Poco dopo il potente veneziano raggiungeva il molo.
«Benvenuto sulla vostra nave, signore», lo accolse Humarawa con un sorriso. «Credo di avere svolto al meglio il mio compito: il Muqatil è ormai in fondo al mare e…»
Con un ampio gesto della mano, il samurai guidò lo sguardo del veneziano. Diletta sedeva in un angolo del ponte. Lacrime copiose rigavano le sue guance.
In un primo momento, Angelo Campagnola provò a essere dolce: «Quanta gioia. Quanta gioia per un povero padre. Vieni, piccola mia. Presto questa brutta avventura non sarà che un ricordo. Andiamo a casa».
La giovane rimaneva ripiegata su se stessa, vicino al parapetto. Campagnola provò ancora a convincerla con le buone, senza ottenere alcuna risposta.
A quel punto, il signore veneziano si spazientì: presa la figlia per il braccio, la strattonò con forza.
«Non so quali demoni alberghino nella tua mente, ma stai tranquilla che ho in serbo un’ottima cura per scacciarli. Presto, a casa!» E così dicendo, con modi bruschi la condusse via.
Humarawa rimase a osservare la scena scuotendo il capo: per quanto aveva avuto modo di conoscere quella donna, ci voleva ben altro che la cura di un padre furioso per ricondurla alla ragione.
«Il mio benvenuto al più valoroso nemico di wako di ogni tempo!» La voce di Crespi che parlava in giapponese si alzò dal molo a fianco alla nave. «Com’è strana la vita. Ne convieni, daimyo di Matsue?» chiese ancora il mercante veneziano con fare scherzoso.
«Vieni a bordo, Crespi. C’è una cosa che ti vorrei mostrare.»
Poco più tardi i due uomini sedevano dinanzi all’antica anfora.
«No, nemmeno io credo che potesse far parte del tesoro del Muqatil: è di sicuro d’epoca remota. Reca il numero ventuno inciso sopra e l’anforisco sembra finemente decorato. Ancora si scorgono le parole New Claudius Pontifex M… , Imperator… e alcune figure… apparentemente femminili. Ma vedo che non l’hai ancora aperta», disse Crespi indicando l’anforisco perfettamente sigillato.
Humarawa non perse tempo: estrasse la katana e menò un terribile fendente. L’anfora barcollò per alcuni istanti, poi il collo cadde come le tante teste che la spada del giapponese aveva reciso.
Sia Crespi sia il giapponese si meravigliarono che l’interno dell’anfora risultasse asciutto. Poi le mani del veneziano si insinuarono avide nel contenitore, riemergendo di lì a poco con il primo degli oggetti.
Poco più tardi, la pisside in oro, la statuetta di fanciulla e i due anelli erano allineati a fianco dell’anfora. Crespi prese il papiro e tentò di leggere. «È scritto in una lingua simile al greco. Qui vicino vive un mio vecchio amico, un mercante ateniese. Credo che lui possa esserci d’aiuto.»
Crespi scese tenendo il papiro tra le mani, per ritornare a bordo meno di un’ora più tardi.
«Questi oggetti appartenevano a un imperatore dell’antica Roma, Hito», spiegò Crespi con aria entusiasta e, con fare teatrale, declamò le poche righe di traduzione che il mercante greco aveva tracciato su un foglio: « Dall’inventario di Lucio Domizio Nerone, imperatore, redatto da Lisicrate di Atene, persona di fiducia dell’imperatore. Contenuto e descrizione dell’anfora numero XXI. Pisside in oro. Statua di fanciulla. Anello dei Re. Anello con gemma incisa raffigurante il ratto di Proserpina. Questi oggetti, particolarmente cari all’imperatore, vengono da me sigillati nell’anfora contraddistinta dal numero XXI. Una delle copie dell’inventario redatte dagli scribi viene introdotta nell’anfora e da me controfirmata. L’originale verrà consegnato al comandante della nave imperiale e custodito assieme all’inventario generale. Lisicrate » .
«Bene, oltre alla metà del tesoro dell’emiro di Tabarqa, ora possiedi anche alcuni degli oggetti più cari a un imperatore. Non sei felice, Humarawa?»
«Sarò felice quando i miei familiari, in Giappone, saranno liberi dal disonore e dall’infamia che ho gettato su di loro.»
«E chi ti vieta di farlo? Non certo tagliandoti lo stomaco con un pugnale rituale, ma facendo credere che lo hai fatto. Io potrei far consegnare alla tua famiglia un’urna cineraria dove dovrebbero trovarsi le tue ceneri, quelle di un samurai che non ha saputo reggere al disonore ed è ricorso, seppure in ritardo, a un liberatorio seppuku. Nessuno verrebbe mai a cercare la verità a Venezia.»
Humarawa rimase per un istante perplesso, poi prese uno dei due anelli d’oro contenuti nell’anfora e lo porse a Crespi.
«Questo è per te e per la tua amicizia. Ti prego di far consegnare, assieme all’urna contenente le ‘mie’ ceneri, anche la coppa d’oro, la statua e l’altro anello. Saranno gli oggetti che i miei discendenti onoreranno come gli unici pervenuti loro da un lontano e valoroso avo.»
Crespi prese l’Anello dei Re e lo infilò nella stessa tasca dove teneva il papiro dell’inventario controfirmato da Lisicrate. Entro pochi giorni, utilizzando la sua vasta rete mercantile nel lontano Oriente, avrebbe dato esecuzione alle «ultime volontà» di Hito Humarawa.
Febbraio 2002
Il rombo dei due reattori del jet Falcon del governo israeliano giungeva alle orecchie di Breil come un soffuso e persistente ronzio.
Oswald scorse ancora una volta il filmato, poi compose un numero privato dal telefono di bordo.
«THEL?» chiese il premier non appena Erma fu in linea.
«Quasi certamente, o comunque qualche dispositivo difensivo molto simile», rispose il capo del Mossad. «Il missile Stinger è esploso a una decina di metri dall’auto. L’autista è morto, ma i passeggeri che ci interessavano se la sono egregiamente cavata.»
La sigla THEL stava per Tactical High Energy Laser e identificava un sistema di difesa capace di distruggere in volo qualsiasi missile ostile utilizzando un cannone laser.
«Non possiamo permetterci certi errori», disse ancora Breil. «Convochi il maggiore Milano presso il mio ufficio non appena sarà possibile.»
«Sarà fatto, dottor Breil», rispose Erma prima di chiudere la breve conversazione.
Per antica abitudine, Oswald aprì la sua casella di posta elettronica. Si ripromise che avrebbe letto più tardi il messaggio di Sara Terracini: ora, a destare la sua curiosità era stata una e-mail proveniente da un indirizzo sconosciuto, il cui suffisso «.jpn» era l’unica traccia in grado di rivelare la provenienza del messaggio. Del resto, se il mittente era chi immaginava Oswald, sarebbe stato impossibile risalire al Signore delle Acque.
‹CI SONO MODI MOLTO PIÙ EFFICACI DI UN VECCHIO STINGER PER METTERE ALLA PORTA OSPITI INDESIDERATI. PENSO CHE PRESTO LEI RICEVERÀ UNA LEZIONE DI GALATEO, DOTTOR BREIL.›
Oswald rimase a osservare lo schermo del computer inserito nel tavolo di mogano del salotto dell’aereo. In quel momento il jet puntò il muso in basso e cominciò a scendere in picchiata a velocità preoccupante.
Yasuo Maru era entrato nel suo ufficio da una decina di minuti. Aveva appena permesso che un medico della società disinfettasse le piccole escoriazioni che insanguinavano il suo volto, e la sua linea privata prese a trillare.
Riconobbe immediatamente la voce di Zhu Ling.
«Mi fa piacere saperla ancora in buona salute», disse il generale cinese. «Credo che sia ormai tempo di unire le nostre forze. Se proprio vuole sapere chi si diletta a far lanciare missili contro indifesi cittadini, provi a chiedere notizie al primo ministro del governo israeliano e ai suoi tirapiedi del Mossad. La saluto, Maru sama. A presto.»
L’ancora del C’est Dommage scese verso il fondale sabbioso di punta Marsala. E circa un’ora dopo Grandi e Vittard compirono una prima immersione.
Читать дальше