Alleo Steele - Le Fasi del Caos

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Una delle ultime invenzioni di Asimov è l’universo immaginario (ma non troppo) in cui si svolgono le avventure narrate in Le fasi del caos. Dopo aver passato una vita a raccontare le vicende di una galassia popolata soltanto da uomini e robot, Asimov immagina qui un intrigo che vede coinvolte, oltre a quella umana, altre cinque razze che conoscono il volo interstellare: razze spesso ostili e sospettose l’una dell’altra, fra cui l’uomo non fa certo brutta figura. Stabilite questo premesse, che presto daranno luogo a una serie di rapide quanto pericolose avventure, Asimov passa la mano ad alcuni brillanti scrittori; suoi allievi ideali, che svolgono la vicenda all’insegna della suspense, ma senza dimenticare una punta di ironia in omaggio al loro ispiratore.

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Le fasi del Caos

Antologia della fantascienza

Sotto la redazione di Isaac Asimov

1993

Alleo Steele

MECCA

Titolo originale: Mecca

Trascrizione: Deposizione di Arne Beynes, primo ufficiale Capital Explorer, interrogato da Josep Colyns, investigatore speciale Gilda Diplomatica. (nota: questo documento è classificato Segreto A-1. Può essere visionato soltanto dai membri della Gilda Diplomatica in possesso dell’autorizzazione necessaria. La divulgazione non autorizzata è assolutamente proibita.)

Inizio trascrizione

Colyns: Come si chiama, per favore?

Beynes: Lo sai già.

Colyns: È per la registrazione ufficiale.

Beynes: Sì? Allora registra ufficialmente questo. (Gesto osceno).

Colyns: Signor Beynes…

Beynes: Ah. allora lo sai come mi chiamo…

Colyns: Signor Beynes, non dovrebbe essere necessario ricordarle la gravità della sua situazione. Lei è l’unico superstite dei mercantile indipendente erthuma Capital Explorer. Come tale, lei è il solo testimone erthuma dell’unico episodio ostile che si sia verificato tra Erthumoi e Locriani da quando le due razze sono entrate in contatto. Stando agli emissari locriani, lei è anche responsabile di questa violazione dell’ordine interraziale. Lei…

Beynes: E tu credi a quegli insetti, ti fidi più di loro che degli Ersima importanza per noi. Se l’alternativa è la guerra tra i Locriani e gli Erthumoi, non esiterò a proporre che la sua mente venga sondata, anche se questo la renderà ebete. Preferirei avere la sua collaborazione, però, se non altro perché il sondaggio mentale può essere inaffidabile. Sono stato perfettamente chiaro, signor Beynes?

Beynes: Sì.

Colyns: Bene. Cominciamo dall’inizio. Mi dica come ha saputo che Epsilon Indi II… Beynes: Mecca. Colyns: Prego?

Beynes: Mecca. Abbiamo smesso di chiamare quel pianeta Epsilon Indi II ancor prima di arrivarci. Lo chiamavamo Mecca…

Wolf 630-3 figurava sulle carte nautiche erthuma col nome di New France, ma era noto ai suoi coloni semplicemente come Wolf (Lupo), un nome molto più appropriato. Il terzo pianeta della stella di classe M era freddo, battuto dai venti e in gran parte brullo, tranne una zona equatoriale temperata dove, a mezzogiorno in piena estate, la temperatura a volte saliva fino a toccare i ventisei gradi centigradi. Questo, in pratica, era appena sufficiente a mantenere in vita solo le foreste che rinnovavano l’atmosfera di ossigeno-azoto di Wolf; il resto del pianeta era prigioniero di un’era glaciale perpetua, i continenti settentrionali erano coperti di ghiacci, le regioni meridionali erano perlopiù tundra desolata. Wolf era un mondo inospitale; era abitabile dagli Erthumoi, ma solo di stretta misura. La gente ci andava per far soldi, non per godersi il clima o il paesaggio.

Probabilmente anche la colonia di Hellsgate (Porta dell’inferno) aveva un altro nome, un nome dimenticato da tutti ormai, che compariva soltanto nei documenti ufficiali. Hellsgate era sede delle due sole industrie di Wolf, la mineraria e la cantieristica. Le materie prime estratte nella tundra meridionale raggiungevano Hellsgate, e lì venivano raffinate, lavorate, e alla fine diventavano scafi di astronavi: carghi pesanti, soprattutto, anche se talvolta dai cantieri usciva una nave esploratrice o un mercantile. Hellsgate non era il genere di posto che producesse poeti o filosofi o politici. I suoi uomini e le sue donne avevano mani callose e facce cupe e sfregiate, e le loro vite erano caratterizzate o da un tipo rischioso di longevità — quanto vivevano prima che qualche incidente sul lavoro li stroncasse — o da quanto tempo impiegavano ad accumulare crediti sufficienti per fuggire da Wolf.

Molto spesso, però, gli abitanti di Wolf cadevano in un limbo tra quegli estremi. Fu in uno dei numerosi slum attorno ai cantieri navali di Hellsgate che il primo ufficiale del Capital Explorer Arne Beynes trovò un individuo appartenente a tale categoria, un cieco di nome Sedric…

— Hai detto che avevi una bottiglia per me — disse Sedric, aprendo con una spinta la porta della propria baracca. Era una richiesta più che una domanda. Il vecchio girò a tastoni attorno al tavolo rotondo al centro dell’unica stanza del tugurio di lamiera, mentre Beynes si fermava sulla soglia cercando di vedere qualcosa nell’oscurità.

La baracca puzzava di sporcizia, di liquore scadente e di feci. Beynes era restio ad accomodarsi, sempre che ci fosse un’altra sedia oltre a quella occupata da Sedric. — Se vuoi la luce, dovrai trovartela da solo — disse Sedric. — A me non serve molto. — Rise, come se fosse la miglior battuta della galassia; la risata staccò dai polmoni un altro grumo di catarro, che Sedric espettorò, sputando lì accanto senza tanti indugi. A Beynes sembrava che il tragitto percorso dal bar dove aveva trovato Sedric fosse stato segnato dagli scaracchi di quel relitto umano.

Nel chiarore fioco proiettato oltre la soglia dall’insegna di un locale di spogliarello sul lato opposto della strada, Beynes scorse una cordicella che penzolava dal basso soffitto. La strinse e la tirò; un debole bagliore si sprigionò da una lampadina spoglia usata di rado. Illuminata, la casa di Sedric era ancor più disgustosa: un materasso senza lenzuola né coperte, un armadietto rotto che conteneva scatolette di cibo scadente, un terminale sgangherato di computer con lo schermo del monitor sfondato, un lavandino pieno di piatti putridi, e — particolare incongruo — un vecchio poster di un quadro di Deschenes fissato alla porta semiaperta del bagno. Accanto al tavolo, comunque, c’era uno sgabello che aveva un aspetto abbastanza decente e sicuro.

Sedric mosse leggermente la testa mentre Beynes spostava lo sgabello e si sedeva. — Okay, hai trovato la luce e l’altra sedia— gracchiò. — Allora, dov’è la bottiglia?

— Aspetta un attimo, d’accordo? — Beynes aprì la lampo del giubbotto e dalla tasca interna estrasse la bottiglia di whisky scadente comprata su insistenza di Sedric prima di lasciare il Wolfs Tooth. Svitò il tappo e la spinse nelle mani sudice del cieco. — Okay. Ecco…

— Grazie. Sei un amico. — Mentre Sedric inclinava il capo e beveva con un’avidità che andava ben oltre la sete, Beynes guardò l’orologio. Gli restavano ancora dodici ore standard prima che il Capital Explorer lasciasse Wolf dopo i lavori di raddobbo nei cantieri, ma il primo ufficiale non voleva trascorrere un minuto più del necessario nella casa di Sedric. Si domandò che diavolo ci facesse lì, anche se conosceva già la risposta: lui e l’equipaggio avevano un bisogno disperato di un’operazione redditizia, soprattutto dopo la débàcle coi Crotoniti. «Se non fossimo sull’orlo del fallimento, non mi prenderei la briga di approfondire questa faccenda» pensò Beynes.

D’altro canto, aveva a che fare con un vecchio alcolizzato incontrato in un bar di infima categoria su un pianeta squallido. Era molto probabile che la storia raccontatagli da Sedric al Wolfs Tooth fosse un’invenzione per indurre Beynes a comprargli un’altra bottiglia di liquore… o magari attirarlo in qualche tranello. Osservando la porta dietro di sé, Beynes scostò adagio il bordo del giubbotto, scoprendo l’impugnatura del disintegratore. Sedric non sarebbe stato in grado di affrontarlo nemmeno se avesse avuto ancora gli occhi funzionanti, ma non era da escludere che il vecchio avesse organizzato qualcosa con uno dei suoi vicini…

— Non agitarti, Arne — mormorò Sedric, posando la bottiglia di whiskey. — Rilassati. Togli la mano dal cannone. Non ti sto giocando un brutto tiro.

«Deve avere sentito la mia mano che spostava il giubbotto» pensò Beynes. Era incredibile la quantità di cose che i ciechi capivano basandosi su rumori impercettibili. — Parliamo d’affari, okay? — disse. — Hai detto che sapevi qualcosa riguardo gli extragalattici.

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