Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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L’agente della polizia stradale aveva bussato proprio alla casa degli Habar, quando Oswald aveva quattordici anni. Il poliziotto, in visibile imbarazzo, aveva comunicato che i coniugi Breil, i vicini di casa, erano rimasti vittime di un incidente d’auto. Lilith avrebbe dovuto dare quella terribile notizia al giovane Oswald, unico rimasto della famiglia Breil.

La donna aveva lottato per ottenere dal tribunale l’affidamento del bambino e alla fine l’aveva avuta vinta. Con gli Habar, Oswald era vissuto sino al compimento della maggiore età, quando, seguendo le orme del padre, aveva intrapreso una carriera che si sarebbe presto rivelata sfolgorante all’interno dei servizi segreti israeliani.

Oswald aveva, in quegli anni, riempito la vita di Mame-loshen Lilith Habar e la donna lo aveva cresciuto con tutto l’affetto e le premure di una madre.

L’ex primo ministro israeliano si era sistemato nello studio di Ezer: da li Breil avrebbe coordinato il proprio esercito… Un esercito senza soldati. Forse… forse qualche uomo fedele gli era ancora rimasto. Oswald alzò la cornetta e compose un numero privato dell’ambasciata israeliana a Tokyo.

Il C’est Dommage rimase affiancato alla nave giapponese tutto il tempo necessario a effettuare le operazioni di trasbordo degli occupanti e del voluminoso reperto appena recuperato da Grandi e Vittard. Ci volle circa un’ora perché ogni cosa ritenuta degna di nota venisse portata sullo Shimakaze.

Grégoire Funet accolse i nuovi venuti seduto come sempre sul grande divano del salotto. Il tavolo dinanzi a lui era ingombro della documentazione sequestrata dagli uomini di Maru sul C’est Dommage.

«Funet!» esclamò Vittard con un moto d’ira. «Avevo sempre sospettato che tu fossi un gran figlio di puttana!»

«Gli insulti non ti serviranno a riacquistare la libertà.» Funet fece un cenno a uno dei giapponesi vestito come un membro dell’equipaggio e costui affibbiò un pugno sulle reni dello skipper. Quindi il funzionario delle Belle Arti francesi proseguì: «Questo per far capire al mio ex compagno di studi e ai suoi amici che nessuno ha voglia di scherzare. Prima ci darete informazioni utili al recupero della nave imperiale e minore sarà la vostra sofferenza».

«Bastardo!» sussurrò ancora Henry, non appena riprese fiato a sufficienza per riuscire a parlare.

«Ho dato un’occhiata ad alcune pagine di questo scritto», continuò Funet indicando le copie della traduzione di Sara che Vittard aveva stampato. «Mi sembra che il suo contenuto sia molto interessante. Forse al punto di riuscire a fare a meno del vostro aiuto e di quello della signorina Terracini.»

«Dove avete portato Sara, Funet?» chiese Vittard.

«Molto più vicino di quanto tu non creda, amico mio. Potrai rivedere la tua bella aiutante molto presto. Se adesso volete voltarvi, assisterete a uno spettacolo affascinante.»

Così dicendo, Funet agì su un comando e la tenda che oscurava l’ampia vetrata del salone si mosse come il sipario di un palcoscenico.

Il C’est Dommage ondeggiava nel mare in tempesta a circa duecento metri dallo Shimakaze. Sembrava un rapace ferito, con il moncone dell’albero puntato verso il cielo e brandelli di vele che sbattevano al vento. C’erano due gommoni affiancati al catamarano. Alcuni uomini in divisa da marinai stavano gettando in acqua ogni cosa in grado di galleggiare: salvagenti, zattere autogonfiabili.

«Stanno simulando un naufragio», spiegò Grandi osservando la scena.

«Esatto, ammiraglio», commentò il perfido Funet. «Pensi che sfortuna per il grande skipper: dopo aver affrontato mari davvero insidiosi, ha finito per naufragare in un bacino relativamente sicuro come il Mediterraneo.»

Gli uomini abbandonarono il catamarano. Il C’est Dommage parve appesantirsi, sembrò che resistesse sempre meno alla furia delle onde, mentre la linea di galleggiamento scendeva inesorabilmente. Quindi i due speroni si impennarono, la poppa scese verso gli abissi. La barca rimase così per qualche secondo, come un nuotatore in difficoltà che arranca per restare in superficie. Poi scomparve per sempre tra le onde.

«Ci sono circa milleduecento metri di fondale, qui sotto. Nessuno tenterà mai un recupero», disse ancora Funet con aria di trionfo. «Bene… Quanto a voi, decideremo in seguito il da farsi. Nel frattempo mi auguro che vogliate gradire la proverbiale ospitalità degli orientali.»

Sotto la minaccia delle armi di quattro membri dell’equipaggio, Vittard, Grandi e Jalard furono condotti ai ponti inferiori della nave. Si fermarono davanti alla porta stagna in acciaio di una cabina, sorvegliata da due carcerieri.

Sara alzò gli occhi al rumore del chiavistello. Vittard e gli altri due uomini vennero spinti dentro a forza.

La giovane studiosa si alzò, gettando le braccia al collo allo skipper.

«Mi dispiace, Sara», disse Vittard, stringendola a sé. «Mi dispiace averti coinvolto in questa brutta avventura.»

Sara fece un cenno eloquente, posando il dito indice sulle labbra e indicando l’ambiente circostante: sicuramente c’erano dei microfoni in grado di intercettare ogni loro conversazione.

«Mi hanno costretta a parlare…» recitò Sara, interpretando alla perfezione la parte della prigioniera in preda a un cieco terrore. «Perdonatemi.»

I quattro fecero appena in tempo a prendere posto nelle rispettive cuccette della cabina che la porta si aprì di nuovo.

«Vittard, sul ponte!» ordinò uno dei carcerieri, puntando minacciosamente la canna del mitragliatore verso i prigionieri.

«Non ho creduto a una sola parola di quello che ho letto, eccellenza.» Quelle parole di Bruno Milano suonarono come un eterno giuramento di fedeltà.

«Mi fa piacere», rispose Breil a migliaia di chilometri di distanza. «Credo sia opportuno mantenerci in contatto attraverso i soliti canali, signor Milano.»

«Sono d’accordo, aspetto sue notizie.»

Quando Bruno Milano ripose la cornetta, Iku lo guardò con un’espressione in cui si leggevano incredulità e ammirazione.

«Quello che ha appena chiamato era il primo ministro Oswald Breil, non è vero?» chiese l’ispettore.

«Era il dimissionario primo ministro», lo corresse l’ufficiale del Mossad.

«Una persona molto influente…» commentò Iku.

«Una persona che ha goduto di un’enorme influenza e potere. Anche se al momento non so quanto sia ancora da considerarsi amico dei potenti un politico accusato di corruzione. Breil è la persona che ha voluto indagare sulla Water Enterprise e la sua esperienza ci sarà sicuramente utile. Ma non credo che potremo più contare sui suoi appoggi altolocati. Siamo soli contro un gigante sanguinario.»

«Vorrei conoscere la tua titolata opinione su questo», disse Funet, indicando il reperto che Vittard e Grandi avevano recuperato e che era stato issato sulla coperta dello Shimakaze.

Lo skipper rimase in silenzio.

«Bene, vedo che ancora non vuoi parlare… Avrai tempo per rivedere la tua presa di posizione.»

L’uomo armato accanto a Vittard lo colpì in pieno volto con il calcio in acciaio della mitraglietta.

Henry si premette la mano contro la ferita, mentre Funet continuava.

«Visto che non vuoi farmi sapere come la pensi, ascolterai ciò che penso io.» Funet si pose a fianco del relitto e indicò con la mano alcuni particolari. «I chiodi che tengono il fasciame non sono di fattura romana. Penso che possano risalire a una tarda epoca medievale. Questo manufatto sembrerebbe una parte della prora di una nave. Se si dovesse trattare della prora, la particolare conformazione di quelle che possono apparire come due ordinate orizzontali potrebbe far pensare a uno scafo multicarena. Un dromone, per esempio: un trimarano velocissimo usato nelle marinerie mediterranee sin dal settimo secolo. La struttura credo sia stata danneggiata da un incendio. Questi rinforzi in ferro lascerebbero presumere la presenza di un rostro. Doveva trattarsi quindi di una nave da guerra.» Funet si fermò, fece una pausa e poi declamò col fare di un insegnante che stia tenendo una lezione di archeologia. «Ritengo che si tratti di un relitto che nulla ha a che fare con la nave dell’imperatore. Una sovrapposizione di relitti… Non era questa l’informazione che andavi cercando in un primo tempo, Henry? In ogni caso, procederò alla lettura degli appunti di Sara Terracini, e nel frattempo lo Shimakaze si metterà alla fonda a punta Marsala. Inizieremo subito le ricerche.»

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