Oswald guidò fino all’entrata merci dell’Hotel Glamour, districandosi con sicurezza nella rete delle strade di Las Vegas.
Era determinato a cercare aiuto per combattere Yasuo Maru e salvare la vita di Sara Terracini. E lì si trovava una persona in grado di darglielo. Il senso di solitudine parve abbandonarlo mentre entrava nell’ufficio di Antony Sorrentino, all’ultimo piano di uno tra i più lussuosi alberghi del mondo. Il referente delle famiglie aveva un antico debito di riconoscenza nei suoi confronti; inoltre Oswald sapeva bene che tra Cosa Nostra e la mafia giapponese regnava una profonda rivalità.
Quando, circa un’ora più tardi, Breil risalì sull’utilitaria, abbandonando il piazzale di sosta dell’Hotel Glamour, sembrava molto più sollevato.
Henry Vittard osservò preoccupato le dense nubi nere che si stavano addensando verso sud, sospinte da un vento di scirocco che cominciava a farsi sentire.
«Tempesta in arrivo?» chiese Grandi, annusando l’aria carica di umidità.
«Sembra di sì, ma se abbandoniamo il recupero adesso corriamo il rischio che i movimenti della sabbia rendano vano tutto il nostro lavoro. Dobbiamo assolutamente immergerci e tentare di portare in superficie il relitto. Bisogna riuscire a farlo prima che si scateni la buriana.»
Pochi minuti più tardi Etienne Jalard vide i due uomini che si rituffavano verso i fondali.
Il marinaio si strinse nella cerata: il forte vento penetrava anche nei tessuti stagni. Le prime gocce di pioggia grandi come nocciole cominciarono a cadere.
Un’imbarcazione da pesca si accostò a dritta del C’est Dommage.
«Ehi, di bordo, c’è nessuno?» chiese una voce dal peschereccio.
La mano di Jalard corse d’istinto al calcio della pistola, e lo tenne saldamente mentre si affacciava per vedere chi si era avvicinato.
«Volevo sapere se avevate bisogno di pesce fresco appena pescato, signore…» disse un giovane dagli occhi scuri, parlando con un forte accento siciliano. «Il pesce di Nino fa dimenticare ogni fatica, signore, anche quelle dei due sommozzatori là sotto…» e il pescatore indicò le bolle in superficie.
«No, grazie, Nino», rispose cortesemente Jalard. «Stiamo per salpare: tra poco la tempesta raggiungerà Favignana ed è meglio riparare in qualche baia ridossata.»
«Già, signore», continuò Nino. «E pare che si tratti di un fortunale particolarmente violento. Almeno così dicono le previsioni… Ma mi togliete una curiosità?»
«Se posso…»
«Che cosa c’è là sotto di tanto importante? Io pesco in queste zone quasi ogni giorno e vi ho visto qui anche in autunno. Quando voi siete partiti, sono arrivati i giapponesi. Avevano una grande nave uguale a quelle da guerra. Poi alcuni di loro hanno preso alloggio in paese e hanno continuato a fare immersioni a punta Marsala.»
«Non credo ci sia nulla di interessante, mio buon amico…» rispose Jalard cercando di essere naturale. «Io sono soltanto il marinaio e non ho proprio idea di cosa passi per la testa al mio datore di lavoro. Comunque, fino a oggi non ho visto niente.»
La piccola barca si allontanò tra lo sbuffare del motore diesel, lasciando Etienne Jalard a osservare il mare increspato, mentre ripensava a quello che aveva detto il pescatore siciliano.
Mar Mediterraneo, anno di Roma 821 (68 d.C.)
«Una volta in terre sicure e assunta una nuova identità, nessuno verrà più a cercarci…» disse Nerone rivolto a Lisicrate, mentre una brezza calda dai sapori mediterranei gli scompigliava i capelli color del bronzo.
«Sì, sempre a patto di condurre una vita che non dia troppo nell’occhio, altrimenti correremo il rischio che qualcuno riconosca in te l’imperatore e che gli emissari di Galba vengano a cercarti. In questo momento, a Roma, Nerone è morto e nessuno si sognerebbe mai di identificare il defunto imperatore con un anonimo cittadino di origini romane e residente nelle province d’Egitto o di Galilea. Credo, Nerone, che attingere al tesoro di Didone in maniera oculata, quel tanto che basta per garantirti un’esistenza decorosa, sia per il momento la scelta migliore.»
La nave d’oro o, meglio, quella che appariva come la più bella imbarcazione di ogni tempo, incrociava al largo di Stromboli già da alcuni giorni, quando gli occupanti del peschereccio la avvistarono.
«Tra poco saremo in salvo, Lisicrate», si rallegrò Nerone, che sembrava essersi rinvigorito dopo i sette giorni trascorsi in mare aperto, lontano dagli sfarzi e dagli eccessi.
Lisicrate si limitò ad annuire, poi il suo sguardo corse oltre la figura dell’imperatore e si posò su quel veliero frutto del suo ingegno creativo.
Copiose mani di pittura avevano completamente occultato le lamine d’oro che ricoprivano l’opera morta. Le vele candide erano state sostituite con tele grezze, del tutto simili a quelle delle navi onerarie. Parte dei fregi in oro e avorio erano stati rimossi, così come il numen della nave: una statua d’oro a grandezza d’uomo raffigurante la dea Iside, protettrice dei naviganti. Così camuffata, poteva sembrare una delle tante imbarcazioni da carico male in arnese che solcavano il Mediterraneo.
Un brivido percorse la schiena del progettista greco, quasi che la creatura da lui curata nel più piccolo dettaglio volesse comunicargli un presagio.
Non appena l’equipaggio della nave imperiale riconobbe la barca da pesca, le vele vennero disposte al vento e i remi furono sollevati dall’acqua.
«Svelto, Lisicrate, non perdere tempo a scrivere memorie che nessuno potrà mai leggere. Dobbiamo imbarcarci», lo sollecitò l’imperatore mentre radunava i quattro oggetti a lui cari, introducendoli con cautela in un’anfora.
«Ho come un presentimento, Nerone, un brutto presentimento…» rispose il greco. «Quella nave sta andando incontro alla disgrazia… Credo sia meglio seguirla con il peschereccio, almeno sino a che non si troverà in acque sicure. Accostiamoci e imbarchiamo le poche cose con le quali siamo fuggiti. Poi comunichiamo al comandante che saliremo a bordo solo dopo aver doppiato la punta estrema della Sicilia. Temo che Simon Mago sia sulle nostre tracce.»
Lisicrate a questo punto si fermò. Il foglio di papiro era steso dinanzi a lui, adagiato sulla rozza tavola all’interno dell’unica cabina destinata al comandante della barca. Da quando erano partiti, quell’alloggio era stato occupato da Nerone e dal suo inseparabile consigliere.
«Tra non molto ci affiancheremo. Spetta a te ogni decisione, mio imperatore. Quanto a me, ho ancora poche righe da scrivere, prima di sigillare l’anfora contenente quelle che tu chiami ‘memorie che nessuno leggerà’. È giusto che io lasci un’indicazione… In fondo sono l’unico custode del segreto, dopo la morte in preda alla follia di Cesellio Basso. E sulla sua lapide è scritto il cammino. Tjet , il nodo, indicherà la strada.»
La penna d’oca prese a correre veloce sulla superficie del papiro…
Calma e silenzi di mare, tempeste di acque infuriate.
Ricchezza e povertà, potere e disgrazia, vita e non vita.
Alterne sono le vicende, la natura. Relativo è l’apporto dell’uomo.
Che cosa fare di ricchezze infinite se la fine è prossima?
Lasciare a chi verrà un indirizzo, una via per capire.
Adesso il mare è calmo e il silenzio avvolge tutto, anche la fine.
È tanto grande il senso di pace da infondere paura.
Venezia, 1337
Salìm non sarebbe stato così agitato nemmeno se si fosse trovato dinanzi l’intera flotta degli infedeli.
Il pianto della bimba affamata gli penetrava nelle orecchie come un punteruolo affilato.
«Ma perché il Muqatil ci sta impiegando così tanto?» si chiese il giovane saraceno.
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