le vocali lunghe; trasse un respiro profondo, così profondo da dargli le vertigini.
Klop, klop, klop.
Buttarlo fuori, al ridicolo e al disprezzo, all’inutilità, dopo che la nave se ne fosse andata? Come poteva fare una cosa simile a un essere in suo potere, quando non aveva neppure bisogno di mangiarlo?
Mangiare.
«E il lichene che gli amsir mangiano? Puoi sintetizzarlo per… per il nostro compagno di viaggio?».
«Io so fare tutto quello che può fare un Susiem».
«È una forma terrestre assolutamente normale», disse il dottore.
«Oh. Allora non ci sono problemi. Lasciamolo entrare. Lo terremo a bada abbastanza a lungo perché tu e Susiem possiate fare il possibile per il suo cervello e la sua scheda, e tutto sarà risolto».
«No. Ecco, stai già dimostrando che la poca conoscenza è più pericolosa dell’ignoranza. Innanzi tutto, non so cosa intendi tu per “tenerlo a bada”, ma io certamente non affronterei un organismo ostile delle sue dimensioni con un arto fragile quanto lo è il tuo braccio in questo momento. E non mi sembra che tu abbia tratto le esatte conclusioni circa la sua dieta. Mi sorprende che sia riuscito a sopravvivere, là fuori. Non ho predispositivi in grado di fare qualcosa di utile ai suoi acidi nucleici. Stai antropomorfizzando. A tutti gli effetti, tra lui e gli umani c’è meno affinità di quanta ce ne sia tra te e me».
«È ridicolo!», esclamò Susiem. «È perfettamente umano… non può volare, vero?».
«Se non vuoi che i tuoi errori vengano scoperti, nave, non attivare i dottori».
«Basta, voi due, piantatela», disse Jackson. Cosa diavolo intendeva il dottore? Lui non poteva tenere a bada Ahmuls? Adesso sapeva benissimo come poteva tenerlo a bada. L’aveva imparato al secondo anno d’università. Quel che non gli avevano insegnato era come farselo piacere. Però gli avevano insegnato a fare anche cose che non gli piacevano, quando studiava per il diploma di psicologia. Erano sorprendenti, tutte le cose che aveva imparato. «Dottore… E va bene, non puoi predisporlo. Puoi rimetterlo in sesto, se venisse ridotto male?».
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