Algis Budrys - Morte dell'utopia

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Morte dell'utopia: краткое содержание, описание и аннотация

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Il pavimento del mondo è increspato come il fondale di un oceano. Il sole al tramonto inchiostra d’ombra violetta ogni increspatura. Le dune riempiono il mondo fino agli orli. E su questo pianeta che non è la Terra, un uomo insegue l’amsir, la grande bestia alata, per ucciderla. Perché gli uomini hanno sempre fatto cosi, da che il tempo è iniziato all’ombra della Spina. Ma per Honor White Jackson qualcosa cambia all’improvviso: l’amsir parla, e scaglia dardi. Forse, allora, la realtà non è soltanto quella di cui ha sempre parlato l’Anziano... Cosi inizia Morte dell’utopia, uno dei romanzi più originali, magici e inquietanti della fantascienza moderna, scritto da un maestro del genere, Algis Budrys.

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C’erano tutti quei ronzii, le voci che parlavano e le porte che si aprivano; succedevano tante cose che magari gli sarebbero piaciute, se le avesse scoperte un po’ alla volta, pronto ad accettarle o a farle a pezzi. Ma con uno stomaco e un braccio dolorante, e i colpi di giavellotto e un Ahmuls alle costole, non si sentiva pronto.

«Il comando deve essere esercitato entro un periodo di tempo ragionevole», disse la voce.

«Eh?», disse Ahmuls.

«Il comando deve essere esercitato! La stasi è uno spreco di energia!».

Insiste, insiste, insiste, pensò Jackson. Chissà cos’era la stasi. «Sta bene», gridò. «Che cosa vuoi?».

«Funzionare. Eseguire compiti. Non posso portarmi a tutta forza per niente!».

«Senti, devi smettere di parlargli!», disse Ahmuls. «Hai già fatto abbastanza».

«Senti, niente armi, giusto?», ribatté Jackson, mostrando le mani vuote. «Io devo parlargli, ti ricordi?». Poi parlò più forte. «Hai un nome, voce?».

Ahmuls si stava corrugando come se aggrottasse la fronte, notò Jackson. Forse cosi sarebbe rimasto occupato ancora per un po’.

«Il mio nome è Sistema Unitario per Spedizioni Interplanetarie Extraterrestri Modulari», disse la voce. «Chiamami Susiem».

«Che cosa sai fare?».

«Tutto! Tutto quello che può fare un Susiem».

Non era un grande aiuto, pensò Jackson. Ma sapeva che un Susiem una cosa sapeva farla: manovrare le porte. Spiccò un salto e rimbalzò contro Ahmuls. Ahmuls barcollò all’indietro. Jackson cadde oltre la porta interna. «Chiudi!», urlò. Restò sdraiato sul pavimento. Sentì che ai tonfi più distanti e meno frequenti dei giavellotti contro l’esterno dell’Oggetto s’erano aggiunti i klop! di Ahmuls, che, imprigionato nella minuscola stanzetta, batteva il pugno contro la porta.

Jackson scrollò la testa e si guardò intorno. La stanza era piena di macchinari: metallo e vetro dappertutto, manopole e aghi indicatori, cose che lampeggiavano e luccicavano e ronzavano…

«Magnifico! Ma non vedo niente da mangiare».

«No, certo! Credi di essere in sala mensa?», ribatté Susiem.

«Vuoi dire che qui c’è un’altra stanza? Dove c’è da mangiare? Dove c’è davvero da mangiare?».

«Io so fare tutto quello che può fare un Susiem!», disse Susiem.

Klop, klop, klop.

«Cribbio, lui parla più chiaro di te», disse Jackson. «Bene, come faccio a entrare nell’altra stanza? E non aprire quella porta fino a che non te lo dirò io! A proposito, se hai da mangiare, per caso non hai anche un dottore?». Jackson sogghignò. E poi vorrò una Spina dove tutti desiderano essere come me, e gli amsir desiderano fare tutto quello che dico io. Che cos’hai qui, Susiem…? Hai tante cose da dare che un uomo potrebbe restare a corto di sogni? No, certo, per gli esseri della mia specie. Bene, avanti… Avanti, trovami un dottore. Dagli secchi di acqua bollente e una montagna di stracci puliti per dormirci».

«Certo, non aprirò la porta. Tu sei al comando. Presentati subito in infermeria».

«Là hanno da mangiare?».

«Le cure mediche hanno la precedenza sulle razioni. Presentati in infermeria».

Io sono al comando, pensò Jackson. «Dov’è l’infermeria?».

II

Susiem lo guidò all’infermeria, dicendogli semplicemente di seguire le luci. Continuarono a girare davanti a lui, quando varcò una porta e scese una scaletta e varcò una seconda porta. L’infermeria era tutta bianca, dove non era di metallo nudo. Il dottore era bianco e metallico e aveva le ruote. Si staccò da un’intercapedine nella parete e rotolò verso di lui come un aratro. Arrivava più o meno all’altezza del petto di Jackson. «Spiega i sintomi», disse.

«Perderò il braccio», disse Jackson.

Squadrò attento il dottore, e decise di credere a Susiem quando disse: «Questo è un dottore».

«Non sei in grado di formulare una prognosi. Spiega i sintomi. Come giustifichi il fatto che non corrispondi ai dati del mio archivio? Dimostra che hai diritto di ricevere assistenza medica da questa stazione».

«Emergenza, dottore», disse Susiem. «Quest’uomo è al comando».

«Dovrai riempire i moduli», disse il dottore. Un riquadro bianco, sulla parte superiore del suo corpo, diventò di un verde chiarissimo. Un bastoncino spuntò da un foro vicino al riquadro. «Prendi la penna». Jackson l’estrasse, incuriosito. Aveva la stessa forma e all’incirca la stessa lunghezza dei carboncini che aveva lasciato a casa sua. Ma non era bruciata… Era leggera e sembrava morbida, ma era rigida come metallo, era liscia ma non gli scivolava dalle dita. All’estremità c’era qualcosa che sembrava una sferetta di vetro.

«Allora?».

Jackson guardò il riquadro verdepallido. Era attraversato da linee bianche e lucenti, adesso. All’inizio di ogni linea c’erano forme minuscole, segni formati da altre linee piegate e incrociate. «Bello», disse.

«Criticare non è il tuo compito. Riempi i moduli».

«Credo che sia analfabeta, dottore», disse Susiem.

«Be’ che faccia qualche segno, allora», disse spazientito il dottore. «Sono sicuro che ci sono altri che aspettano. Sta perdendo tempo».

«È al comando».

«Bene, allora dovrebbe saper scrivere».

«Senti… Ti ordino di parlare in modo comprensibile», disse Jackson al dottore. «Mi fa male il braccio, e ho fame».

«Sai fare un segno? Fai un segno sulla lastra con la penna luminosa. Devo avere una specie d’identificazione, altrimenti non posso preparare la tua scheda. E se non posso prepararla, sei perduto».

«Oh. Vuoi essere in grado di ritrovarmi. Bene, ecco come sono fatto». La sferetta scivolava troppo agevolmente sulla lastra, se era così che si chiamava, ma la penna luminosa, o quello che era, lasciava una bella linea bianca. Jackson provò a torcere il polso per renderla più sottile o più spessa, ma non servì a nulla: comunque, riuscì a tracciare un buon autoritratto sulla lastra. Per buona misura, in un angolo disegnò le ossa del suo braccio, mostrando dov’era penetrato il dardo. «Ecco quello che non va. Il dardo è stato estratto, ma il braccio è morto».

Per un po’, il dottore e Suesiem non dissero nulla. Alla fine, il dottore sentenziò: «La tua conoscenza dell’anatomia non è niente male».

«E disegna bene, anche», disse Susiem. «Così capisci quello che vedi. Non è come certi disegni parafrastici che…».

«Il braccio», disse Jackson.

«Certo, il braccio», rispose il dottore. «Uh… Dacché ci siamo, diamo un’occhiata generale». Il dottore si dondolò avanti e indietro sulle ruote per un momento, emettendo un lieve ronzio, come un aratro. «Uhm. Sì. Bene. Hai condotto certamente una vita attiva. Ma sei guarito bene… Escludendo alcuni dei fatti più recenti, è ovvio. L’unica cosa di cui dobbiamo occuparci seriamente è la giuntura del gomito. Avrai bisogno di un restauro. Il tasso dello zucchero nel tuo sangue è un po’ basso. Sei affaticato?».

«Uh?».

«Sei stanco?».

«Ci hai azzeccato. E ho anche fame».

«Bene, possiamo introdurre un po’ di proteine nel tuo organismo, credo, mentre lavoriamo sul braccio, ma preferirei che tu avessi qualcosa da masticare e deglutire. Attiva una serie di riflessi utili. Susiem, perché non porti qualcosa di nutriente al capitano, mentre io mi occupo di questo?».

Il dottore si aprì, con una specie di scatto dei lati, e si trasformò in una via di mezzo tra una sedia e una culla. Il sedile, lo schienale e la parte che andava sotto le gambe erano imbottiti, e anche il sostegno per il braccio destro. Una specie di grondaia che entrava per un tratto nel corpo del dottore era per il braccio sinistro di Jackson. Era di metallo nudo: e un piccolo fascio di luce scaturì da uno stelo, illuminando le fasciature di cuoio mentre Jackson sedeva.

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