Laurice si chiese quanto avesse agito in senso di sfida quando Kristan lasciò la copertura dei sacchi per rivestirsi. Poi, mentre si rivestiva anche lei, l’uomo prese a scendere per il pendio.
A mano a mano che l’aria si era scaldata era sorto il vento. Adesso rumoreggiava, scuoteva i rami, sollevava turbinii di polvere. Sì, pensò Laurice, ha ragione. Issare un corpo con un cavo mentre il velivolo sta sospeso in aria in mezzo a turbini come questi è rischioso. Ma se atterra e poi il terreno gli frana sotto il peso…
L’alta sagoma del pilota si era spostata a destra e sinistra, fermandosi per esaminare le formazioni rocciose e infilare il tallone dello scarpone nella ghiaia, finché raggiunse il cornicione al di sopra del canyon. Laurice lo vide gettare un’occhiata al suo bracciale e quasi gli lesse nella mente. Grazie alla guida del radiofaro avrebbe potuto sfruttare quella striscia di roccia per il ritorno invece di scarpinare nella foresta. Il sorriso che le stirò le labbra era alquanto triste. Non voleva averlo come nemico.
Improvvisamente la roccia cedette sotto i piedi di Kristan. L’uomo mulinò le braccia in aria, poi precipitò in basso fuori della vista.
Laurice gettò un grido e si mise a correre. — Attenta, aspetta, sii prudente — le sibilò Copperhue alle spalle. Alt! si impose lei mentre il cuore le batteva all’impazzata. Non c’è ragione di precipitare in due. Se la roccia ha tradito uno come lui, immaginarsi con me.
Rallentò allora l’andatura, lasciandosi scivolare lungo la discesa intanto che cercava le impronte di Kristan e seguì il percorso giusto finché arrivò sull’orlo dello strapiombo. Qui si acquattò sui calcagni, esaminò la roccia per capire bene dove questa aveva ceduto, dove avrebbe potuto ancora cedere e dove appariva ragionevolmente salda. Le fratture nel terreno indicavano che in quei punti c’erano infiltrazioni d’acqua, che di tanto in tanto congelava e si espandeva, ma bisognava stare attenti anche ai blocchi friabili di ossido di ferro…
A bocconi come un Naxiano, Laurice sporse la testa oltre il bordo del dirupo e sforzò la vista. Il pendio era coperto di detriti fin sul fondo, nascosto da una nebbiolina fitta. Kristan era scivolato per quattro metri ed era andato ad arrestarsi su un tratto di terreno scuro. Non si muoveva; il suo viso, rivolto verso l’alto, era una maschera di sangue. Il filo rosso vivo che gli ruscellava lungo la coscia destra indicava però che il cuore batteva ancora.
Era evidente che la punta acuminata di un sasso aveva tranciato un grosso vaso sanguigno. Ora Kristan si stava dissanguando. Se non fosse stato soccorso in fretta sarebbe morto. Per sempre. Non era possibile resuscitarlo una volta che le cellule cerebrali che lo rendevano umano si fossero alterate in modo irreparabile.
Si sentì uno stridore di sassi sotto un forte peso che vi strisciava sopra. Copperhue l’aveva raggiunta. — Non ti saresti dovuto muovere — gli disse automaticamente.
— Si può sempre attingere alle ultime risorse quando è necessario — rispose il Naxiano. — Credo di poterti aiutare a recuperare il tuo compagno.
Ha detto «compagno» dopo aver ascoltato Kristan. Fu un pensiero rapido e fuggente. Laurice soppesò le probabilità. Il Naxiano aveva forse sopravvalutato la propria forza? In tal caso se lei fosse stata prudente non le sarebbe successo niente, ma Kristan sarebbe certo morto. Intrappolata sul fianco di una collina irraggiungibile, poteva inviare un messaggio radio alla base attraverso l’aereo e sarebbe arrivata una squadra di soccorso. Sempre che i suoi sforzi non provocassero una valanga. In tal caso sarebbe finita maciullata, sepolta dai detriti al di là di ogni possibilità di recupero.
Non c’era tempo per preoccuparsi. Guardandosi attorno, Laurice vide il cespuglio adocchiato da Copperhue. Questo sorgeva a pochi centimetri dal bordo, ma un esame mostrò che le radici, piuttosto grosse, finivano in profondità, mentre in superficie il cespuglio appariva contorto come un bonsai strapazzato da decenni o addirittura secoli di vento. Probabilmente era in grado di sopportare qualche centinaio di chili di peso.
Tornare indietro per prendere corde o cinghie avrebbe richiesto troppo tempo. Laurice tagliò un bastoncino e se lo mise tra i denti. Poi si tolse la camicetta, la tagliò in due, annodò le due metà in fondo e la manica attorno al collo di Copperhue. L’altra manica se l’avvolse attorno alla mano per rendere più sicura la presa. Copperhue a sua volta attorcigliò la coda attorno al tronchetto inferiore del cespuglio. Laurice si sedette per terra e si sporse all’indietro nel vuoto.
Una serie di spuntoncini di roccia acuminata le tagliuzzarono i pantaloni e gli stivaletti. Il Naxiano si tese all’indietro, frenandole la discesa mentre la calava lentamente fino a quando si trovò teso per tutta la sua lunghezza. Il pietrisco doveva risultare molto dolorosa contro la sua pelle, ma non gli sfuggì un lamento.
In fondo alla fune, Laurice si trovò fianco a fianco di Kristan. Non osò inginocchiarsi, ma appoggiandosi cautamente sui palmi e i gomiti riuscì a rizzarsi quel tanto da poter intervenire sul pilota. Sguainò il pugnale. Era il miglior strumento che mente umana avesse mai concepito, pensò, non per la prima volta. Lacerò la gamba dei pantaloni, espose la ferita, tagliò una striscia di stoffa, fece un tornichetto con il bastoncino e lo strinse. Il micidiale flusso di sangue cessò.
Kristan aveva il viso imperlato di sudore sotto il sangue, la pelle era appiccicosa e la respirazione difficoltosa. Sì, si trovava in stato di shock. Occorreva sollevarlo subito. Gli fece scivolare l’imbragatura di fortuna sotto la schiena, fermandola alle ascelle, e la bloccò. — Va bene, Copperhue, puoi tirare!
Ma ce l’avrebbe fatta? Se non ci fosse riuscito, avrebbe richiesto aiuto per radio e intanto avrebbe cercato di mantenere Kristan in vita. Ma era impossibile dire se avrebbe resistito per tutto quel tempo. Come era impossibile dire se il peso del pilota, mentre veniva sollevato, non avrebbe provocato una valanga di pietre per lei fatale.
Ma non avvenne. Chissà come, Copperhue trovò l’energia per sollevare Kristan, sciogliere la fune improvvisata, gettarla di nuovo nel vuoto e sollevare anche lei. Laurice risalì strisciando sulle pietre col posteriore, ma riparando così il seno nudo dagli spuntoni che l’avrebbero lacerato. Il materiale resistente dei suoi pantaloni non cedette, ma per un paio di giorni lei avrebbe dovuto sedersi con una certa cautela.
Una volta raggiunto il cornicione, rimase immobile per un istante, per riprendere fiato prima di rialzarsi. Anche Copperhue era spossato quasi quanto Kristan. — Adesso posso trascinarlo da sola — mormorò. — Tu ce la farai? Devi farcela.
— Io… posso… farlo… visto… che me lo… chiedi… tu — le sussurrò l’amico. — E poi?
— Poi… — Una risatina acuta. — Gli applicheremo i nostri corpi nudi.
Una volta tra i sacchi, i due Erthumoi nudi e Copperhue dall’altra parte di Kristan, Laurice inviò la sua richiesta di soccorso. La voce ritrasmessa dalla Stazione Forholt suonò debole ma chiara dal suo bracciale. — Invieremo immediatamente la nostra ambulanza. Dovrebbe raggiungervi nel giro di un’ora. Potete resistere fino ad allora?
— Sarà meglio per noi, non le pare? — ribatté la donna.
Ma non poteva limitarsi a rimanere a contatto di Kristan. A tratti doveva massaggiarlo, allentare il tornichetto e stringerlo di nuovo. Il sangue che era fluito aveva formato una massa appiccicosa, ma in parte continuava a scorrere nell’arto ferito per mantenere la carne in vita. Naturalmente se si fosse instaurato un processo cancrenoso, il chirurgo avrebbe dovuto amputare, poi in una clinica di Ather avrebbero rigenerato quanto era andato perduto. Ma Laurice non voleva che Kristan subisse quel trattamento.
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