Algis Budrys - Morte dell'utopia

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Il pavimento del mondo è increspato come il fondale di un oceano. Il sole al tramonto inchiostra d’ombra violetta ogni increspatura. Le dune riempiono il mondo fino agli orli. E su questo pianeta che non è la Terra, un uomo insegue l’amsir, la grande bestia alata, per ucciderla. Perché gli uomini hanno sempre fatto cosi, da che il tempo è iniziato all’ombra della Spina. Ma per Honor White Jackson qualcosa cambia all’improvviso: l’amsir parla, e scaglia dardi. Forse, allora, la realtà non è soltanto quella di cui ha sempre parlato l’Anziano... Cosi inizia Morte dell’utopia, uno dei romanzi più originali, magici e inquietanti della fantascienza moderna, scritto da un maestro del genere, Algis Budrys.

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«Noi che stiamo parlando qui, adesso, siamo tutti esseri ragionevoli… Ti riconosciamo un certo acume. Essendo ragionevoli, sappiamo che probabilmente è solo per un accidente della creazione che la tua specie e la mia non possono vivere l’una nel mondo dell’altra. Ma ti renderai conto che è molto difficile capirlo, per coloro che sono suscettibili e incolti».

«E puoi anche renderti conto», aggiunse l’Anziano, «di quanto sia stato coraggioso quel giovane: pur essendo tanto emotivo, ha corso il rischio di attendere ai margini del tuo mondo che una cosa indicibile malefica e ripugnante come te entrasse in contatto con lui. E questo escludendo il rischio di morte… Ma, del resto, nessuno crede nella morte». L’Anziano guardò Jackson con aria significativa.

Jackson si limitò a ricambiare l’occhiata. Innanzi tutto, non sapeva neppure cosa significasse «teologia». Fu l’apprendista istruttore a intervenire: «Guardatelo! Non dà segno di comprendere! Propongo la tesi che questi esseri non hanno il concetto del male originale!».

«E quindi sono innocenti?», esclamò furioso l’istruttore. «Taci! Taci!». Agitò le ali, saltellando convulsamente su un piede e sull’altro e sollevando un polverone. Era molto vecchio e irrigidito, e non impressionò molto Jackson, ma l’apprendista rabbrividì e si ritrasse a testa china. Si comportava come se fosse caduto mentre correva intorno alla Spina dietro Red Filson… L’instancabile, saggio, morto Red Filson. Ciò che ti rende stupido, pensò Jackson, è ciò che ti fa paura.

II

«Vedi», disse l’Anziano a Jackson, «noi riteniamo di dover scoprire quello che c’è dentro l’Oggetto. Lo riteniamo, con diverse misure di partecipazione». Lanciò un’occhiata all’istruttore, che era occupatissimo a passarsi le dita fra le trine per districarle. «Lo riteniamo per ragioni diverse, molto vicine ai nostri sentimenti. Ma è la nostra unica chiave della natura e della finalità della Creazione. Abbiamo studiato la Spina per molte generazioni, certo, ma è soltanto una macchina. Abbiamo scoperto solo come funziona e quali parti sembrano sul punto di usurarsi. Sembra che se ne stiano usurando parecchie. L’Oggetto, invece, parla. Forse dentro c’è qualcosa. Forse si potrebbe parlare al qualcosa che c’è dentro, con la bocca adatta».

«E con che tipo di linguaggio?», chiese Jackson.

L’Anziano annuì. «Ben detto. Nessuno afferma che non ci saranno problemi. Nessuno afferma che sarà facile trovare la soluzione. Ma dobbiamo pure cominciare. La situazione non migliora. Può soltanto peggiorare. Non possiamo permettere che continui così. Oh, vi sono molti della nostra specie che non se ne curerebbero mai fino all’ultimo momento, quando il cielo cadesse loro sulla testa. A loro interessa soltanto avere cibo da mangiare, acqua da bere, spazio per volare. E queste cose ci sono sempre state, quindi non immaginano che potrebbero finire. Ma noi sappiamo che la Spina può finire. Quindi, possono finire anche tutte queste cose… può venire l’ultimo giorno, per questo mondo.

«Vi sono alcuni di noi che non possono vivere contenti, sapendo questo, anche se forse sappiamo che potremo morire contenti molto tempo prima che diventi davvero necessario trovare le soluzioni da noi cercate. C’è una certa inquietudine, in certe menti, che sembra non comprendere il trascorrere del tempo. Quello che un giorno sarà reale per tutti, oggi è già reale, per loro».

Jackson ascoltava educatamente.

«Ora, io non ti voglio male, ragazzo. Se qui avessimo cibo che tu potessi mangiare, te lo darei… purché ritenessi che tu lavoreresti con impegno per aprire la porta, come lo faresti se stessi morendo di fame. Altri possono volerti male, ma io no. Io capisco che dentro, in fondo, siamo molto simili. E mi piace l’idea che tu sia strano. Anch’io sono strano, tra i miei». Indicò l’Oggetto. «È là che sono rimasto così storpiato.

«Non ero capace di starmene tranquillo. Tentai di arrampicarmi su per una delle sue gole, ma ero troppo goffo. Come tutti noi che non abbiamo bisogno del terreno per vivere, siamo goffi quando strisciamo. La goffaggine mi salvò la vita. Caddi al suolo. Il fuoco eruttò dalla gola… Per buttarmi fuori, immagino. Ma io mi stavo già trascinando via. Comunque, mi afferrò e mi buttò lontano. Ah: dissero che era la punizione per la mia stoltezza. Giacevo a terra urlante, e gli altri si raccolsero intorno a me ridendo e gridando. Allora capii che dovevo dominarli, altrimenti non avrei più potuto vivere qui.

«Devo molto all’Oggetto. Devo molto al fatto di essere strano. E dico a te, essere strano, che per te sarà meglio dovergli molto.

«Farò tutto ciò che dovrà essere fatto per costringerti a dare il massimo. Ti ricorderò, se non ci hai già pensato da solo, che tratta gli esseri della tua specie meglio di quanto tratti quelli della mia. La mia specie non può arrampicarsi sulla scaletta, né toccare la porta. Quando uno di noi ci si prova, dalla porta esce qualcosa che gli appiattisce le viscere, gli fa bollire gli occhi, lo scaglia immediatamente a terra, morto. Agli esseri della tua specie permette di morire di fame nel tentativo di entrare attraverso la gola o di forzare la porta».

L’Anziano gemette, dolorosamente. «C’è un’altra cosa. Dovrebbe darti speranza. Se l’Oggetto fu creato insieme alla Spina all’inizio del tempo, fu fatto, come la Spina, per esseri con un corpo come il tuo». L’Anziano si guardò per un attimo le mani tridattile che gli spuntavano dalle ali. «Quindi, ciò che c’è dentro e fa quel rumore probabilmente non ti tratterà come un nemico. Forse ti aiuterà. Perché non credere che là dentro ci sia cibo adatto a te? Che funzione ha un amico, se non offrire ospitalità? E credo che tu te la caverai bene. Sei molto simile a me, e se il mio corpo fosse come il tuo, credo che io me la caverei bene».

Ci scommetto che la pensi proprio così, si disse Jackson. «Vedi, credo che tu abbia ragione quando dici che siamo molto simili. C’è qualcuno che vive nella nostra Spina… Credo che potresti trascorrere molte ore felici con lui. A parlare. A confrontare i problemi. A scambiare pensieri».

Ma l’Anziano amsir sembrava non capire. Guardava Jackson come Jackson guardava coloro che usavano parole come «teologia». Bene, concluse Jackson, si poteva parlare, parlare e parlare di quanto si somigliavano sotto la pelle… Ma se eri diventato l’Anziano degli amsir, non potevi credere davvero che ci fosse qualcun altro meraviglioso come te.

Quand’ero bambino, pensò Jackson, credevo che ci fosse un mondo solo, e che l’unica cosa possibile in quel mondo fosse la caccia. Girò gli occhi sugli amsir, il cibo azzurro che non poteva mangiare, le case su palafitte, il cielo pieno di esseri svolazzanti, e l’Oggetto. Vorrei, pensò, vorrei essere ancora come quei contadini e quegli Honor, convinti che non ci sia nient’altro.

Era molto stanco. «Dormirò un po’», disse. Si sdraiò, si raggomitolò, e chiuse gli occhi mentre il braccio pulsava.

III

Caspita, il braccio faceva male. Si soffregò gli occhi, li aprì, e lo guardò. La mano era gonfia, in un cerchio pastoso intorno all’orlo inferiore della fasciatura. Quando si toccò la spalla, trovò un altro gonfiore. Si rotolò nella polvere, avvicinandosi all’Oggetto, si strofinò i capelli e la faccia, si passò la mano sulla bocca aperta e si leccò i denti. Vide che era di nuovo mattina. Aveva la pelle secca. Non riusciva a muovere i muscoli della faccia. Si mise seduto e vide l’Anziano amsir accanto a lui. «Uh! Vegliavi sul mio riposo?».

«Anche sul mio. Mi chiedevo che effetto avrebbe avuto un lungo riposo sulla tua riserva d’energia. Non sembri molto più sveglio».

Jackson si mosse. Aveva pianificato tutto. Adesso doveva girare dietro l’Anziano, agganciargli le braccia sotto le ali, per quel che poteva servirgli il braccio sinistro, e piantare il pollice destro contro la parte anteriore della gola dell’Anziano, stringendogli le altre dita intorno al collo. E così, pensava, avrebbe potuto cominciare a sistemarsi un po’ meglio. Non sapeva esattamente cosa avrebbero potuto fare gli amsir, ad esempio, per procurargli qualcosa da mangiare; ma lì c’era un intero mondo, pieno di esseri coraggiosi, forti, chiacchieroni, commestibili, abituati a fare tutto quel che ordinava l’Anziano. E se l’Anziano doveva fare quel che gli diceva Jackson…

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