Alleo Steele - Le Fasi del Caos

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Una delle ultime invenzioni di Asimov è l’universo immaginario (ma non troppo) in cui si svolgono le avventure narrate in Le fasi del caos. Dopo aver passato una vita a raccontare le vicende di una galassia popolata soltanto da uomini e robot, Asimov immagina qui un intrigo che vede coinvolte, oltre a quella umana, altre cinque razze che conoscono il volo interstellare: razze spesso ostili e sospettose l’una dell’altra, fra cui l’uomo non fa certo brutta figura. Stabilite questo premesse, che presto daranno luogo a una serie di rapide quanto pericolose avventure, Asimov passa la mano ad alcuni brillanti scrittori; suoi allievi ideali, che svolgono la vicenda all’insegna della suspense, ma senza dimenticare una punta di ironia in omaggio al loro ispiratore.

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Colyns; Perché la navetta è precipitata?

Beynes: Francisco non ha scaldato correttamente i motori per il decollo, immagino. Voglio dire, non si può salire su una nave, premere qualche pulsante e… via!… partire. Si può effettuare un decollo rapido con una navetta saltando qualche dettaglio, ma se non si fa ogni cosa alla perfezione i reattori a fusione si bloccano per evitare un’implosione. I motori non forniscono la spinta sufficiente per la velocità di fuga e… ecco, si precipita.

Colyns: Dunque lei pensa che la distruzione dell’insediamento locriano sia stata un incidente?

Beynes: Che razza di domanda è? Non hai ascoltato quel che ho detto? Ho visto cos’è successo, Colyns. La navetta è precipitata dritta sulla città. Per nostra fortuna i reattori erano già stati disattivati dai computer di bordo, altrimenti nel punto in cui ci trovavamo si sarebbe aperto un cratere di cinque chilometri.

Colyns: Sto semplicemente cercando di chiarire tutti i fatti per la registrazione ufficiale, signor Beynes…

Beynes: Allora sia chiaro questo, Colyns… qualsiasi cosa intendessimo fare su Mecca, distruggere l’insediamento locriano non rientrava affatto nei nostri piani. D’Lambert e io abbiamo fatto di tutto per stare alla larga dalla città, anche dopo che Francisco ci aveva ordinato di cominciare a saccheggiare il posto. Non volevamo neppure avvicinarci a quella città, noi. È stato un incidente, insomma! E lo ha provocato Francisco!

Colyns: Capisco, signor Beynes. La sua dichiarazione fa parte della registrazione ufficiale. Adesso, per favore, mi dica cos’è successo all’arrivo dei Locriani. C’è stato qualche atto ostile da parte sua o da parte di qualche superstite della squadra di sbarco? Beynes: No, nessun atto ostile. Non che non volessimo… Quando avvistarono la navetta locriana che stava entrando nell’atmosfera, quasi tutti volevano barricarsi tra le macerie della città e abbattere il maggior numero possibile di insetti. La distruzione del Capital Explorer, la morte improvvisa dei compagni, la morte di Francisco… erano tutti ricordi ancora troppo vividi. Volevano la vendetta, pura e semplice, indipendentemente da chi potesse avere la colpa.

Ma solo tre uomini della squadra erano armati di disintegratore, e anche se qualcuno propose di utilizzare i robot perché speronassero la navetta locriana una volta atterrata, D’Lambert fece notare subito che le macchine erano state progettate esclusivamente per svolgere operazioni di scavo e non manovre militari. Qualsiasi piano per attaccare i Locriani, dunque, era destinato a fallire… e quando l’enorme mezzo da sbarco locriano atterrò e gli alieni cominciarono a uscire dai portelli, risultò evidente che gli Erthumoi superstiti erano in netta inferiorità numerica; il rapporto di forze era di almeno sei a uno.

E così, un’ora dopo la caduta della navetta sulla città, i cinque superstiti dell’equipaggio del Capital Explorer si ritrovarono circondati da ventidue locriani armati. Gli alti alieni insettoidi li sovrastavano, reggendo le loro strane armi con le quattro braccia lunghe e sottili. Le armi non erano puntate contro gli Erthumoi, ma non erano nemmeno completamente rivolte in un’altra direzione. Malgrado l’ambiente compatibile, tutte le guardie portavano caschi sferici con respiratore, evidentemente per non cadere in delirio nell’atmosfera troppo ricca. Attraverso i caschi, Beynes li sentiva parlare tra loro, uno stridio misterioso che faceva contrarre rapidamente le loro mandibole. Se fosse stato disponibile un traduttore universale, Beynes avrebbe potuto capire quel che dicevano, ma i loro traduttori erano tutti sulla navetta da sbarco precipitata: un’altra maledetta colpa del non rimpianto capitano Francisco.

Però non furono le guardie ad attirare maggiormente l’attenzione del primo ufficiale. Fu il comportamento di un gruppetto di Locriani sbarcati dietro la squadra armata. Otto Locriani, che indossavano lunghi mantelli rossi; i cappucci penzolavano sul dorso perché a quanto pareva non erano abbastanza grandi da coprire anche i caschi. Seguirono le guardie fino al manipolo di Erthumoi intimoriti e si fermarono dietro il cerchio di Locriani armati, aspettando in silenzio che gli invasori venissero circondati.

— Pellegrini Lontani — mormorò D’Lambert a Beynes. — Quei mantelli devono essere…

— Silenzio, per favore. — La voce filtrata e tradotta apparteneva a uno dei Locriani in rosso, che si trovava in mezzo al gruppo e portava un traduttore sul torace stretto e chitinoso. Beynes sapeva che i Locriani erano in grado di parlare l’erthumoi standard, questo però solo in occasioni diplomatiche; quell’alieno, a quanto pareva, voleva mantenere le distanze, pur se in modo discreto.

— Non parlerete finché non vi verrà rivolta la parola — proseguì il Locriano. — Disarmatevi immediatamente.

Non c’era alcuna minaccia palese in quella richiesta, ma di fronte a quasi due dozzine di armi locriane il sottinteso era fin troppo chiaro. D’Lambert e un altro membro dell’equipaggio tolsero i disintegratori dalla fondina e li gettarono adagio ai piedi dei Locriani più vicini. Beynes esitò a privarsi del suo unico mezzo di protezione.

— Sono Arne Beynes, primo ufficiale del mercantile indipendente erthuma Capital Explorer… — iniziò.

Il Locriano più vicino a lui fece un passo avanti, puntando rapido l’arma che impugnava contro la faccia di Beynes. — Zitto e disarmati, primo ufficiale Arne Beynes — ordinò il Pellegrino Lontano.

Beynes trasse un profondo respiro, poi obbediente sganciò il disintegratore e lo gettò, cintura compresa, oltre la guardia locriana avanzata verso di lui. II Locriano arretrò, tornando nel cerchio di guardie, e abbassò l’arma. Un paio di Locriani si scambiarono una serie di pigolii; uno degli alieni si affrettò a requisire i disintegratori erthuma. Beynes si rese conto che adesso lui e i suoi compagni erano completamente alla mercé dei Pellegrini Lontani e della loro scorta. Un senso nauseante di impotenza gli attanagliò lo stomaco.

— Chi siete? — disse. — Cosa intendete farci?

Il Pellegrino Lontano che aveva parlato ebbe qualche attimo di esitazione. — Sono stato scelto come — disse infine. — Il vostro destino sarà deciso presto da me e dai miei fratelli. Questo è tutto. Ora, silenzio.

Beynes giunse al limite della sopportazione. — Silenzio, un accidente! — sbottò. — Avete distrutto la mia nave, razza di insettoidi…!

La guardia locriana accanto a lui abbassò l’arma e sparò; cinque centimetri di roccia e sabbia tra i piedi di Beynes si disintegrarono.

Il primo ufficiale balzò indietro, fissando la guardia che aveva appena fatto fuoco. — Il tuo amico mi ha sparato! — strillò.

— Se avesse voluto spararti davvero — replicò Portavoce — ora tu ti saresti fuso con l’universo. La vostra nave è stata distrutta perché si preparava a far fuoco contro di noi. Abbiamo intercettato le vostre comunicazioni e sappiamo che questa è la verità. Siamo dispiaciuti per la nostra azione letale, ma siamo stati costretti a proteggerci.

— È stato un errore! — protestò D’Lambert. — Noi non…

Un altro Locriano spianò la bocca della propria arma contro l’ufficiale scientifico. Beynes gli afferrò un braccio per farlo tacere. — Silenzio — ordinò Portavoce. — Comunque, siete colpevoli di sconfinamento e di distruzione di territorio sacro. La vostra penitenza verrà decisa tra poco.

Portavoce-con-gli-Erthumoi sembrò esitare di nuovo. Poi, da sotto il lungo mantello, estrasse un oggetto piatto che Beynes riconobbe: un libro multilingue. Il Pellegrino Lontano aprì il coperchio a valva, toccò un paio di borchie, poi lo chiuse e lo gettò nel buco annerito lasciato nel terreno dal disintegratore locriano.

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