Frederik Pohl - Dolce triste regina delle isole vaganti

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Dolce triste regina delle isole vaganti: краткое содержание, описание и аннотация

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Dopo un lungo periodo d’inattività letteraria, in cui si era limitato alla direzione di collane come «If» e «Galaxy», una decina d’anni fa Fred Pohl riprendeva a scrivere, sbalordendo tutti con opere stupende come
e
, e dimostrando una capacità di rinnovamento incredibile in un autore che aveva alle spalle una carriera tanto lunga e luminosa. Soltanto questo Pohl, il Pohl della seconda giovinezza, avrebbe potuto scrivere un romanzo breve come questo: scritto in uno stile vagamente ispirato al compianto Cordwainer Smith, in un futuro al tempo stesso assurdo e affascinante, dove navi grandi come isole traggono succo e minerali dai mari della Terra e dove si snoda bella e avvincente la vicenda romantica di un uomo che cerca di proteggere se stesso e una dolce fanciulla da un fato iniquo e dalle minacce di un morto.

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Metà delle altre flotte stavano cominciando a fare la stessa cosa, e Dougie mi convocò per sapere perché non avessi proposto che anche noi ci mettessimo in quel ramo. Erano da poco venuti ad abitare a bordo: lui, May e il ragazzo; questo perché Dougie riteneva sciocco che a May non piacesse stare dov’era morto Jeff. Mi costrinse a stare dieci minuti di fila in piedi davanti alla sua scrivania di tek mentre batteva sulla tastiera di un computer e si studiava i dati, con faccia impassibile e un sigaro che gli si consumava lentamente fra le labbra. Poi si volse a fissarmi. — Ebbene? Puoi spiegarmi perché non esistono neppure i progetti per convertire qualcuna delle nostre isole a questa lavorazione?

L’opinione che Dougie d’Agasto aveva su di me non m’importava un fico secco, ma non volevo che convincesse May che ero un vecchio rimbecillito. — Il mercato è già saturo. Ci sono fin troppe isole galleggianti che vendono questi prodotti — dissi.

— Solo perché noi ci abbiamo pensato troppo tardi!

Scossi il capo. — No. Perché l’idrogeno è un carburante più pulito — osservai, conscio che questo non gli faceva il minimo effetto, — e consente un guadagno alquanto maggiore. — Questo gli fece effetto. — Inoltre questo piccolo boom non durerà neppure abbastanza da ammortizzare il costo degli impianti di pirolisi. Tutto ciò che fa è di trasformare il Pacifico in un altro Lago Michigan. — E infatti c’erano giorni in cui il puzzo portato dal vento mi faceva lacrimare gli occhi.

— Be’ — disse, come se per pura elemosina mi concedesse un’altra possibilità, — lasciamo perdere questa faccenda. Del resto ho altri progetti.

Ma non mi disse quali fossero. Non glielo chiesi. Tuttavia confesso che ero curioso, perché, dando al rettile i meriti del rettile, Dougie non aveva del tutto gettato via il suo tempo studiando l’industria termica e idroelettrica marina alla scuola di Miami. In realtà io sapevo che non studiava proprio niente, salvo un’ora alla settimana dedicata a farsi un’idea della cosa, e dove trascorresse il resto del suo tempo era soltanto una supposizione per me… e anche per May, giacché le piccole rughe comparse attorno agli occhi di lei non era dovute al sole e al golf.

Risultò infine che Dougie aveva scoperto la via più semplice: aveva comprato in blocco la scuola. S’era poi assicurato i servizi dei venti insegnanti più esperti e li aveva mandati in volo alla Flotta. Ne sapeva abbastanza per fare una buona scelta, comunque. Era gente in gamba, e ne conoscevo personalmente un paio. Desmond MacLean aveva lavorato come ingegnere sulla vecchia O.T. del commodoro prima di tornare alla scuola per specializzarsi. Ma anche Desmond non si sarebbe offerto volontariamente al servizio di Dougie senza quell’espediente.

Sempre per dare al rettile quel che è del rettile, devo dire che era un lavoratore. Ci dava dentro non meno di quel che aveva fatto Jefferson Ormondo, anche se non capivo dove trovava il tempo per tutto. Quando la famiglia abitava a bordo lui era dappertutto, controllava gli impianti, parlava con gli uomini, studiava i sistemi automatici. Ma lui e May facevano anche parte del jet-set, e andavano a ricevimenti dovunque sia in mare sia in terra. Teneva May lontana da me tre settimane su quattro. E May non era la sua unica donna. Dougie non aveva perso la sua passione per le avventurette: era di gusti facili e si dava da fare… dopo un po’ anche piuttosto apertamente. E io non potevo perdonargli neppure le sue infedeltà: quale altro uomo al mondo avrebbe voluto di più, se aveva già una donna come May?

Riuscivo a capire ciò che Dougie desiderava. Ogni cosa possibile: voleva tutto. Era cresciuto in una famiglia povera, invidioso dei parenti facoltosi e influenti. Adesso era quasi più ricco di loro… ma quel quasi era la spina nella sua carne. E fin dall’inizio aveva voluto la metà della Flotta appartenente a Betsy per aggiungerla a quella di May. Se sul suo ruolino paga c’erano ora ingegneri di grosso calibro, gli avvocati che aveva messo al lavoro erano dieci volte più numerosi… ma erano numerosi anche quelli di Betsy. Quando s’incontravano, all’uno o all’altro dei vari avvenimenti mondani, scherzavano sui loro tentativi legali di sopraffarsi a vicenda, ma nulla avrebbe dato loro maggiore soddisfazione che prendersi a pugnalate ferocemente.

Una mattina Desmond MacLean venne da me. — Mr. d’Agasto — disse, — mi ha autorizzato a parlartene. Andiamo su in coffa, vuoi? — E si limitò a sogghignare senza dir nulla mentre salivamo con un montacarichi nel piccolo locale per le osservazioni meteorologiche. Dalla balaustra m’indicò con un largo gesto del braccio il panorama sottostante. — Cos’è che vedi qui, Jason? — domandò.

Quel che vedevo era ciò che avevo visto ogni giorno. La grande massa dell’isola galleggiante, estesa per centinaia di metri in ogni direzione, e al di là di essa il mare con una dozzina di navi ormeggiate o in movimento nella foschia.

— Vedo un sacco di sporcizia — dissi.

— Allora sarai contento quando ci vedrai produrre più idrogeno e a buon mercato, no? — disse, allegramente.

Scossi le spalle. — E dove pensi di trovare il delta-Ts?

— Questo è il problema, infatti. — Tornò in cabina, inserì il suo codice nella consolle e fece apparire sullo schermo una mappa dell’Oceano Pacifico. — Qui è dove siamo noi — disse, puntandovi un dito; — al centro di questa zona ovale verde scuro, stesa fra la Nuova Guinea e le Hawaii. In questo momento ci sono quattrocento isole galleggianti che la sfruttano, e ciascuna tira su una media di cento tonnellate d’acqua al secondo. Ciò significa… — Batté i tasti di una calcolatrice, — ottanta miliardi di litri al giorno; trentamila miliardi all’anno. Dunque ogni anno noi muoviamo trenta chilometri cubi d’acqua dal fondo della superficie!

— Ci sono molti più chilometri cubi nel Pacifico — dissi, incapace di credere che le nostre misere pompe cambiassero qualcosa nell’immensa massa di quii’oceano.

— Ma non sono molte le zone di cui possiamo servirci se vogliamo assorbire dalla profondità di cinque chilometri.

— Be’, naturalmente. È per questo che cerchiamo di non stare troppo vicini fra noi… o almeno ci proviamo.

— Ci proviamo — annuì lui — finché possiamo. Ma sia che ci accordiamo per lavorare vicini, sia restando a distanza, non è molta l’acqua a bassa temperatura che possiamo sfruttare. È una questione di semplice aritmetica: quando usiamo acqua di profondità a sei gradi e acqua di superficie a trentadue, abbiamo un delta-Ts di ventisei, ovvero l’optimum per cui sono strutturate le nostre turbine. L’efficienza delle caldaie sale in rapporto al cubo della differenza di temperatura. E in temperature come queste il quoziente termico è di ventisei al cubo… 17.576.

— È un po’ di tempo che non troviamo un delta-Ts di ventisei gradi — ammisi.

— E sarà sempre più difficile trovarne uno finché continuiamo a competere con una fiotta d’isole galleggianti. Stiamo risucchiando su i migliori strati d’acqua fredda, e raffreddiamo quella di superficie. Così per la maggior parte del tempo lavoriamo con un’acqua superficiale di tre gradi inferiore a quel che dovrebbe essere, e con un’acqua di fondo tre gradi più calda. Un delta-Ts di venti, dunque. Quoziente termico: ottomila. E questo significa circa la metà dell’energia che dovremmo avere.

— Significa produrre poco, va bene!

— E andrà ancora peggio — disse lui, ma in tono così spensierato che sbottai, irritato:

— E va bene, sentiamo! Dimmi come pensi di fare a tirare l’asso fuori dalla manica.

— Andremo a maggiore profondità! — dichiarò lui, trionfante. Feci per obiettare ma mi zittì con un gesto e indicò la carta geografica sullo schermo. — Qui ci sono zone inesplorate con una temperatura superficiale di trenta gradi o più. — Con una matita laser tracciò linee rosse attorno ad alcuni tratti di mare. Mi chinai a osservarli e scossi il capo, lui però m’interruppe: — Aspetta un minuto, Jason. Qui ci sono spessi strati d’acqua di profondità a tre gradi. Tre gradi, mi capisci? E guarda… sono sotto una zona larga cinquecento chilometri che noi già conosciamo. Trentatré gradi alla superficie, tre gradi in profondità: un delta-Ts di trenta, che al cubo… immagina il quoziente termico, Jason!

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