Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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«Presto, Lorenzo», disse Floriano quando furono soli nella cella. «Ci dovrebbero essere dei settori riservati alle novizie. Bisogna cercare nei locali più inaccessibili del convento.»

Il silenzio regnava quasi assoluto. Alcune lucerne illuminavano fiocamente i percorsi. Lorenzo si inerpicò lungo una scala. Oltrepassò alcuni corridoi e si trovò davanti a cinque porte, identiche, che sicuramente davano su altrettante celle di novizie. Sguainò il pugnale e la sua attenzione venne richiamata da un rumore proveniente da una delle stanze, come se qualcuno stesse trascinando una sedia o uno sgabello. Lorenzo si appoggiò alla porta e l’aprì lentamente.

«Quale Dio?» si chiese Diletta poco prima di abbandonarsi. «Quale Dio devo pregare adesso? Quello dell’uomo con cui avrei voluto vivere la mia vita o quello nel nome del quale sono stata educata? Prego Dio, unico e solo, misericordioso, Dio delle genti, di tutte le genti. Vorrei tu capissi il mio gesto, mio Dio, vorrei tu comprendessi quanto inutile sia la mia vita.»

Un passo, soltanto un piccolo salto la separava dalla pace. Diletta tenne gli occhi chiusi, mentre si lasciava cadere oltre il bordo dello sgabello.

Non provò dolore al collo infilato nel cappio, ma un senso di pace quando due braccia forti le cinsero la vita, sorreggendola.

Diletta capì che qualcuno aveva impedito il suo ultimo passo. Aprì gli occhi e vide un volto che non avrebbe creduto di poter vedere mai più: il volto dell’uomo che amava, contorto in una smorfia di paura. Mai lei lo aveva visto in quello stato, nemmeno mentre stava per soccombere di fronte al nemico.

La giovane armeggiò qualche istante con le mani per liberarsi, poi lasciò che lui la sorreggesse appoggiandola delicatamente a terra. Finalmente lo cinse in un abbraccio. Poi lo baciò teneramente, mentre diceva a bassa voce: «È questo che si prova dopo la vita? È così bello morire?»

Le mani di Lorenzo le accarezzarono delicatamente le guance rigate di pianto.

«Sei nel mondo dei vivi, amore mio… Sei nel mondo dei vivi… Presto! Dobbiamo fuggire da qui. Una barca ci aspetta a poca distanza dal convento.»

«Nostra figlia… Hanno rapito nostra figlia. Non possiamo andarcene prima di averla ritrovata. Se io fuggissi con te adesso, mio padre farebbe in modo di non farcela più ritrovare.»

Il Muqatil la osservò per un lungo istante: «Ma tu riusciresti a trascorrere altro tempo rinchiusa qui dentro?»

«Adesso che ti so vivo, sono pronta a trascorrere qui tutta la vita. Ho visto l’orientale prendere la piccola dalle braccia della superiora. Lui e mio padre sanno certamente dove si trova.»

I due fraticelli lasciarono il convento all’alba, ringraziando la superiora per l’ospitalità.

Diletta sembrava stranamente rinata: un sorriso radioso le illuminava il volto, mentre recitava le preghiere del mattino.

«Vedo che ti stai abituando alla santa vita di clausura», le disse la superiora con uno sguardo indagatore. «Mi auguro che tu non abbia peccati troppo gravi: oggi è giorno di confessione.»

Quando il padre confessore giunse al monastero, la superiora si affrettò a riceverlo.

«Avrete un bel daffare al convento: mi hanno riferito che avete dato ospitalità a molti pellegrini giunti in città per il carnevale», riferì la monaca rivolta al confessore.

«Non mi risulta, reverenda madre. Il nostro priore non ospita volentieri chi giunge in città con il solo scopo di lasciarsi andare agli eccessi del carnevale.»

«Ma non avete ricevuto richiesta da due confratelli di Piacenza la scorsa notte?»

«Lo escludo, reverenda madre.»

Nella mente della superiora i due misteriosi fraticelli si associarono al sorriso che mostrava Diletta quella stessa mattina. Doveva comunicare i suoi sospetti al devoto genitore che le aveva affidato la giovane.

Febbraio 2002

L’uomo che indossava la kefiah a disegni bianchi e neri era seduto dinanzi a Oswald Breil. Dagli sguardi dei due traspariva un profondo rispetto reciproco. Era stato lo stesso premier palestinese a richiedere quell’incontro: Breil era in carica da pochi giorni, ma la sua posizione moderata aveva già sortito benefici effetti sulla questione palestinese.

«Siamo ben distanti dalla soluzione», disse Breil rivolto al suo interlocutore.

«Sì, ma sono convinto che, con lei a capo del governo, riusciremo ad arginare le fronde estremiste. Lei gode di grande rispetto, dottor Breil, anche tra gli esponenti del popolo di Palestina. Forse riusciremo dove tutti hanno sempre fallito.»

«Il cammino è ancora lungo e difficile…»

Lo squillo del telefono interruppe la conversazione. La voce gentile della segretaria di Breil sembrava allarmata.

«La prego di volermi perdonare, eccellenza. Ma la chiamata che ho in linea credo sia molto importante. Il dottor Marradesi da Roma insiste per parlare con lei. Non mi ha rivelato il motivo, ma dice che si tratta di una questione di vitale importanza. Dice che lei può capire…»

«Toni Marradesi?» chiese Breil e, avuta conferma, aggiunse: «Me lo passi immediatamente».

Le parole di Toni ebbero l’effetto di una doccia fredda sul piccolo uomo: Sara Terracini era irreperibile da due giorni. Quasi certamente era stata rapita.

Sara avanzò a tentoni verso il vassoio che era stato introdotto da uno sportello della porta in ferro. La lama di luce le aveva provocato una sensazione dolorosa agli occhi, abituati da ormai due giorni alla più assoluta oscurità.

Sara non si perse d’animo: quello era il primo cibo che riceveva da quarantotto ore. Nel buio della sua prigione cercò il vassoio e portò il cibo alla bocca con le mani. La sua mente indugiò ancora sui motivi che potevano aver spinto qualcuno a rapirla e di nuovo la risposta andava in una sola direzione: quella della nave d’oro.

«Speriamo che i miei amici non abbiano subito un simile trattamento e che siano pronti a tirarmi fuori da questa brutta avventura», pensò Sara, mentre il narcotico con cui era condito il pasto stava facendo effetto.

L’elicottero senza segni di riconoscimento volteggiò poco più alto dell’albero del C’est Dommage e poi scese, sino ad ammarare a poche decine di metri dal catamarano.

Etienne Jalard si calò agilmente sul gommone e, dopo aver messo in moto, si diresse verso il velivolo, poggiato nella baia di punta Marsala sui grandi galleggianti a forma di sigaro.

Grandi e Vittard emersero dalle profondità della baia alcuni minuti più tardi e, ignari di tutto, guadagnarono la scaletta dell’imbarcazione.

Il piccolo uomo, quasi un nano dalla testa grande, stava seduto nel quadrato. Un sorriso di circostanza, che malcelava la preoccupazione, attraversava il volto del primo ministro israeliano.

«Chiedo scusa per questa mia intrusione, signori», disse Oswald. «Credetemi, avrei volentieri fatto a meno di disturbare le vostre ricerche, se non fosse sopravvenuto un fatto di estrema gravità: siamo quasi certi che Sara Terracini sia stata rapita. Ritengo che anche voi stiate correndo un grave pericolo.»

«Hanno rapito Sara?» chiese Vittard con espressione angosciata. «Lei, dottor Breil, crede che il rapimento di Sara sia connesso alle nostre ricerche?»

«Ne ho l’assoluta certezza, anche se, devo essere sincero, non ho alcuna prova.»

«Sì, ma se noi abbandonassimo tutto in questo momento», intervenne Grandi, «lasceremmo agli ipotetici rapitori di Sara il campo libero. Se è la nave d’oro che i nostri nemici stanno cercando, dato che noi siamo ormai prossimi alla sua scoperta, seguendo le nostre tracce potrebbero trovare il relitto. E una volta ottenuto quello che i nostri misteriosi inseguitori vanno cercando, anche la vita della dottoressa Terracini potrebbe non aver più alcun valore per i suoi rapitori.»

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