Marco Buticchi - Le pietre della Luna

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Tre misteriose statuette d’oro risalenti alla Roma del I secolo d. C., un enigma archeologico che gli studiosi hanno inseguito per secoli tra indizi confusi, testimonianze remote, sparizioni e ritrovamenti. Ma perché, adesso, anche i servizi segreti delle grandi potenze sono così interessati a questa vicenda? E quali sono i fili nascosti che collegano il passato delle Pietre al loro presente? Un vertiginoso slalom di avventure tra l’antica Roma e i giorni nostri, tra galeoni spagnoli e navicelle spaziali, tra agenti del Mossad e affascinanti scrittrici.

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L’ira di Cornelia sembrò placarsi di fronte alla sua sottomissione. «Lo considereremo soltanto un incidente dovuto alla tua giovanissima età», disse. «Tieni però ben presente che non ammetterò altri errori da parte di una Sacra Vergine Vestale.»

Clelia sentì le lacrime salire agli occhi, ma si impose di non darle ulteriore soddisfazione. Con il cuore gonfio di pena si congedò da lei, e soltanto quando fu sola nella sua stanza consentì libero sfogo allo sconforto. Aveva stranamente fisso negli occhi e nella mente lo sguardo del cristiano e le sue parole.

In vista della città di Luna.

Anno 830 dalla Fondazione di Roma.

[77 d.C. (N.D.T.)]

Si affacciarono dalla sommità di una collina coperta di verde e, lontano, videro risplendere di mille bagliori il mare. Il mare! Una vista che provocò in Giunio una profonda emozione. Laggiù, sotto di lui, si stendeva la sua terra. Si trattenne a stento dal gridare tutta la gioia che si era sentito montare in petto.

Dopo tanti anni passati in terre remote e inospitali, tra il gelo delle nevi e i picchi ghiacciati delle montagne, rivedere quel familiare luccichio di acqua e sole lo riportò con il pensiero all’infanzia, alla famiglia, ai vecchi amici del luogo.

Seguì con lo sguardo il corso del fiume che si snodava sotto di loro fino a versarsi nel mare. A poca distanza dall’estuario si stagliavano distinte le mura della città di Luna; già si scorgevano la grande struttura del Circo e, in posizione più elevata, il tempio di Venere.

A sud si perdeva una sottile striscia di sabbia; a nord, quasi d’improvviso, la costa si ergeva prepotente. Ancora più in là, nella sconfinata distesa d’acqua, le due isole compagne di tanti suoi sogni di bambino sdraiato sulla rena.

Aveva il cuore pieno di una gioia tumultuosa. Marzio gli si avvicinò senza che se ne accorgesse. «Capisco quello che stai provando, tribuno Giunio», disse. Furono le sole parole che pronunziò prima di comandare che si riprendesse la marcia e, questa volta, a passo veloce.

Poi si rivolse nuovamente al tribuno. «Prima di sera potrai riabbracciare i tuoi cari, Giunio», disse, rivolgendogli una di quelle espressioni di sincero affetto che il giovane aveva ormai imparato bene a riconoscere.

Gli sembrò che quella breve distanza fosse interminabile, ma finalmente, seguendo il corso tranquillo del Magra, il convoglio giunse in vista delle mura. Lontano, davanti al porto, si vedevano diverse navi da carico alla fonda, in attesa del loro turno per riempire le stive del prezioso marmo di Luna da trasportare in ogni angolo dell’impero.

Sapeva che un tempo suo padre usava rimanere nei campi fino al tramonto, sicché fece compiere al drappello una breve deviazione per verificare se ciò fosse ancora vero.

Al centro del ben noto campo coltivato, a circa mezzo miglio dalle mura, vide un grosso bue che spingeva un vallus.

Un uomo di corporatura alta ed eretta, nonostante gli anni, teneva la mano sinistra sulla cassa dell’attrezzo. I ganci ricurvi sistemati sul davanti del vallus raccoglievano legumi, foglie e piante all’interno della cassa; più tardi sarebbero state le donne a separare i baccelli commestibili dagli scarti.

Giunio spronò il cavallo verso la figura isolata, a cui le ombre del tramonto conferivano una particolare suggestione. Il vento tiepido di primavera gli batteva sul viso, sentiva l’odore del mare. L’uomo non si girò verso di lui, sebbene il suo galoppo fosse stato volutamente rumoroso.

«Cerco Giunio, vecchio!» disse il giovane non appena lo raggiunse, cercando di alterare la voce.

L’uomo si fermò, ebbe un attimo di esitazione, ma poi, sempre rivolto in un’altra direzione, rispose. «Sono sicuramente vecchio, e anche cieco, ma, grazie agli dei, non ancora sordo. Non riuscirai a ingannarmi così facilmente, legionario!»

Il giovane smontò rapidamente da cavallo, in preda a una commozione irrefrenabile. «Padre… Padre!» Furono le sole parole che riuscì a pronunciare, mentre le lacrime gli segnavano il volto temprato dalle battaglie. Il vecchio lo abbracciò con tenerezza, facendo scorrere a lungo le mani sul suo viso e sul corpo.

«Ti credevo impegnato a batterti contro i barbari, invece sento che non porti ferite né, gli dei ne scampino, mutilazioni. Qual buon vento ti riporta a casa, figliolo?»

La voce di Marzio, alle sue spalle, prevenne la risposta del giovane: «Il tribuno Giunio della città di Luna ha scelto di accompagnarmi a Roma e di diventare mio uomo di fiducia».

Gli occhi vacui del padre si girarono da quella parte, quasi potessero vedere la fonte da cui proveniva la voce autorevole. «Chi ha parlato?» chiese, puntando la testa verso di essa, ma in un atteggiamento strano.

Soltanto in quel momento Marzio capì di avere a che fare con un cieco; sceso da cavallo, si accostò al vecchio, spiegando. «Sono il legato Marzio, comandante della legione nella quale ha eroicamente combattuto tuo figlio, meritandosi la gratitudine mia e di tutto l’impero.»

Il vecchio, pur avendo a sua volta vissuto una lunga esperienza militare, non aveva mai avuto l’opportunità di scambiare una sola parola con un così famoso generale. Fece un cenno di sottomissione con la testa, ma le salde braccia del legato gli impedirono di inchinarsi.

«Marzio, la tua fama ti ha preceduto luminosa, consentendo anche ai miei occhi privi di luce di vedere le vostre gesta contro i germani, quasi fossi lì al vostro fianco, con l’arma in pugno come un tempo. Ho pregato a lungo che mio figlio non dovesse subire la mia stessa sorte, e che non venisse colpito dal nemico. Ma, dimmi, legato, dici il vero quando affermi che Giunio è un tribuno? Non menti?»

Espressioni irriverenti, ma il generale seppe capire l’incredulità di un uomo costretto a vivere al buio. «Certo, buon vecchio», rispose, «ha meritato sul campo e con il suo valore diverse promozioni, fino a raggiungere i gradi più alti e sedere al mio fianco, meritandosi non soltanto il mio rispetto ma anche il mio affetto.»

Le mani del padre vagarono per un istante nell’aria, incerte, prima di incontrare nuovamente il volto del figlio. A quel punto, vinto a sua volta dall’emozione e con un nodo in gola, il vecchio mormorò: «Quanto onore ci hai dato, figlio mio. Quanto orgoglio nutro per te… Tua madre… Dobbiamo andare a casa da tua madre… Non ha mai smesso di aspettarti».

Entrarono in città in formazione da parata; da ogni angolo le persone spuntavano sempre più numerose, pronte a festeggiare l’evento. C’era chi chiamava a gran voce il nome di Marzio, ma, non appena qualcuno riconosceva negli abiti di un alto ufficiale il concittadino Giunio, era il suo nome a risuonare alto per le anguste vie della città di Luna.

Il comandante della guarnigione locale, preoccupato per l’imprevisto movimento di truppe, si era fatto incontro al convoglio prima che raggiungesse le mura, scortato da un nutrito manipolo di uomini. Riconosciute le insegne, aveva però spronato alacremente il cavallo incontro ai combattenti tornati da tanto lontano, ansioso di organizzare un comitato di benvenuto che non lo facesse sfigurare di fronte al suo generale.

Giunio aveva fatto montare dietro di sé sul cavallo il padre, che adesso si teneva aggrappato saldamente alle sue vesti in preda a una gioia incontenibile. Gli gridava senza tregua negli orecchi: «Senti come chiamano il tuo nome, senti che accoglienza? È un grande onore per un vecchio, figlio mio, un grande onore».

Le truppe furono condotte fino allo spiazzo nei pressi del teatro, dove si sarebbero accampate per la notte. Poi, Marzio, Sestilio, Giunio e suo padre si diressero verso la casa di famiglia.

Non appena il giovane arrestò con perizia il cavallo, il genitore pretese di precederlo. «Non vorrei», disse, «che l’immensa gioia potesse avere pericolose ripercussioni sulla salute di tua madre, figlio.» Dovette individuare a tentoni lo stipite ma, una volta all’interno, si mosse come se ci vedesse.

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