Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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Un occhio a mandorla scrutò Bruno Milano attraverso uno spioncino. La porta si aprì e un giapponese col fisico da lottatore di sumo osservò il maggiore del Mossad con aria compiaciuta: uomini così attraenti erano sempre i benvenuti nella sua discoteca.

Milano non ricordava di aver mai provato tanta vergogna: i tre agenti, due uomini e una donna, che gli avevano prestato assistenza avevano riso di gusto quando si erano fermati a contemplare il risultato del suo travestimento.

Milano indossava un paio di calzoni in pelle nera molto aderenti. Una t-shirt bianca girocollo spuntava sotto il giubbotto di pelle, anch’esso nero. La barba volutamente incolta, ma curata, e i capelli neri tinti di un biondo improbabile completavano la metamorfosi. Un paio di occhiali da vista dal design alla moda non nascondevano del tutto gli occhi, resi azzurri dalle lenti a contatto. Nessuno sarebbe stato in grado di riconoscere Bruno Milano in quella specie di gigolò occidentale.

Chiunque si sarebbe accorto che l’atmosfera all’interno del Moulin Rouge era, a dir poco, ambigua: le sole donne presenti erano una barista e due cameriere.

La discoteca era affollata di uomini che si scambiavano effusioni e spesso ballavano abbracciati come le più affiatate coppie eterosessuali.

Taka era seduto in un angolo; il fondo di una bottiglia di champagne Cristall rovesciata emergeva da un secchiello del ghiaccio. La cameriera si affrettò a sostituirla, mentre i quattro ragazzotti seduti al tavolo del segretario particolare di Yasuo Maru si mostravano particolarmente divertiti.

Lo sguardo del maggiore Milano attraversò la luce soffusa e rosata del locale, andandosi a fissare negli occhi annebbiati dallo champagne di Taka. Pochi istanti più tardi il giapponese si alzò dal tavolo e andò verso la porta della toilette, passando accanto al bancone del bar.

Milano sfoderò un sorriso, mentre Taka gli passava a fianco, piantandogli gli occhi addosso.

«Che cosa ci fa un così bel giovane occidentale solo soletto?» disse Taka in perfetto inglese, accostandosi all’orecchio di Milano per superare il rumore della musica. «Perché non ti unisci alla mia compagnia? Vedrai, siamo un gruppo di divertenti mattacchioni.»

Il vento sostenuto aveva spinto il C’est Dommage a una discreta velocità sino all’arcipelago toscano; poi, mentre il catamarano doppiava l’isola di Gorgona, era improvvisamente calato. Etienne Jalard non aveva deluso al suo battesimo del mare. Il nuovo marinaio si muoveva con agilità ed efficienza, dimostrando di essere un ottimo velista e di aver impiegato al meglio le interminabili giornate in porto: per lui, la barca di Vittard non aveva più segreti.

«Il primo comandamento di ogni marinaio è quello di conoscere la propria nave», disse Grandi a Vittard, indicando il nuovo compagno che «un amico molto influente che aveva a cuore la loro incolumità» aveva loro imposto.

Grandi ricordò le parole di Sara Terracini. La sua mente andò alla giovane ricercatrice che, in quel momento, stava probabilmente addentrandosi nella storia misteriosa di una nave d’oro. «Già, perché una nave d’oro c’era», ripeté Grandi tra sé; altrimenti Sara non li avrebbe esortati a compiere una seconda spedizione. Oppure, come lei stessa aveva scritto in uno dei suoi messaggi criptati, poteva trattarsi di un trasporto dei materiali — alcuni finiti, altri semilavorati — che avrebbero adornato la nave imperiale. Sara non era ancora arrivata alla conclusione della traduzione, ma quanto aveva avuto modo di leggere sino a quel momento era talmente importante da far sì che il C’est Dommage salpasse alla volta di Favignana.

Taka si appoggiò allo stipite della porta con fare languido; il suo sguardo tradiva un’eccitazione che montava anche per la gran quantità di bevande alcoliche trangugiate nel corso della serata. Accarezzò il collo del maggiore Milano, il quale non si ritrasse, anzi lo incoraggiò.

La garçonnière che Taka possedeva nel centro di Tokyo era arredata col gusto con cui una prostituta di alto bordo arrederebbe la propria alcova. Taka sedette sul divano, pregustando quello che sarebbe dovuto accadere di lì a poco.

«Versami qualche cosa da bere… Hai detto di chiamarti Daniele, vero?… Con tutta quella musica non ti ho sentito bene», disse il giapponese sfilandosi il maglione.

«Sì, mi chiamo Daniele e lavoro per un’azienda di moda italiana. Domattina devo rientrare in Italia», mentì l’agente del Mossad, mentre si avviava verso il mobile bar.

Taka sorseggiò con piacere la bevanda che gli veniva servita, poi sorrise, appoggiò il bicchiere e posò le sue labbra su quelle del maggiore del Mossad, accarezzandogli l’interno della coscia sino all’inguine.

Milano dovette ancora una volta soffocare un moto di repulsione, ma lo sforzo non durò che alcuni secondi: Taka cadde profondamente addormentato. Il narcotico che l’ufficiale del Mossad aveva versato nel bicchiere aveva fatto effetto.

Immediatamente, Bruno Milano estrasse dalla tasca del giubbotto un lettore di carte magnetiche. Non gli ci volle molto per individuare, nelle tasche di Taka, la carta di riconoscimento della Water Enterprise.

Introdusse la tessera magnetica nel lettore per qualche secondo, fino a che non si illuminò una spia rossa. Poi prese foglio e penna e scrisse un messaggio di saluto: era dispiaciuto che il suo partner, avendo ecceduto con lo champagne, si fosse pesantemente addormentato, ma l’aereo per l’Italia non poteva aspettare. Alla prossima occasione!

Bruno Milano uscì dall’edificio con aria soddisfatta: adesso che il lettore li aveva copiati, i suoi sarebbero stati in grado di clonare i codici del microchip della tessera in pochi minuti.

Roma imperiale, anno di Roma 817 (64 d.C.)

Roma e i romani erano avvolti da un pesante velo di tristezza: buona parte della città era ridotta a un ammasso di cenere.

In segno di lutto, Nerone aveva preferito non celebrare con cerimonie sontuose il varo della sua nave: si era soltanto recato per una giornata a capo Miseno ed era salito a bordo della nave d’oro. I suoi commenti erano stati entusiastici, mentre osservava con meraviglia quanto Lisicrate era riuscito a concepire.

Pochi giorni dopo la cerimonia di consegna della nave, Lisicrate si presentò puntuale a Roma, nella residenza imperiale.

Non dovette attendere molto, che venne fatto accedere al cospetto di Nerone.

Simon Mago lo salutò con un gesto della mano, ma il suo sguardo esprimeva diffidenza e disprezzo.

Nerone invece accolse Lisicrate con la solita amicizia, lo invitò ad accomodarsi al suo fianco, mentre terminava l’audizione. Quindi fece un cenno a Simone, sollecitandolo a proseguire.

«I cristiani, mio divino imperatore. Sono stati i cristiani ad appiccare nuovamente il fuoco quando, dopo sei giorni e sei notti, i focolai sembravano spenti. Esistono decine e decine di testimoni, pronti a giurare di aver visto gli appartenenti a quella setta di miscredenti aggirarsi per la città brandendo torce incendiarie», disse Simone, accompagnando la sua rivelazione con ampi gesti delle braccia.

Nerone lo congedò e, una volta solo con Lisicrate, chiese: «Che ne dici di questa nuova versione circa le cause dell’incendio, amico mio?»

«Inverosimile», affermò Lisicrate senza ombra di dubbio. «I seguaci di Cristo non sono fanatici al punto di incendiare Roma. Anzi, mi sembrano persone pacifiche o, almeno, fondano sulla pace tra gli uomini la loro credenza. Credo invece che scaricare le colpe sui cristiani faccia parte dei piani di Simone. Si dice che abbia affermato di essere lui stesso il profeta atteso dalla religione giudaica, e non Gesù di Nazareth. Da queste accuse, Simon Mago ha tutto da guadagnarci. Guardati da lui, Nerone.»

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