Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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«A questo punto io mi sono nascosto all’interno di una controsoffittatura in travi, esattamente sopra il punto in cui il tuo sosia stava esalando l’ultimo respiro. Ho potuto così osservare, non visto, l’epilogo della vicenda. Nell’incoscienza che precede la morte, Settimio ha farfugliato qualche parola di elogio a un centurione che tentava di soccorrerlo, poi ha reclinato il capo per sempre. A questo punto un uomo, vestito con una tonaca azzurra, si è chinato sul cadavere. Ha esaminato con attenzione gli anelli che Settimio portava, poi si è alzato scuotendo il capo. Sono certo di averlo riconosciuto: era Simon Mago.»

«Simone? Io stesso ho fatto prelevare dal suo cadavere sfracellato sul selciato del Campo Marzio l’anello…» Un dubbio si fece strada nella mente di Nerone.

Venezia, 1337

La lama del pugnale del Muqatil era premuta sulla carotide di Angelo Campagnola.

Il volto del nobile veneziano era cereo e diventò ancor più pallido quando il guerriero saraceno cominciò a parlare: «Ti consiglio di non fiatare: farei prima io a reciderti la gola che non le tue grida a uscire dalla bocca. Non so quale impulso mi trattenga dall’ucciderti, dopo quello che mi hai fatto, Angelo Campagnola. Purtroppo rimani sempre il padre della donna che amo e il nonno di mia figlia. E questo mi impedisce di toglierti la vita…»

Angelo Campagnola parve rilassarsi nell’ascoltare quelle parole, ma Lorenzo premette ancora la lama: «… sempre a patto che tu accompagni due poveri fraticelli nel giro delle questue».

«Il giro… delle questue?» chiese il Campagnola con un filo di voce.

«Sì, dovrai prima intercedere affinché mi venga riconsegnata mia figlia, poi accompagnerai questi due santi uomini al convento a liberare dalla prigionia Diletta. E alla fine, quando la mia famiglia sarà in salvo, ti verrà restituita la libertà.»

La superiora uscì dal monastero con una gran fretta: il caso rientrava tra quelli per cui si poteva non osservare la clausura. L’unico recapito che aveva era quello a cui aveva fatto comunicare che Diletta aveva partorito: l’indirizzo di un certo Alessandro Crespi, mercante di Venezia, presso il quale alloggiava l’orientale che aveva prelevato la bambina. Per il momento non le sembrava necessario disturbare il nobile Campagnola. Almeno fino a quando i suoi sospetti sui due frati fossero rimasti tali.

Angelo Campagnola salì sull’imbarcazione ormeggiata dinanzi al suo palazzo. I due falsi frati gli stavano ai fianchi come angeli custodi. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che quelle sante mani stringessero degli affilati pugnali puntati al ventre del nobile membro del Consiglio dei Dieci.

La piccola barca si mosse e si districò nel dedalo di canali. Sopra i ponti e lungo le calli i festeggiamenti del carnevale impazzavano: nessuno avrebbe notato quello strano gruppetto di persone.

Percorsero l’intero canale della Giudecca, rasentando le fondamenta di Sant’Elena. Quasi due ore dopo la partenza, l’imbarcazione ormeggiava nei pressi della punta estrema dell’isola di Sant’Andrea.

La coppia che si era presa cura della piccola era composta da una brava donna che aveva appena perso un figlio e dal marito, un contadino che lavorava da sempre in un podere del Campagnola.

«Dobbiamo riprendere la bambina», spiegò il nobile veneziano ai due coniugi. «Mia figlia versa in gravi condizioni: le complicazioni del parto la stanno uccidendo. Ha espresso l’estrema volontà di rivedere la bimba. La piccola sarà ricondotta a voi non appena il desiderio della mia Diletta sarà appagato. Spero che abbracciare la sua creatura compia su di lei il miracolo che i migliori medici della città non sono riusciti a fare. Questi santi frati mi accompagneranno al monastero.»

Di fronte a un fatto così grave, nessuno dei due contadini ebbe modo di opporsi, né mai avrebbero potuto farlo contro uno degli uomini più potenti di Venezia. Si erano già affezionati alla bambina e vedersela strappare, seppure per una causa nobile e tanto grave, provocò in loro un profondo dispiacere. La donna cinse la piccola amorevolmente, estrasse un seno grosso e gonfio di latte e osservò con tenerezza la bimba che succhiava con voracità. Quindi, la fasciò per proteggerla dai rigori della laguna e, con la sacralità con cui un sacerdote consegna il pane della comunione ai fedeli, la porse a uno dei frati, mentre una lacrima le rigava il viso tondo e arrossato.

Lorenzo prese la bimba dalle braccia della donna. Una gioia incontenibile si impossessò di lui: quel fagottino indifeso rappresentava il frutto del suo amore, la continuità della sua vita. Ma dovevano fare in fretta, adesso: la seconda parte del piano era ancora lontana dall’essere realizzata.

«È sufficiente accertare che i vostri sospetti siano privi di fondamento, superiora», aveva detto Hito Humarawa con la sua abituale freddezza. «La casa del Campagnola non è molto lontana da qui. Penso sia meglio avvertirlo dello strano fatto avvenuto questa notte.»

Quando raggiunsero il palazzo nobiliare, un servo li avvertì che aveva visto il padrone allontanarsi su di un’imbarcazione in compagnia di due frati circa quattro ore prima. «Il signore Campagnola era pensieroso», aggiunse il servo. «Sembrava stanco o ammalato e, quando gli ho chiesto se tutto andava bene, mi ha risposto che si doveva recare con i due santi uomini a fare un sopralluogo per conto dei Dieci e che sarebbe stato di ritorno questa sera.»

«Non c’è un minuto da perdere», sibilò Humarawa, che aveva ormai intuito cosa stava succedendo anche se non riusciva a capire, morto il Muqatil, chi potesse aver architettato quel piano.

L’enorme Wu si affrettò a disormeggiare una delle barche che si trovavano nel molo privato del palazzo.

«Fermo, Wu. Che cosa stai facendo?» chiese Humarawa.

«Ho pensato che dovessimo recarci all’isola di Sant’Andrea, mio signore. Se si tratta di ciò che penso, sicuramente i due falsi frati saranno andati là a riprendersi la bambina.»

«Sì, ma sono già trascorse quattro ore: se quello è stato il loro itinerario, rischieremmo di raggiungere la casa del contadino troppo tardi, e potremmo perdere le tracce dei fraticelli.» Gli occhi del samurai erano ricolmi d’odio. «Se i demoni hanno mantenuto in vita il Muqatil, noi dobbiamo tendere un agguato a quel maledetto pirata nei pressi di una tappa obbligata del suo tragitto.»

Febbraio 2002

L’elicottero che trasportava Oswald Breil si posò a fianco della pista nella base americana di Sigonella. Il primo ministro israeliano notò che accanto all’aereo del governo che lo aveva condotto in Sicilia se ne trovava un altro del tutto simile. Oswald riconobbe subito quel secondo Falcon come quello solitamente usato dal capo del Mossad: se Erma era arrivato sin laggiù per vederlo, doveva essere accaduto un fatto di estrema gravità.

L’incontro tra i due uomini fu di pochi minuti e avvenne, lontano da occhi e orecchie indiscreti, all’interno di uno dei due aeromobili governativi parcheggiati a poca distanza l’uno dall’altro.

«Gli yankee sono sempre di squisita gentilezza, quando si tratta di chiedere loro permessi di atterraggio e sosta», disse Erma sedendosi nel salotto posto a ridosso della cabina di pilotaggio.

«È vero, ma solo se tiene conto, dottor Erma, che un buon venti per cento della loro intelligence all’estero è farina del nostro sacco…» rispose Breil. Quindi, come suo solito, venne al dunque. «Che cosa succede, Erma? Il motivo che l’ha spinta qui deve essere impellente e grave.»

In tanti anni trascorsi fianco a fianco, né Breil né Erma si erano mai lasciati andare a un tono confidenziale, sebbene tra i due regnasse una profonda amicizia fondata sulla reciproca stima. Ora era arrivato il momento. «So che è inutile chiederglielo», iniziò Erma, «la conosco da troppo tempo per non avere alcun dubbio in merito, ma sono ugualmente costretto a rivolgerle questa domanda. La prego di rispondere con la massima sincerità. Lei possiede depositi in dollari presso istituti di credito svizzeri o di altri paradisi fiscali?»

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