Frederik Pohl - Dolce triste regina delle isole vaganti

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Dolce triste regina delle isole vaganti: краткое содержание, описание и аннотация

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Dopo un lungo periodo d’inattività letteraria, in cui si era limitato alla direzione di collane come «If» e «Galaxy», una decina d’anni fa Fred Pohl riprendeva a scrivere, sbalordendo tutti con opere stupende come
e
, e dimostrando una capacità di rinnovamento incredibile in un autore che aveva alle spalle una carriera tanto lunga e luminosa. Soltanto questo Pohl, il Pohl della seconda giovinezza, avrebbe potuto scrivere un romanzo breve come questo: scritto in uno stile vagamente ispirato al compianto Cordwainer Smith, in un futuro al tempo stesso assurdo e affascinante, dove navi grandi come isole traggono succo e minerali dai mari della Terra e dove si snoda bella e avvincente la vicenda romantica di un uomo che cerca di proteggere se stesso e una dolce fanciulla da un fato iniquo e dalle minacce di un morto.

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— Hai delle buone fonti d’informazione, Jay. E anch’io. Sei stato uno sciocco a metterti contro Dougie, lo sai.

Era seduta fra me e il disco rosso del sole sull’orizzonte. Mi spostai per togliermi la luce dagli occhi e vederla meglio in viso, e con una risatina lei trasse la sedia accanto alla mia. — Tu sei sempre una sorpresa per me, Jason — disse. — Quelle diciannove lettere… e in tanti anni non hai mai detto una parola a nessuno.

Finalmente capii perché sorrideva. — Hai una spia in casa di May — la accusai.

— Mio caro Jason! È naturale che io provi interesse per quel che succede intorno a mia sorella.

— Non è tua sorella.

— Penso sempre a lei come la mia sorellina maggiore. — Spostò un ginocchio contro il mio. — Ti piacerebbe sapere come penso a te?

Ora, il trascorrere degli anni non mi aveva certo reso più attraente: ero più vecchio del padre di Betsy. Non riuscivo a pensare ad alcuna ragione perché il mio corpo dovesse sedurla, ma aveva gli occhi socchiusi, un sorrisetto insinuante sulle labbra e la voce le s’era fatta rauca.

Mi alzai per riempirle il bicchiere, e quando sedetti di nuovo badai a ristabilire le distanze. — Perché sono stato uno sciocco, Betsy?

— Gli incidenti accadono — mormorò, da sopra l’orlo del bicchiere. — Potresti avere una vecchiaia tranquilla se fossi… prudente, Jay. — Io mi agitai a disagio, cercando d’ignorare le implicazioni. — E May ha davanti a sé la vita intera — continuò, — a meno che non le capiti un incidente. Perché, come sai, Jason, tu sei l’amministratore fiduciario del patrimonio di May grazie al testamento del commodoro… ma solo finché lei vive. Una volta morta, tu non avresti voce in capitolo sui proventi delle sue azioni.

— Le azioni passerebbero a Jimmy Rex.

— E se accadesse qualcosa a Jimmy Rex?

Mi stavo irritando… e non perché lei mi stesse mettendo pensieri nuovi nella testa: quelle erano preoccupazioni che mi ruminavano ormai da anni. Fortunatamente, per tranquillizzarmi l’animo, m’ero procurato una risposta a quelle domande. — Il denaro di May — dissi, — è molto, ma non è niente se paragonato a quello che Jimmy Rex erediterà da sua nonna. Gli Appermoy hanno i miliardi , e lui è l’unico erede.

Betsy rise divertita. — E pensare — si stupì, — che tu sei quello che ha svegliato il nostro interesse per il pesce morto!

Annuii, come se avessi capito. Dubito però d’averla ingannata perché la cosa sfuggiva del tutto alla mia comprensione, e per prendere tempo nel tentativo d’indovinare il significato mi versai un brandy. Camminai su e giù assaporando il Courvoisieur. O era lei a prendermi deliberatamente in giro, o ero più stanco e stordito, e sì, anche più ubriaco di quel che credevo. Forse non m’ero schiarito la mente abbastanza? La logica mi sembrava molto semplice: a Jimmy Rex non avrebbe potuto accadere niente — almeno, niente provocato da Dougie — finché sua nonna era viva, perché Dougie non avrebbe certo gettato via la possibilità di veder finire in famiglia la fortuna degli Appermoy. Non immaginavo però cosa potesse avere a che fare il pesce morto con tutto ciò, e Betsy non mi stava certo aiutando a riflettere. Si accostò a me facendo le fusa come una gatta, e d’un tratto mi leccò il lobo di un orecchio. — Sei un uomo eccitante, Jason — sussurrò.

— Per l’amor di Dio, Betsy! — protestai, senza capire se a confondermi le idee era quel che stavo dicendo o quella lingua umida e calda nel mio orecchio. Ero un uomo già oltre la mezz’età, ma non ero ancora morto. Betsy non mi attraeva per niente: non era mai stata graziosa. Però era giovane, abbastanza bene in carne, e doveva essersi versata almeno cento dollari di profumo francese su quell’abito vaporoso e semitrasparente. Cercai di tornare sui binari della conversazione: — Vuoi spiegarmi, per favore, quello che stai cercando di dire?

Lei ebbe un sorriso vago e indietreggiò un tantino… non era per rimettere un po’ di spazio fra noi: voleva solo aspirare l’aria nei polmoni. Per gonfiare il petto. Io finsi di non farci caso. — Jason — ronfò lei, — riesco a pensare meglio quando sono distesa. A letto, con un uomo caldo e simpatico accanto a me.

Non potevo più avere il minimo dubbio che Betsy intendeva aggiungere il mio nome alla lista di quelli dei suoi amanti. E m’imbarazza ammettere che in quel momento m’illusi che fosse davvero per una certa mia avvenenza fisica… o quasi m’illusi. Gracchiai: — Perché stai facendo questo, Betsy?

— Uffa! — s’imbronciò lei. Poi scrollò le spalle. — Perché voglio tutto quello che appartiene a May; ma ti prometto che ne varrà la pena. A letto io sono speciale, Jason. E ti prometto anche — aggiunse, passandomi le braccia intorno al collo, — che in quel grande letto dove dormi, e che era di May, dopo che l’avremo usato come va usato ti dirò tutto ciò che vorrai sapere… e ne resterai davvero affascinato.

Su quella promessa m’ingannò, anche se fu la sola che non mantenne. E quella notte non dormii molto. Quando mi svegliai, il mattino dopo, e ripensai a chi avevo avuto come compagna diletto, lei se n’era andata. Misi i piedi fuori dalle lenzuola, allungai una mano a recuperare il pigiama e mentre ancora mi stupivo su quel che era accaduto sentii l’ululato di un jet. Andai sulla terrazza e lassù, argenteo e veloce nel cielo limpido, c’era l’aereo di Betsy. Aveva avuto quel che era venuta a cercare e se n’era andata.

Ma quella notte non fu la sola in cui mi tolse il sonno. Non potevo togliermi dalla testa le cose che aveva detto o sottinteso, e la peggiore era l’allusione al fatto che la morte di Jeff non era stata accidentale. Dougie era un corrotto, naturalmente. Non avevo mai pensato che fosse anche un assassino, salvo che forse nel mio subconscio; ma ora che Betsy mi aveva messo quella pulce nell’orecchio la cosa mi parve probabile.

Chiamai ancora il capo del servizio di sicurezza, e da quel giorno in poi non restai mai senza un paio di guardiani a portata di voce.

Ma questo proteggeva soltanto me; cosa poteva proteggere la mia May? La logica mi diceva che sarebbe stato insensato per Dougie far del male a May o a Jimmy Rex prima che il bambino ereditasse il patrimonio degli Appermoy. Anzi avrebbe avuto tutto l’interesse a coccolarseli tutti e due, almeno fino alla morte della vecchia.

Tuttavia il puzzo del pesce morto mi sussurrava che c’era qualcosa di sbagliato in questo mio ragionamento. Besty sapeva cosa, ma come c’era da aspettarsi non aveva voluto dirmelo. Così feci eseguire alcune discrete investigazioni.

Non fu necessario attenderne l’esito. Prima che i miei agenti facessero rapporto, una mattina fui svegliato dal tesoriere della Flotta che venne a bussare alla porta per comunicarmi una notizia.

Il pesce morto aveva causato la fine degli Appermoy.

A quanto risultava, il vecchio Appermoy ne aveva fatta una un po’ troppo sporca prima di morire. Il sistema di vetrificare gli scarti radioattivi era sicuro e poco costoso, e per lui non sarebbe valsa la pena di rischiare la galera cercando di risparmiare in quel settore. Ma gli impianti che usava per la vetrificazione avevano avuto un guasto proprio in un periodo critico, e si era visto costretto a liberarsi in fretta del carico di una delle sue navi: ottocento tonnellate di rifiuti altamente radioattivi, senza nessun luogo legittimo in cui sistemarli. Di conseguenza s’era limitato a scaricarli sulla sommità del suo pianoro sommerso, e naturalmente essi avevano cominciato subito a disperdersi in mare.

Appermoy non aveva assassinato l’Oceano Pacifico, troppo vasto anche per la sua criminale efferatezza, ma ne aveva inquinato tre milioni di chilometri quadrati al punto da causare immense morie di pesce. La famiglia della vedova era riuscita a tenere il coperchio sulla pentola — corrompere era un’arte, per la Mafia — finché la meteorologia non li aveva traditi: per un mese intero i venti delle Hawaii avevano soffiato al contrario. Le correnti di superficie ne erano state alterate, ed acque molto radioattive avevano cominciato a lambire le spiagge di Oahu, Maui, e la costa di Kona.

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