«Non credo che torneranno», intervenne Sestilio, facendo sentire la propria voce per la prima volta; la paura sembrava non aver ancora consentito ai suoi lineamenti di rilassarsi.
«Sono battuti in ritirata», proseguì, «non appena si sono accorti che la sorpresa era fallita. Se avessero avuto rinforzi li avrebbero di sicuro utilizzati subito, nel corso del primo attacco. Perché avrebbero dovuto lasciare altri uomini nelle retrovie?»
Una logica apparentemente ineccepibile. Quando voleva, Sestilio sapeva manifestare le doti di un saggio stratega.
Giunio sapeva tuttavia che avrebbe trascorso la notte in piedi, ispezionando più volte la catena delle sentinelle.
Roma imperiale. Anno 821 dalla Fondazione.
[68 d.C. (N.D.T.)]
Se le vestali si avventuravano fuori del breve percorso dall’Atrium all’Aedes Vestae, ciò era in genere dovuto a motivi minuziosamente contemplati dalla legge, come l’obbligo di assistere alle funzioni sacre prescritte. In conseguenza di ciò, a una sola settimana dalla loro investitura Clelia e Gaia assistettero per la prima volta in vita loro a un sacrificio, inviatevi in rappresentanza della loro autorità religiosa. Dinanzi ai gradini del tempio dove erano state condotte videro l’animale, intactum e ancora ignaro del giogo, con la testa acconciata e il ventre fasciato. Videro i servitori con piatti di frutta e dolci, il sacrificante che, la testa semicoperta dalla toga, gettava sulla brace grani d’incenso. Videro comparire sulla porta del tempio il simulacro della divinità.
La vittima sacrificale venne aspersa di vino sulla fronte e poi cosparsa di mola salsa , il farro macinato misto a sale che avevano preparato nella loro dimora le tre vestali anziane e che un giorno anche Clelia e Gaia sarebbero state chiamate a preparare.
Se la sorte avesse loro consentito di diventare vestali anziane, ogni anno, dalle None di maggio fino al giorno prima delle Idi di maggio, avrebbero dovuto porre quotidianamente alcune spighe di spelta in ceste da mietitore; quindi, una volta seccate, le avrebbero frante e macinate. Infine, tre volte all’anno — per i Lupercali, per la festa della loro Divina Vesta e alle Idi di settembre -, a questo macinato avrebbero aggiunto sale bollito e sale non raffinato, coperto di gesso, cotto al forno e successivamente tagliato con una sega di ferro, ottenendo appunto il tritello da sacrificio, o mola salsa , da usare per la immolatio degli animali.
La immolatio fu accompagnata dalla preghiera con cui la vittima venne presentata alla divinità. Quindi l’ignaro animale fu stordito con un colpo d’ascia, e gli venne aperta un’arteria con un coltello a doppio taglio. A quel punto la bambina Clelia chiuse gli occhi e non vide più niente.
Non vide l’animale morire dissanguato tra mille cautele del sacrificante e dei presenti, affinché il sangue non avesse a macchiare l’altare o la loro persona. Non lo vide sventrare per l’esame di cuore, fegato, polmoni, milza, reni. Soltanto dalle preghiere che si levavano alte e fervide capì che gli organi erano senza difetto e quindi il sacrificio riuscito.
Quando finalmente si costrinse a riaprire gli occhi, timorosa che qualcuno si accorgesse del suo atteggiamento e le facesse infliggere una punizione dalla Vestale Massima; già le interiora bollite venivano raffreddate con vino, trinciate e nuovamente cosparse di mola salsa per essere deposte sull’altare e arse. Il fuoco avrebbe sottratto agli uomini il piatto destinato alla divinità; tramutato in vapore e fumo, il cibo sarebbe salito al cielo.
A quel punto, sul piazzale del tempio ebbe inizio il banchetto conclusivo della cerimonia. Non tenute a parteciparvi anche a motivo dell’età, le due giovanissime vestali si avviarono a rientrare nella loro dimora, ritualmente precedute dai littori. Al loro passaggio la gente mostrava grande deferenza; c’era chi si inchinava, chi le benediceva, chi osava avvicinarsi per chiedere un’intercessione presso la Divina Vesta.
Nei pressi del Foro, però, alcune urla concitate le spinsero a fermarsi, più incuriosite che spaventate. In una via laterale, attorniato da due ali di folla inferocita, videro un uomo anziano e curvo, coperto di sangue e di ferite provocate dalle continue percosse dei persecutori.
Clelia fece segno ai littori di proteggerla e si avviò verso l’orribile scena.
Non appena riconobbe la vestale, la gente si fermò e fece silenzio. «Quali reati ha commesso questo vecchio?» chiese la giovane, rivolta ai più esagitati.
«Rinnega i nostri dei!» le fu risposto.
«È cristiano!» incalzò un altro.
Clelia guardò il volto anziano e sfigurato dai colpi; negli occhi non vide paura ma l’orgoglio di morire in nome del Dio in cui lo sventurato credeva.
«Come ti chiami?» gli chiese.
«Valeriano, nobile sacerdotessa!» rispose il vecchio, incapace di sollevare il corpo martoriato, ma alzando uno sguardo franco e limpido.
«Queste persone sostengono che hai rinnegato gli dei.»
«Io credo in un solo Dio, vestale, che ha mandato suo figlio Gesù di Nazareth in terra», rispose ancora il vecchio.
A quelle parole uno degli uomini che brandiva un bastone lo colpì ai fianchi, inveendo. «Abbi almeno il ritegno di non bestemmiare di fronte alla messaggera di una dea, cane cristiano!»
«Fermo!» ordinò Clelia, alzando la voce. Avrebbe potuto essere figlia di molti di loro, eppure la canea si placò immediatamente. «Dove lo state portando?»
«Alle carceri, dove rimarrà chiuso per sempre senza poter provocare ulteriori guasti», rispose la folla quasi a una voce.
E due dei quattro littori si posero ai fianchi del cristiano, che a stento si rialzò sulle proprie gambe. Senza dire più niente, Valeriano fissò sulla giovanissima sacerdotessa uno sguardo indomito, che con la sua intensità le fece correre un inesplicabile brivido lungo la schiena. Sembrava che non riuscisse a distogliere lo sguardo da lei; mentre veniva trascinato via, cercò più volte di voltarsi a guardarla.
Clelia rimase ferma a lungo a osservarlo, chiedendosi quanto amore potesse legare quell’uomo al suo dio, al punto da infondergli, anche di fronte alla prospettiva del carcere perenne, il coraggio di un guerriero in battaglia.
Mentre la raggiungeva, si vide guardare da Gaia con un’espressione severa. «Non dovevi comportarti così, Clelia!» la ammonì severamente l’amica. «Ricordati che sei una sacerdotessa di Vesta e non una protettrice dei malfattori.»
«Quell’uomo era un cristiano, non un malfattore!» ribatté prontamente, senza riflettere.
«Non capisco dove sia la differenza», replicò l’altra. «Chi è responsabile dell’incendio di Roma e di crimini inauditi non può trincerarsi dietro il proprio blasfemo dio per giustificarli. Questi cristiani stanno attentando all’impero, Clelia, e meglio sarà riuscire a metterli a tacere in ogni modo, prima che la loro empia fede si diffonda ancora di più.»
Raggiunsero l’Atrium Vestae e riguadagnarono le stanze separate a cui erano state assegnate dopo la nomina. Non trascorse molto tempo che Cornelia mandò a chiamare Clelia. I toni con cui commentò il suo gesto furono severi e intransigenti. «Non azzardarti mai più a interessarti della sorte di un cristiano. Vuoi forse conoscere fin da adesso i piaceri del Campo Scellerato?»
Il solo nome fece rabbrividire la giovanissima sacerdotessa: era quello dell’orribile luogo dove, in segreti cunicoli sotterranei, venivano seppellite vive le vestali macchiatesi della colpa di avere mancato al voto di verginità.
L’istinto l’avrebbe indotta a ribattere, a difendere gli ideali di giustizia e di civiltà che si era sentita nascere nello spirito pur nel breve percorso della sua vita, ma preferì tacere e, chinando il capo, annuì.
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