Algis Budrys - Morte dell'utopia

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Il pavimento del mondo è increspato come il fondale di un oceano. Il sole al tramonto inchiostra d’ombra violetta ogni increspatura. Le dune riempiono il mondo fino agli orli. E su questo pianeta che non è la Terra, un uomo insegue l’amsir, la grande bestia alata, per ucciderla. Perché gli uomini hanno sempre fatto cosi, da che il tempo è iniziato all’ombra della Spina. Ma per Honor White Jackson qualcosa cambia all’improvviso: l’amsir parla, e scaglia dardi. Forse, allora, la realtà non è soltanto quella di cui ha sempre parlato l’Anziano... Cosi inizia Morte dell’utopia, uno dei romanzi più originali, magici e inquietanti della fantascienza moderna, scritto da un maestro del genere, Algis Budrys.

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Ma l’Anziano aveva avuto la preveggenza di impastoiare le caviglie di Jackson con una striscia di cuoio, mentre dormiva, e Jackson cadde.

L’Anziano sorrise. «Tra pochi giorni non sarà più necessario fare niente del genere. Allora ti sveglierai con un solo pensiero. Se è necessario, ti ricordo che la colazione è dentro l’Oggetto. Così ti darai da fare con impegno».

Mentre stava lì a terra, con la mente attraversata da mille pensieri, Jackson disse: «Credo più in te, come colazione, che in tutte le ipotesi sul contenuto di quel coso».

L’Anziano rispose: «È davvero sorprendente quello che potrai credere tra qualche giorno. Non è una condizione piacevole. Credo che proverai disgusto per te stesso. Non credo che ti piacerà più di quanto piacerebbe a me. Ti abbiamo lasciato dormire. Eccoti un po’ d’acqua», soggiunse, porgendo una piccola bolla di cuoio sigillato. «Questa possiamo dartela. Non ci scandalizzeremo… Io non mi scandalizzerò se te ne verserai un po’ sulla pelle. Il braccio ti fa male?».

«Grazie».

L’amsir fece un cenno e il dottore, che era alle spalle di Jackson, si fece avanti. Sciolse la fasciatura mentre Jackson beveva e fissava l’orlo del mondo attraverso le palafitte delle case. Quando il dottore ebbe finito di cambiare la fasciatura al braccio e tappò la bottiglia di liquido che bruciava, disse: «Il tuo braccio non guarisce. Lo perderai».

«Lo sapevo anche ieri», disse Jackson. Gettò a terra la bolla d’acqua. «Ecco qualcosa che puoi usare per indurmi a lavorare», disse all’Anziano. «Forse nell’Oggetto c’è qualcosa che può guarirmi il braccio. Una specie di vero dottore. Perché no? Se lì dentro c’è un banchetto che mi attende, può esserci anche la guarigione».

L’Anziano stava slegando la cinghia che bloccava le caviglie di Jackson; le ali l’impacciavano un po’, e si muoveva goffamente, ma ci riuscì. Jackson notò che c’erano due lancieri nelle vicinanze. Prima non contava che ci fossero o no, perché quando tenti uno scherzo del genere non stai a calcolare i rischi. Ma lui s’era lasciato sfuggire l’occasione, e adesso li notò. Restò immobile.

«E se non c’è la guarigione, perché non deve esserci qualunque altra cosa?», stava dicendo l’Anziano, mentre lavorava. «Davvero, perché no? Perché non dovrebbero esserci femmine, e tutti gli altri piaceri di tuo gusto? Perché non armi? E tu hai pensato che là dentro ci sono armi, no?». L’Anziano alzò la testa, con una luce furbesca negli occhi. «Oh, non ci hai pensato!».

L’Anziano si scrollò. «E perché no? Perché no? Se risolvi un mistero dell’inizio del tempo, perché non dovrebbero contenere tutta la sapienza, tutte le ricompense per un individuo strano e astuto? Allora potrai guardarci dall’alto di quella porta, tutte le mattine, e beffarti di noi. Pfu! Lascia che mostri la risposta». Mosse la punta di un’ala, e due lancieri spinsero avanti qualcosa, dalla direzione della Spina.

L’essere sorrise con fare accattivante a Jackson. Sorrise ai lancieri, sorrise all’Anziano, all’istruttore, a tutto. Jackson non aveva visto mai nulla che sembrasse tanto facile di compiacere.

Era un peccato che non avesse un aspetto, molto gradevole. Era alto all’incirca quanto lui e camminava, per così dire, come un uomo. Ma era difficile dirlo, perché era tanto floscio. Sembrava di pasta da pane, e aveva lo stesso colore. Non c’era una parte del corpo dove la pelle non pendesse in pieghe flaccide, eccettuata la sommità della testa, dove c’erano piccoli pseudopodi carnosi, semieretti, nel punto in cui sarebbe incominciata la cresta di trina di un amsir. Il resto della pelle grondava sull’intelaiatura di ossa e di carne, chiudeva parzialmente gli occhi, penzolava intorno ai rudimenti degli orecchi, formava una gorgiera floscia intorno al collo, pendeva in una breve mantellina dentellata intorno al petto e alla parte superiore delle braccia, formava un’altra piega sotto la vita e ricadeva sulle gambe. Se era di pasta da pane, era stato impastato da una massaia amsir con troppa acqua per preparare chissà quale dolciume.

E tutto questo lo deliziava. Le mani molli, con il mignolo più lungo delle altre dita, giocherellavano continuamente sulle cosce, le spalle e la faccia. Sembrava che amasse giocare con la propria bocca. Sorrideva tirandosi le labbra verso l’alto con gli indici, e lo faceva molto spesso.

L’Anziano guardò Jackson di sottecchi. Jackson stette al gioco. «E va bene… Che cos’è?», chiese.

«Oh, questo è Ahmuls», disse l’Anziano. «È un tipo d’essere che nasce tra noi di tanto in tanto. Lui è uno dei pochissimi che non sono morti molto, molto piccoli. Ecco, sua madre era una sciocca, e gli voleva bene. E ora le sono molto riconoscente. Capirai il perché. Ahmuls è molto amabile», disse l’Anziano, mentre l’essere gli si accostava, continuando a giocherellare. L’Anziano gli accarezzò la guancia. «Buongiorno Ahmuls. Ti voglio bene».

«Buongiorno. Ti voglio bene», disse Ahmuls, piuttosto chiaramente. Canterellò soddisfatto e accarezzò la guancia dell’Anziano.

«Ahmuls, questo è Jackson», disse l’Anziano, indicando.

«Jackson…», disse pensierosamente Ahmuls, aprendosi gli occhi con i pollici e gli indici e concentrandosi.

«Ahmuls, voglio che tu mostri una cosa a Jackson».

«Oh, sì».

«Molto bene», disse l’Anziano, carezzandolo di nuovo. «Ahmuls, colpiscimi quello». Indicò uno dei pali d’una casa, a una dozzina di dozzine di lunghi passi di distanza. Poi aggiunse, rivolgendosi a Jackson: «Come molti individui strani, Ahmuls doveva essere qualcosa di speciale, per non andare a fondo. È molto fiero delle cose che ha imparato a fare da solo. Dimostrano che lui si vuole bene, e poiché tutti noi ci vogliamo molto bene, quando facciamo qualcosa per questo genere d’amore siamo meravigliosi. Ahmuls…?». L’Anziano guardò l’essere con aria interrogativa.

Ahmuls si girò verso uno dei lancieri, tendendo il braccio flaccido. Non disse «per favore», né «ti voglio bene». Il suo gesto improvviso fu una richiesta sufficiente. Il lanciere non sembrò offeso. Lanciò il giavellotto, e Ahmuls l’afferrò a mezz’aria, con il pollice in basso e il braccio incrociato davanti al petto, ancora voltato di tre quarti rispetto al bersaglio. Poi, quando Jackson poté vederlo di nuovo chiaramente, Ahmuls si stava già riequilibrando in avanti, con i muscoli rilassati, e il giavellotto volava nell’aria in una linea assolutamente retta, ronzando. Jackson non aveva mai visto un oggetto che non s’incurvasse verso il basso, al termine del lancio. A una dozzina di dozzine di lunghi passi di distanza, la punta del giavellotto si piantò nel sostegno della casa con un klat! , una sferzata dell’asta metallica, e poi uno scricchiolio quando l’asta si spezzò, staccandosi dalla punta incastrata inamovibilmente. Nella casa ci fu un ribollire di esclamazioni indignate, e teste e corpi apparvero sulla soglia. Poi una voce scese dall’alto, compiaciuta non meno che scandalizzata. «Oh, Ahmuls!». E Jackson aveva visto cosa poteva fare l’amore.

L’Anziano disse: «Io voglio bene ad Ahmuls», e Ahmuls sorrise e sorrise.

Pfu!, pensò Jackson.

L’Anziano si fece avanti, afferrò dolcemente il braccio di Ahmuls. «Guarda, Jackson». Tese la pelle per un momento solo: e c’era il contorno di un braccio umano, prigioniero sotto quella carne che sembrava pasta cruda.

«Vedi», continuò l’Anziano, rivolgendosi a Jackson. «È anche per questo che voglio bene ad Ahmuls. Ma lascia che ti mostri un’altra cosa. Ahmuls, sali la scala. Mostra a Jackson che tu puoi salire la scala, Ahmuls».

Ahmuls riaprì di nuovo gli occhi, cercò, trovò le due cose che doveva. «Jackson», disse. «Scala». Soddisfatto, arrivò accanto all’Oggetto in due passi, a metà della scaletta in un balzo, e subito dopo fu in cima.

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