«…dhaysstrouhttih ihndiishchriihminhautammennteh», disse la porta.
«Quindi devo pensare a me stesso, porta», disse Jackson, senza prestare attenzione, mentre la porta ricominciava.
«Ehi! Stai parlando a me?», chiese stizzito Ahmuls dal basso.
«No».
«Thwouhttii l auhlttriih…», disse la porta.
«Devo domandarmi: se un uomo non può essere una porta, una porta può essere un uomo? E credo che conosciamo entrambi la risposta. Sei stupida, porta. Conosci la differenza tra un essere come me e un amsir. Devi tenere fuori gli amsir, quindi forse devi lasciare entrare gli uomini. Voglio dire, questo l’ha capito persino l’istruttore. E l’ha capito anche il loro Anziano, quindi tutto quadra. Ma tu non vuoi lasciarmi entrare. Non mi stendi, ma non mi lasci entrare. Non stendi neppure Ahmuls, e questo è un errore. No, no, non c’è niente da fare… Sei stupida. Quindi devo pensare come posso rendermi stupido quanto una stupida porta che crede d’essere un uomo».
«…ihndiishchriihminhautammennteh».
Jackson girò la testa in un modo che appariva molto pigro e casuale, e che sarebbe stato casuale in un uomo che non avesse il braccio tanto dolorante. Ahmuls era lì, e lo guardava. Durante le occasioni in cui Ahmuls aveva svolto quella mansione, aveva imparato che se inclinava la testa all’indietro e torceva le spalle in un certo modo, non doveva usare le dita per scostarsi dagli occhi le pieghe pendule della pelle. «Ti voglio bene», disse Jackson.
«Sei orribile», rispose Ahmuls, con tono definitivo.
«Dunque, stavo dicendo, porta… Sei stupida! Ma hai le orecchie e il tatto e credo anche che tu possa vedere, anche se non parli in modo chiaro».
«…peer l perhrrsowwnnuhlleh hmmahnoh».
«Ora, il fatto è, porta, se non lasci entrare me e non lasci entrare gli amsir, cosa mai hai lasciato uscire che avrebbe voluto rientrare? Doveva essere qualcosa che parlava come te ma che ha il mio aspetto, no, porta? O almeno», disse Jackson, ascoltando il canterellare di Ahmuls mentre la porta continuava a parlare, «almeno qualcosa di molle. Ma tu sei qui fin dall’inizio del tempo. Cos’è successo a quel che hai lasciato uscire allora? Porta, credo che da qualche parte tu abbia un ritratto di quello che dovresti lasciar rientrare. Un ritratto che parla, credo: ma credo che sia proprio questo. Qualcosa che ti permette di fare un confronto. Qualcosa che tu sei troppo stupida per dimenticare».
Si stava facendo caldo. Jackson si asciugò la faccia.
L’istruttore, laggiù, sembrava agitato. Si cinse il becco con la mano e gridò: «Ahmuls! Cosa succede?».
«Niente».
«E allora, perché la porta ha smesso di borbottare?».
Jackson trasse un respiro lungo e profondo. Si girò e guardò la porta, aggrappandosi con la mano sana e facendo del suo meglio con quella dolorante.
Non era il momento di cadere. «Stupida porta!», disse. «Questa è solo la prima cosa che mi è venuto in mente di tentare».
Sotto di lui anche Ahmuls si spostò, dimenticando che non poteva vedere bene se non rimaneva a testa in giù.
«Va bene, porta… se sono riuscito a farti ricominciare a pensare, dopo tutto questo tempo… va bene, se tu sai ascoltare meglio di quanto parli, allora sai com’è quello che hai lasciato uscire, e sai come parla. Non può essere tanto difficile!», disse, improvvisamente irritato. «Se quell’istruttore è riuscito a capire alcune delle tue parole, allora qualcosa di tanto intelligente da capire la differenza fra amsir e un uomo dovrebbe capire quello che dico io. Apriti, stupida bastarda! », gridò.
Il battito del cuore dell’Oggetto cambiò. Vi furono uno scricchiolio, un risucchio, uno schiocco. La porta balzò indietro per lo spessore di un dito e poi scivolò rapidissima in uno spazio fatto apposta, rientrando nella pelle dell’Oggetto.
Jackson si rigirò affannosamente sulla scaletta. Laggiù, sotto di lui, l’Anziano fu un po’ lento nell’organizzarsi. C’erano lancieri che tiravano, dal basso, ma non avevano avuto il tempo di prendere bene la mira.
Stava accadendo tutto troppo in fretta, per tutti. Jackson non aveva immaginato che la porta avrebbe capito quello che diceva, e nonostante tutte le sue chiacchiere, l’Anziano non aveva previsto che Jackson sarebbe riuscito ad aprirla tanto presto. Perciò, questo sventò tutti i pensieri taciti dell’Anziano, il quale aveva deciso che, una volta aperta la porta, non avrebbe più avuto bisogno di Jackson, perché aveva Ahmuls, o forse avrebbe potuto procurarsi altri esseri della specie di Jackson ma un po’ meno furbi di lui. Bene, tutti quei piani andarono all’aria, perché Jackson varcò la porta, entrò in una stanzetta buia, ridendo e imprecando, prima che i lancieri s’innalzassero in volo. Anzi, l’unico che era rimasto calmo era Ahmuls. Gli era stato ripetuto parecchie volte quel che doveva fare, e adesso lo fece. Balzò attraverso l’apertura e si fermò accanto a Jackson che giaceva sul pavimento. «Vengo anch’io», disse, felice di rendersi utile.
Jackson espirò lentamente mentre i primi due giavellotti penetravano sibilando dall’apertura, scagliati dai lancieri svolazzanti e nervosi. Si chinò, schivandoli, mentre rimbalzavano sulle pareti. «Ti credo», disse.
C’era un’altra porta, all’estremità della minuscola camera.
E sopra era accesa una fulgida lampada rossa. Poi la porta esterna si chiuse, la lampada si spense, una luce gialla scese dall’alto, e la porta interna si aprì… thuck, wink, wink, thum! Più oltre c’erano tante cose: sembravano quelli che Jackson immaginava fossero i macchinari della Spina. Attraverso il metallo che li circondava, Jackson e Ahmuls udirono la porta esterna gridare sotto i colpi dei giavellotti. La sua voce era troppo concitata, troppo acuta. Sembrava scossa dal panico.
«Attenzione! Attenzione! Questo sistema è stato regolato sull’accelerazione. Questa porta si apre solo per il personale umano. Tutti gli altri saranno distrutti indiscriminatamente. È stato già dato un avvertimento intelligibile».
«Era ora», disse Jackson.
«Cosa succede?», chiese inquieto Ahmuls, sbirciando l’interno dell’Oggetto. Rovesciava la testa all’indietro per guardare ogni volta che un giavellotto colpiva l’altro lato della porta, ma poi tornava a sbirciare. Molte cose cominciavano a ronzare, all’interno dell’Oggetto. Jackson vedeva la luce diventare più intensa, danzante; poteva udire scatti e ticchettii. E soprattutto sentiva che l’Oggetto stava diventando forte, fortissimo.
Intorno a loro una voce frenetica, simile alla voce della porta: «Aaah touwtthah fourshaah!». Dall’interno, la stessa voce gridò: «Pronti a tutta forza! Generatori principali attivati, energia di mantenimento disattivata!». La voce si acquietò. Cominciò a suonare come se si sentisse normale. Si capiva persino che era una voce di donna. «Rapporto condizioni della nave: tutti i sistemi funzionanti e in perfetto stato. Consumo eccessivo della batteria di Mantenimento. Ricarica».
«Cosa succede?», gridò Ahmuls.
«Non guardare me, amico», rispose pronto Jackson. «Non ho preso nessuna arma».
«Meglio per te!».
«Lo so». Jackson era piantato saldamente sui piedi: si accostò alla porta che conduceva all’interno dell’Oggetto. «Guarda quei macchinari!».
«Cosa dobbiamo fare? Chi vuole restare qui dentro?», gemette Ahmuls.
Jackson ascoltò il tang! tang! tang! dei giavellotti che colpivano l’esterno dell’Oggetto. «Oh, non so», disse.
«Qualcuno prende il comando?», chiese la voce della porta.
Cosa? Cosa?, pensò Jackson. Da un momento all’altro, quel buffone si sarebbe messo in testa che qualcosa era un’arma, e adesso quella domanda. Non c’era nessuno che comandava?
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