Frederik Pohl - Dolce triste regina delle isole vaganti

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Dolce triste regina delle isole vaganti: краткое содержание, описание и аннотация

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Dopo un lungo periodo d’inattività letteraria, in cui si era limitato alla direzione di collane come «If» e «Galaxy», una decina d’anni fa Fred Pohl riprendeva a scrivere, sbalordendo tutti con opere stupende come
e
, e dimostrando una capacità di rinnovamento incredibile in un autore che aveva alle spalle una carriera tanto lunga e luminosa. Soltanto questo Pohl, il Pohl della seconda giovinezza, avrebbe potuto scrivere un romanzo breve come questo: scritto in uno stile vagamente ispirato al compianto Cordwainer Smith, in un futuro al tempo stesso assurdo e affascinante, dove navi grandi come isole traggono succo e minerali dai mari della Terra e dove si snoda bella e avvincente la vicenda romantica di un uomo che cerca di proteggere se stesso e una dolce fanciulla da un fato iniquo e dalle minacce di un morto.

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— Puttana! — ringhiò Dougie, e continuò a sbraitare oscenità nel microfono. Poi passò alle minacce, così insensate che ne restai sbalordito. Anche i suoi uomini dovettero pensare che aveva perso la testa, perché quando ordinò loro di far muovere ugualmente le imbarcazioni da assalto si scambiarono occhiate insoddisfatte. Lui afferrò un altro microfono e gridando diede l’ordine di attaccare.

— L’hai voluto tu! — disse Betsy dallo schermo. — Guarda la tua stupida flotta! — Dougie si volse alla finestra; tutti i suoi ufficiali si girarono a guardare il mare, e anch’io.

Desiderai non averlo fatto.

Non avevo mai visto esplodere un’atomica tascabile prima d’allora. E non fu sulle imbarcazioni armate che accadde. L’isola galleggiante più vicina alla nostra in quella zona del delta-Ts era l’ultima fatta costruire da May: due milioni di tonnellate di stazza, e con la maggior parte delle diecimila persone d’equipaggio ancora a bordo. Era una macchina poderosa, così robusta che avrebbe potuto attraversare un uragano o urtare in un iceberg senza oscillare neppure. Ma una mini esplosione atomica nella sala macchine era troppo anche per un’isola galleggiante.

Per nostra buona sorte la deflagrazione avvenne all’interno delio scafo, in profondità, ma prima che potessi rendermi conto che quell’orrore era una realtà i miei occhi furono abbagliati da un lampo terribile. L’onda d’urto non fu neppure abbastanza forte da frantumare i vetri, pero venne seguita da un vento caldo, violento e maleodorante, che abbatté alcuni alberi nel giardino; quindi ci fu una vibrazione subacquea che scosse lo scafo e vidi avvicinarsi un’onda di marea. Quando la parete d’acqua spumeggiante ci arrivò addosso, devastò i mezzi d’assalto di Dougie facendoli affondare a dozzine e sfracellandoli contro la nostra isola, e una volta che fu passata oltre non ci fu altro. Ma non c’era più neppure l’isola colpita, perché al suo posto restavano soltanto rottami radioattivi a galla in uno specchio di mare sconvolto.

Dougie non ebbe l’intelligenza di capire che aveva perse; probabilmente era convinto, credo, che i suoi mercenari avrebbero fatto di tutto per guadagnarsi la paga. Quando ordinò loro di lanciare i missili dalle postazioni montate a bordo, senza tener conto che anche noi avevamo puntati addosso missili della stessa capacità distruttiva, i suoi uomini fecero né più né meno quello che ogni mercenario avrebbe fatto al loro posto: cambiarono bandiera, e puntandogli i fucili addosso lo dichiararono in arresto. Lui non volle sottomettersi e si gettò addosso a uno di loro per strappargli l’arma di mano. E gli altri spararono, uccidendolo.

I russi e i giapponesi protestarono e sollevarono un gran polverone, ma legalmente avevano le mani legate e non poterono far nulla. Non c’erano leggi efficaci lì, fuori da ogni confine di acque territoriali, e la pace faceva difetto un po’ ovunque anche nel resto del mondo. Quando Betsy tornò a bordo della nostra isola ci venne da conquistatrice, con una quantità di uomini armati che presero subito possesso dei punti chiave. E nel gran locale di plancia ordinò a May di trasferire immediatamente a suo nome la proprietà della Flotta e ogni altro capitale: liquido o investito.

La mia May la fronteggiò con calma, però era scossa e pallida. Si volse a me per cercare un po’ d’appoggio e fu anche peggio, perché con un fucile puntato in un fianco non ero precisamente un’immagine rassicurante. — Il mondo non ti permetterà questo atto di pirateria! — gridò, ma Betsy le rispose con un sogghigno contorto.

— Il mondo ha i suoi guai a cui pensare — disse. — Certo, sono accaduti incidenti spiacevoli ma chi credi che alzerà un dito per aiutare un’assassina?

Io ringhiai un’imprecazione intuendo quello che si proponeva di fare, mentre l’espressione di May mi diceva che ancora era incapace d’immaginare dove poteva spingersi quella strega. — Sappiamo benissimo che hai ammazzato tuo marito — dichiarò Betsy. — Il secondo, almeno… benché il primo sia morto anch’egli in circostanze sospette. — May non si prese la briga di replicare a quella calunnia: la lasciò parlare. E quel che uscì dalla bocca di Betsy era una menzogna solo a metà, perché disse: — Ho la confessione scritta del meccanico che aiutò Dougie d’Agasto a organizzare l’incidente di Jeff, e prove in abbondanza. Ho anche due testimoni che ti hanno sentito complottare con Dougie prima dell’omicidio. — Sorrise di nuovo. — E tutti sanno che tu e Dougie eravate amanti fin da molto prima di decidere che non volevate più Jeff tra i piedi.

Se non mi avessero spinto indietro l’avrei strangolata.

Più tardi, allorché i documenti furono firmati e May se ne andò sotto scorta, Betsy si volse a me. — Bene — disse, accennando ai suoi uomini di lasciarmi le braccia. — Cosa devo farne di te, vecchio?

— Di me non m’importa — sbottai. — Ma guai a te se provi a gettare fango addosso a May: non hai uno straccio di prova che in tribunale starebbe in piedi per un secondo.

— Qui l’unico tribunale che conta sono io. Ma non temere, non subirà alcun processo… per il semplice motivo che non tornerà mai più sulla terraferma. La terrò qui a bordo con me vita natural durante.

Abbassai la testa. — Non essere crudele con lei. Non trattarla male, almeno, — supplicai, disposto anche a strisciare a terra se avesse voluto.

— Perché dovrei trattarla male? Al contrario — si compiacque lei, di buonumore, — lascerò che sia tu il suo carceriere, vecchio… a patto che tu voglia fare con me un accordo conveniente. E poi potrai trattarla con tutti i riguardi che credi.

Fu cosi che si concluse quello che per le nostre vite era stato un periodo di relativa tranquillità.

V

Vestir tre volte il lutto aveva ucciso
tutto ciò che le restava, anche il sorriso.
E la falsa sorella imprigionò in guardina
dell’isole vaganti la regina.

Per un anno e tre mesi feci quel che aveva stabilito Betsy, anche se non so come potei resistere tanto a lungo. Poi una mattina decisi di andare nel suo ufficio. — Mi spiace, ma deve attendere — mi disse il maggiordomo. — In questo momento miss Zoll è molto occupata.

— Aspetterò — sospirai. E per più di un’ora passeggiai avanti e indietro sulla sua terrazza coperta. Era un bel posto, luminoso, sopraelevato rispetto al grande giardino di prua. May non aveva giardino. Tutto lo spazio di cui poteva godere erano quattro camere, ben arredate, dove le era concesso di guardare la TV, ascoltare dischi, leggere libri, mangiare ciò che voleva e ottenere quello di cui aveva bisogno, ma a parte me e le cameriere non aveva nessuno con cui parlare. Poteva ricevere solo tre persone. Io ero la prima, Betsy la seconda (ma aveva la buona grazia di non farsi mai vedere) e il terzo, che sarebbe stato il più benvenuto di ogni altro ma non metteva mai piede lì dentro, era Jimmy Rex. Betsy stessa aveva disegnato il progetto di quella prigione. Aveva finestre larghe e luminose, che però guardavano soltanto sul mare. La porta era una sola, sorvegliata in permanenza da una guardia armata, e all’esterno un pulsante consentiva di far scattare saracinesche d’acciaio per chiudere ermeticamente porta e finestre. Ma non era mai stato usato: da lì May non poteva andare comunque in nessun posto.

Così attesi sulla veranda armandomi di tutta la pazienza possibile, finché lei non si decise a uscire. Era in vestaglia, insonnolita e sbadigliante: venne fuori tenendo una mano attorno al torace peloso del pilota di aliscafo che in quel periodo era il suo amante favorito. — E allora, vecchio? Cos’è che vuoi, adesso? May è forse infelice nel suo appartamentino gratuito? Già… magari le piacerebbe farsi un paio di settimane a Miami, con i suoi amici spacciatori di droga e venditori d’armi, eh?

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