Algis Budrys - Morte dell'utopia

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Morte dell'utopia: краткое содержание, описание и аннотация

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Il pavimento del mondo è increspato come il fondale di un oceano. Il sole al tramonto inchiostra d’ombra violetta ogni increspatura. Le dune riempiono il mondo fino agli orli. E su questo pianeta che non è la Terra, un uomo insegue l’amsir, la grande bestia alata, per ucciderla. Perché gli uomini hanno sempre fatto cosi, da che il tempo è iniziato all’ombra della Spina. Ma per Honor White Jackson qualcosa cambia all’improvviso: l’amsir parla, e scaglia dardi. Forse, allora, la realtà non è soltanto quella di cui ha sempre parlato l’Anziano... Cosi inizia Morte dell’utopia, uno dei romanzi più originali, magici e inquietanti della fantascienza moderna, scritto da un maestro del genere, Algis Budrys.

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Restò con i piedi stretti sul gradino più alto, e la sola cosa che gli impediva di cadere riverso era il fatto che stava inclinato in avanti con le braccia protese, schiacciato con la faccia contro la superficie curva. Mentre la porta borbottava, strofinò la faccia sul metallo e mosse le palme appiattite in piccoli movimenti carezzevoli. Jackson alzò la testa con uno scatto del collo che gli ricordò dolorosamente la ferita al braccio, e sentì Ahmuls dire, con un filo di voce: «Ti voglio bene».

«Adesso scendi, Ahmuls», gridò l’Anziano. «Dunque, come vedi», disse a Jackson, «la porta crede che Ahmuls sia un essere della tua specie, perché non lo uccide. Certo, Ahmuls è molto stupido, quindi non c’è speranza che riesca mai ad aprire la porta. Ma è meglio per te, se ci pensi bene, perché se Ahmuls non fosse stupido, tu non mi serviresti. Comunque, Ahmuls entrerà con te, se aprirai la porta. Ne sa abbastanza per colpirti, se ti vede prendere un’arma. Gli è stato detto e ripetuto molte volte. Capisce qualcosa, se gliela si ripete diverse volte. Dentro è troppo viscoso per dimenticarla, dopo».

Ahmuls era tornato dall’Anziano. Si scambiarono altre carezze. «Ti voglio bene», dissero entrambi.

Jackson li studiava.

L’Anziano disse a Jackson: «C’è soltanto un modo in cui potresti impedire ad Ahmuls di attendere vicino a te sulla scala, mentre provi ad aprire la porta, e di seguirti all’interno. Dovresti storpiarlo adesso. Ho ancora bisogno di te, e non ho sostituti per Ahmuls. Non verresti punito, e avresti maggiori possibilità, se riuscissi a entrare. Quindi sono disposto a lasciarti tentare la sorte, adesso».

Jackson scrollò la testa e si avvicinò ad Ahmuls. Guardò diritto negli occhi socchiusi, mentre carezzava la guancia spugnosa. «Ti voglio bene».

Ma Ahmuls non ci cascò. Gli afferrò la mano con qualcosa che sembrava una macchina a cinque dita avvolta entro una coperta. Chissà come, il senso del tatto portò un messaggio al cervello di Ahmuls. «Niente buono», disse strofinando la mano di Jackson, prima di scostargli il braccio. «Molle».

CAPITOLO 9

I

Era caldo, in cima alla scaletta, mentre Ahmuls canterellava felice pochi gradini più sotto. Jackson passò di nuovo le mani sulla porta, e ancora una volta constatò che era esattamente come tutte le altre porte, a parte il fatto che non aveva maniglia e parlava. S’era abituato al borbottio. C’erano le scalfitture intorno ai bordi, dove molte mani, prima di lui, avevano tentato di insinuarsi. Una o due delle scalfitture aveva una profondità pari allo spessore di un’unghia. L’Anziano gli aveva detto che c’erano punti dove tutti, prima o poi, finivano per grattare sui vecchi graffi, cercando di approfondirli. Secondo la stima dell’Anziano, la scalfittura più profonda era stata fatta da una dozzina di uomini che avevano lavorato giorno e notte, all’incirca per due settimane ciascuno. E aveva lo spessore di un’unghia. Le porte, nella Spina, avevano uno spessore di due braccia. Ma era possibile, pensò Jackson, che tra una settimana o dieci giorni lui cominciasse a dirsi che la porta non era molto spessa… forse non più di un dito. Probabilmente, durante gli ultimi due o tre giorni in cui sarebbe rimasto aggrappato lassù, avrebbe detto a se stesso che da un momento all’altro l’avrebbe sfondata.

Era facile infuriarsi contro quella porta. Era soltanto una sottile fessura ovale nel metallo. Un uomo sensato, che avesse altre cose da fare, avrebbe detto a se stesso, in meno di un’ora, che non era una porta… era un falso corrugamento del metallo. Avrebbe ridisceso la scaletta e non avrebbe più ritentato. Non si capiva da dove uscisse la voce. Era la prima volta che Jackson aveva incontrato qualcosa che poteva parlare ma non aveva bocca.

Accostò l’orecchio alla porta, cercando di udire il battito del cuore che sentiva attraverso le punte delle dita; ma quando lo fece, la voce continuò, dentro la sua testa, e non riuscì a udire null’altro. Si sporse verso l’esterno, per quanto osava farlo, e la squadrò di nuovo. Poi disse: «Ehi, Ahmuls, andiamo giù».

«Giù?».

«Giù. Andiamo giù». «Sei stupido», disse Ahmuls, ma cominciò a scendere, un gradino per volta, assicurandosi che Jackson lo seguisse. L’amsir istruttore, che aveva assistito alle operazioni, corse verso di loro. «Cosa succede?».

Ahmuls sogghignò e indicò Jackson. «Lui è venuto giù. È stupido».

«Ho imparato tutto quello che c’è da imparare, lassù», disse Jackson.

«E dove intendi imparare qualcosa di più?».

«Questo è il vero problema, credo… Rispondere a questa domanda. Ma ho imparato tutto quel che c’è da imparare, lassù», disse Jackson, e si avviò verso la Spina.

«Non lasciarmi!», gridò Ahmuls, afferrando Jackson per il braccio illeso.

«Non importa, Ahmuls, caro», si affrettò a dire l’istruttore. «Tu aspetta qui… Lo riporterò. Sarà con me».

«Bene. Ma tu lo riporti indietro», disse dubbioso Ahmuls.

«Che cos’hai intenzione di fare?», chiese l’istruttore, frusciando a fianco di Jackson, con gli occhi accesi di curiosità.

«Studiare le porte», disse Jackson. Indicò la Spina, con il pollice. «Lì dentro ce ne sono parecchie».

Per tutto il pomeriggio esaminò porte, puntellando i piedi e i gomiti nelle intelaiature ovali, meglio che poteva, cercando di capire che sensazione dava essere così spessi, così alti, così piatti. Si scostava brontolando quando qualche amsir arrivava pesantemente lungo i corridoi. Si appiattì contro una parete e restò così a lungo, con le dita delle mani e dei piedi incurvate intorno allo stipite, come cardini. Alla fine del pomeriggio aveva un’idea piuttosto chiara di quello che doveva pensare una porta, di quello che provava nei confronti della gente. Ma si trattava sempre di una porta che aveva una maniglia.

A sera, il piccolo spazio vuoto che lui sognava d’avere nello stomaco, dove dovevano essere i meccanismi della maniglia d’una porta, era diventato qualcosa che, doveva ammetterlo, somigliava all’inizio della fame in un uomo che si permetteva di pensare al cibo. Era l’unica conquista di quel giorno, e doveva ammettere che era una sconfitta. Verso sera, Ahmuls venne a cercarlo, molto depresso perché l’istruttore non gli voleva bene, altrimenti gli avrebbe riportato Jackson, depresso perché Jackson non voleva ritornare sulla scala, depresso perché il Sole stava calando ed era ora di tornare indietro, a dormire, ad attendere un altro mattino e la scala e Jackson, e nel frattempo nessuno gli avrebbe detto che gli voleva bene.

II

Al mattino, Jackson risalì la scaletta. Ahmuls gli batté la mano sulla spalla con fare d’approvazione e si scostò per lasciarlo passare. «Adesso sei furbo», gli disse.

«Lieto di saperlo», rispose Jackson. Il dottore gli aveva medicato di nuovo il braccio, con i soliti risultati. Jackson si sentiva il braccio fino al collo, fin dentro la testa, in quella splendida mattina di sole, mentre tutti gli amsir svolazzavano felici in cielo, e Ahmuls farfugliava e ciabattava su per la scaletta, dietro di lui. Quando arrivò in cima, sedette rivolgendosi verso l’esterno, appoggiando la schiena e la nuca al metallo, i piedi sull’ultimo gradino, a scaldarsi. Incrociò le braccia sulle cosce piegate.

Cominciò a parlare, distrattamente. «Sai, porta, ieri sera ho impiegato tanto tempo, cercando di essere come te».

La porta disse: «Ouwwtenshownneh. Qhhvvesshtaa pwourrtaah shii awpprreeh shwoulou…». E così via.

«È stato inutile. Un uomo non può essere una porta. Può fingere di essere una porta… può dirsi che è una porta. Ma un uomo non ha cardini. O, almeno, non ha il tipo di cardini che ha una porta. E un uomo non può essere affatto una porta come te, perché un uomo ha le maniglie… o meglio le mani».

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