Frederik Pohl - Dolce triste regina delle isole vaganti

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Dolce triste regina delle isole vaganti: краткое содержание, описание и аннотация

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Dopo un lungo periodo d’inattività letteraria, in cui si era limitato alla direzione di collane come «If» e «Galaxy», una decina d’anni fa Fred Pohl riprendeva a scrivere, sbalordendo tutti con opere stupende come
e
, e dimostrando una capacità di rinnovamento incredibile in un autore che aveva alle spalle una carriera tanto lunga e luminosa. Soltanto questo Pohl, il Pohl della seconda giovinezza, avrebbe potuto scrivere un romanzo breve come questo: scritto in uno stile vagamente ispirato al compianto Cordwainer Smith, in un futuro al tempo stesso assurdo e affascinante, dove navi grandi come isole traggono succo e minerali dai mari della Terra e dove si snoda bella e avvincente la vicenda romantica di un uomo che cerca di proteggere se stesso e una dolce fanciulla da un fato iniquo e dalle minacce di un morto.

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Non volli darle la soddisfazione di vedermi irritato. — Ho deciso di venderti le mie azioni — dissi.

Lei mi scrutò accigliata per qualche istante. Poi diede una pacca al pilota e con il pollice gli indicò la porta. Quando l’uomo fu uscito, disse: — Dov’è il trucco, Jay? — La sua voce era del tutto indifferente; avrebbe potuto uscire da un computer parlante, privo di emozioni, una macchina che si limitava a reagire chiedendo ulteriori dati. Mi diede un brivido.

— Non mi piace quello che fai — dissi. — Ma se non posso fermarti non voglio neppure sentirmi tuo complice.

Lei si sfregò pensosamente le labbra, screpolate e incrostate di rossetto secco, quindi batté le mani. Subito la cameriera personale comparve sulla soglia, seguita da una guardia che controllò la situazione con un’occhiata. Betsy schioccò le dita, e quel gesto fu interpretato come la richiesta di una tazza di caffè, che la cameriera portò di corsa.

— Sì, credo che tu non stia mentendo — disse, — ma mi piace vedere chiaro nei miei affari. Come intendi utilizzare il denaro?

— Voglio andarmene.

— E lasciare la tua preziosa May?

Cercai di tener ferma la voce. — Voglio solo restare lontano per un po’, Betsy. Più tardi tornerò e riprenderò a fare il secondino, ma non ne posso più di stare a bordo. Ed è tempo che faccia dei progetti per il mio futuro. — Mi parve poco convinta, così continuai: — Tu sei un tiranno qui, Betsy. Ti sei compiaciuta di lasciare May viva, ma un giorno o l’altro sarai troppo ubriaca, o piena di droga fino agli occhi, o irritata con qualcuno dei gaglioffi che ti porti a letto, e sfogherai la tua rabbia su di lei. E visto che non posso far niente per aiutare May voglio far qualcosa per aiutare me stesso.

Lei sorseggiò il caffè, studiandomi da sopra il bordo della tazza, poi scosse le spalle. — Puoi vendere soltanto su mia offerta, Jay. E la mia offerta è di dieci milioni di dollari.

Quando ne avevo rifiutati cinquanta! — Venticinque — contrattai. Lei scosse il capo e disse:

— Nove.

E nove furono.

May poté subito leggermi in faccia che avevo qualcosa da dirle, ma dopo che fui entrato nel suo appartamento preferì seguire l’etichetta e domandarmi come stavo, quindi volle sapere cosa faceva Jimmy Rex. Anch’io fui lieto di poterla prendere un po’ alla larga. Poi, con un bicchiere di vino in mano, annunciai: — Ho idea di andare in Nuova Zelanda per un certo tempo.

— Ah?

— Non molto, May. Forse qualche settimana; poi tornerò, lo prometto.

— Naturalmente so che tornerai, Jay caro. Ma hai ragione, certo. Devi respirare un po’ d’aria libera anche tu. E in Nuova Zelanda ci sono dei bei posti… ricordo che c’è anche una bella pista da sci. — I suoi occhi vagarono sull’orizzonte vuoto fuori dalla finestra, e cercò di assumere un tono leggero. — Mi piacerebbe andarci: là non potrei danneggiare Betsy in alcun modo. — Sapeva quanto me che ogni parola pronunciata lì dentro veniva ascoltata, e suppongo che in quel momento stesse parlando più a Betsy che a me, pur conscia che non sarebbe servito a niente. — Potrei prometterle di non tentare nulla — disse. — E io non ho mai mancato alla mia parola.

Me ne andai prima che si voltasse per non farle vedere che ero sul punto di piangere. Sapevo bene che May era sincera e sapevo altrettanto bene che Betsy, la madre di tutte le menzogne, non le avrebbe mai creduto.

Oh, May, mia dolce, maledetto fu il giorno
che a liberarti mi vide di ritorno.
Maledetto fu il giorno in cui volli salvare
l’infelice regina dell’isole del mare.

La Nuova Zelanda non era stata una scelta casuale: dovevo andare lì per tre ragioni. La prima, perché era poco popolata e lontana dal resto del misero mondo di terraferma. La seconda, perché grazie alle sue sorgenti geotermiche non aveva rapporti clientelari con la Flotta, e lì nessuno mirava a ingraziarsi particolarmente Betsy. La terza, perché avevo bisogno di un amico sicuro.

Gli occhi di Betsy non si fermavano alla balaustra della sua isola. Così il primo giorno ad Auckland visitai sei diverse banche per discutere su come investire i miei nove milioni di dollari. Il secondo feci un giro aereo dei pascoli, con il pretesto di acquistare un buon allevamento di pecore, e quella sera mi permisi di bere qualche bicchiere di troppo al bar dell’albergo dove alloggiavo. A tutti quelli che ebbero voglia di ascoltarmi raccontai quale strega vendicativa fosse Betsy Zoll, e come avessi ormai perso ogni speranza di vedere libera la mia dolce May. Ignoravo quale dei clienti, allevatori e uomini d’affari, avrebbe passato parola a Betsy, ma non avevo dubbi che le sue bustarelle fossero giunte fin lì.

Il terzo giorno andai a visitare gli impianti di una piccola isola galleggiante, e fu là, nella sala delle turbine a bassa pressione, che incontrai Sam Abramowitz, a cui avevo fatto pervenire un biglietto. — Già, nessuno può sentirci qui dentro — annuì, fra il sibilo e il rombare delle macchine. — Cosa posso fare per te? — E poi, quando glielo ebbi detto: — Tu devi esser diventato pazzo!

Fui d’accordo che vivevamo in un mondo sempre più pazzo. — Comunque — continuai, — quello che mi serve è un esploratore subacqueo con un pilota abile, e un idrovolante veloce: gente che non si spaventi sotto il fuoco. Per un milione di dollari.

Lui fece qualche smorfia. Prima di rispondere fece qualche passo ed esplorò con gli occhi la sala piena di macchinari, benché fosse certo che nessuna spia poteva averci seguiti lì. — Non posso procurarteli nel giro di una nottata, lo sai.

— Non ne ho bisogno domani, Sam. Voglio che trascorra un po’ di tempo per far allentare un po’ la sorveglianza di Betsy. Almeno un mese: sei mesi sarebbe ancor meglio. Tu mandami un messaggio quando avrai tutto pronto… qualcosa su un buon investimento in un impianto per tosare le pecore, magari. E il pilota dovrà indossare qualcosa che io possa riconoscere per sapere che si tratta di lui.

Lui scosse lentamente il capo, senza rifiutare ma borbottando che piloti disposti a rischiare la pelle e il resto non se ne trovavano molti. — Un milione di dollari, hai detto? Potrebbe costare di più.

— Pagherò qualunque cifra. — Il mio tono deciso lo fece sospirare: era un assenso. Gli presi una mano fra le mie. — Sei un bravo amico, Sam. Non è solo per me, lo sai. È per la ragazza più cara che tu abbia mai visto.

Lui distolse lo sguardo e non rispose. Per un attimo ebbe un’aria di disapprovazione che non compresi e non mi piacque, ma l’importante era che avesse accettato. Prima di lasciarci gli firmai un’autorizzazione a prelevare fondi dai miei depositi bancari, senza limiti. Se alla fine di quei nove milioni non ci fosse rimasto niente, io avrei potuto andare a fare il mendicante. Ma sarei stato libero e così anche May.

Questo era il destino che io sognavo per May, perché il piano era piuttosto buono e Sam Abramowitz era un amico migliore di quel che meritassi. Fu prudente e astuto. Quando infine mi fece avere il segnale convenuto e l’esploratore subacqueo attraccò alla nostra isola galleggiante, vidi che era uno di quei batiscafi argentini di ultimo modello. Il pilota raccontò a Betsy d’aver scoperto un profondo strato d’acqua fredda e si offrì di rivelargliene l’ubicazione dietro pagamento. Quando vidi che portava una cravatta verde lo identificai come il mio uomo. Non ebbi modo di parlargli poiché restò con Betsy a contrattare i particolari dell’accordo, comunque scesi all’attracco e studiai il battello con attenzione. Un esploratore subacqueo è poco più aerodinamico di un uovo, ma la linea e la velocità non hanno importanza. Ciò che conta è la sua capacità di resistere alle alte pressioni e di manovrare bene mentre studia le correnti di profondità. Quello aveva un aspetto solidissimo. Una volta dentro di esso e in immersione avremmo avuta la nostra possibilità. Saremmo fuggiti tenendoci al riparo dietro strati d’acqua di diversa temperatura e densità per evitare gli ecoscandagli, fino a uscire dalla portata delle armi di Betsy. L’autonomia era sufficiente a raggiungere l’Australia, o le Hawaii, o il Giappone, o un arcipelago qualsiasi del sud Pacifico. Io avrei puntato su Manila. Di tutte le destinazioni quella poteva essere la più pericolosa per noi, dal momento che le Filippine erano molto frequentate dalla gente del mare, ma proprio perciò era l’ultimo posto in cui Betsy ci avrebbe fatti cercare, e questo ci avrebbe dato il tempo di confondere le tracce e sparire.

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