Ma non era quella la sola notizia che aveva impensierito Oswald: parte della prima e l’intera seconda pagina del giornale statunitense erano dedicate al servizio sul gravissimo attentato che aveva avuto per oggetto gli acquedotti delle due principali città cinesi.
Pechino e Shanghai erano rimaste completamente a secco per quarantott’ore, a causa di una contaminazione dell’acqua potabile con sostanze tossiche. Per fortuna gli impianti di rilevazione automatici avevano lanciato l’allarme prima che l’acqua si diffondesse nella rete, scongiurando una strage di proporzioni enormi. Il presidente della Commissione militare Zhu Ling, intervistato dall’inviato del quotidiano americano, sottolineava un’altra circostanza fortunata: la Water Enterprise, contrattista per le forniture idriche dell’apparato militare, stava per installare filtri anticontaminazione. Quegli stessi filtri erano stati immediatamente dirottati verso gli impianti civili e, nel contempo, il personale della Water Enterprise presente in Cina aveva iniziato le operazioni di bonifica. La situazione sarebbe ritornata all’assoluta normalità entro una decina di giorni e i filtri avrebbero impedito il ripetersi di simili attentati. Nel frattempo, con dei collegamenti volanti, la benemerita Water Enterprise avrebbe assicurato una fornitura d’emergenza, utilizzando le disponibilità idriche dei militari.
Una sedicente organizzazione legata alla Repubblica Nazionalista Cinese di Taiwan aveva immediatamente rivendicato gli atti terroristici.
Ancora, nell’articolo, il generale Zhu Ling sottolineava le due circostanze che avevano evitato il disastro: l’intervento dei rilevatori automatici aveva scongiurato una catastrofe di dimensioni mai viste, dato che nelle due città cinesi risiedono almeno venticinque milioni di persone. Inoltre, la presenza sul territorio della Water Enterprise e dei suoi macchinari aveva limitato i disagi derivanti dai tempi di bonifica degli acquedotti.
Comunque, concludeva Zhu Ling, alimentando, qualora fosse necessario, l’odio tra il suo paese e la Repubblica di Taiwan, chiunque fosse stato il mandante di un così grave atto contro l’umanità l’avrebbe pagata cara.
L’auto guidata da Breil si fermò dinanzi a una villetta a due piani nel quartiere residenziale di Wheat Ridge.
«Chi è?» chiese una voce dal tono ancora brillante, anche se tradita da un lieve tremito.
«Se Mame-loshen mi fa entrare, glielo dico.» Oswald utilizzò il vocabolo yiddish che usava da sempre come soprannome per chi si era preso cura di lui da quando i suoi genitori erano scomparsi in un misterioso incidente d’auto.
«Anche i federali americani», disse Bruno Milano all’ispettore Iku, «riuscirono a incastrare Al Capone per reati che nulla avevano a che vedere con il fatto che il gangster fosse il capo di Cosa Nostra. Il nostro amico Yasuo Maru possiede, a quanto sospetto, un vizietto che potrebbe costargli lunghi anni nei penitenziari giapponesi.»
Iku era rimasto in silenzio, continuando a guardare nella direzione dell’edificio della Water Enterprise. Se soltanto un decimo di quello che Milano gli aveva detto si fosse rivelato vero, avrebbero avuto le prove inconfutabili dei legami che univano Yasuo Maru al crimine organizzato.
«Bene, Milano san , mi ha convinto», aveva risposto Iku rompendo il silenzio. «Indagheremo sulle attività collaterali del Signore delle Acque. Sono ricerche che posso svolgere senza alzare troppa polvere e senza indispettire nessuno dei potenti amici di Yasuo Maru.»
La polizia fece irruzione nella rinomata scuola per geishe di madame Genji Enshigoju due giorni dopo l’incontro tra il maggiore del Mossad e l’ispettore di polizia.
La donna venne arrestata per sfruttamento della prostituzione. Nell’ordinato schedario che gli inquirenti rinvennero all’interno del bordello per clienti altolocati, non trovarono alcun riferimento a Yasuo Maru, ma diversi addebiti per biglietti aerei sulla rotta Tokyo-Rio de Janeiro e viceversa. Il fatto singolare era che, mentre i biglietti dal Giappone al Brasile erano a nome di una coppia, quelli per il rientro erano destinati a un nucleo familiare di tre o quattro persone: alla coppia si andavano sempre ad aggiungere delle giovanissime viaggiatrici, dichiarate come figlie al seguito dei due coniugi. La cosa si era ripetuta in almeno cinque casi: quelle bambine, dieci o dodici anni, a giudicare dall’età dichiarata alla compagnia aerea, avevano compiuto un solo viaggio di andata ed erano poi scomparse nel nulla.
Henry Vittard assicurò l’ultimo dei ganci al cavo d’acciaio, quindi mostrò il pollice alzato al suo compagno di immersione: la tempesta in arrivo stava facendo sentire i suoi effetti anche là sotto. Dovevano fare in fretta.
«Salpa, Etienne», aveva detto Vittard, togliendosi l’erogatore di bocca non appena messa la testa fuori dall’acqua.
Il rumore del motore elettrico della gru a poppa del C’est Dommage era attutito dall’urlo dello scirocco che andava aumentando.
Henry si era quindi nuovamente immerso: l’ammiraglio Grandi e lui avrebbero accompagnato il reperto nel corso della risalita.
Il pesante manufatto si sollevò dal fondo in una nuvola di sabbia. Rimase per pochi istanti a mezz’acqua, dondolando lentamente, poi riprese a salire.
Quando il legno antico, ma ancora in ottimo stato, giunse a pelo d’acqua, Vittard e Grandi salirono a bordo. Smesse le pesanti attrezzature subacquee, i due uomini unirono le proprie forze a quelle di Jalard: il recupero del relitto era reso ancor più difficoltoso dal rollio che interessava il catamarano.
Dopo circa venti minuti di sforzi, quella che poteva sembrare una parte della prora di un’antica nave era stata collocata subito a ridosso del pozzetto di poppa.
I colpi di mare facevano ondeggiare paurosamente la barca; ancora pochi minuti e la situazione sarebbe diventata critica: le onde avrebbero potuto spingere il C’est Dommage verso la scogliera di punta Marsala.
«Dobbiamo partire subito», disse Vittard, mentre azionava l’avviamento del motore.
Ma il propulsore ausiliario da duecento cavalli, che serviva perlopiù nel corso delle manovre in porto, emise solo un roco colpo di tosse, poi un altro ancora, senza riuscire ad accendersi.
Rapidamente Vittard valutò le condizioni: l’ancora sembrava reggere, ma non l’avrebbe fatto per molto. La prora era allineata al vento e avrebbe consentito loro di issare le vele, opportunamente ridotte a causa delle forti folate che sopraggiungevano.
Quasi senza scambiare parola tra di loro, Jalard e Grandi diedero di piglio ai winch e alle drizze: il catamarano avrebbe potuto resistere per pochi minuti ancora alla furia della tempesta, se non si fosse mosso utilizzando l’ampia velatura.
Il C’est Dommage rimase per un istante immobile, con le tele che sbattevano, mentre Jalard, dopo aver constatato che sia la randa sia il fiocco erano issati, recuperava l’ancora. Quindi Henry agì sul timone, le vele parvero gonfiarsi e, sbandando leggermente, il catamarano si mosse verso l’imboccatura della baia. Il vento, intanto, aveva raggiunto la velocità di cinquanta nodi, pari a circa novantacinque chilometri orari.
I tre uomini si guardarono l’un l’altro con soddisfazione: ormai parevano in salvo.
Non ebbero però il tempo di rallegrarsi: la sagoma dello Shimakaze si frappose tra loro e il mare aperto. I centoventi metri di lunghezza della nave chiudevano l’imboccatura della baia. L’ex unità militare, parallela alla linea di costa, risentiva del mare al traverso ondeggiando visibilmente e sembrava precludere ogni via di fuga.
Taka, il segretario particolare del Signore delle Acque, apprese dell’arresto di madame Genji Enshigoju alcune ore prima che la notizia divenisse di pubblico dominio.
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