Gennaio 2002
L’ispettore Iku della polizia di Tokyo aveva un’aria da duro che contrastava con l’aspetto dimesso e la bassa statura.
Bruno Milano osservò il tesserino di riconoscimento che l’ispettore gli aveva sbattuto proprio sotto il naso.
«E così, facendo footing nell’Hibiya Park, lei asserisce di aver rinvenuto la cappelliera contenente il capo mozzato della signorina Kuniko Sagashi?» chiese Iku misurando a passi lenti l’ufficio del maggiore del Mossad all’interno dell’ambasciata.
«A questa domanda dei suoi sottoposti ho già risposto almeno un paio di volte, ispettore.»
«Bene, lo dica anche a me, dottor… dottor Milano…»
«Allora, ieri mattina ho visto la cappelliera sotto un cespuglio. L’ho raccolta, aperta e dentro c’era quanto rimaneva di quella povera ragazza.»
«Mi perdoni… Milano san… Sa, non le farei questa domanda se lei non fosse… ehm… un addetto di ambasciata e di quella israeliana, in particolare…»
«Che cosa vuol dire con questo, ispettore Iku?»
«Voglio dire che lei è molto giovane. Non so se questo sia frutto di una folgorante carriera o della necessità di avere la persona giusta al posto giusto… L’efficienza dell’intelligence israeliana è proverbiale. Lei conosceva Kuniko Sagashi, Milano san ?»
«No, non conoscevo la signorina Sagashi.» Un impercettibile velo di malinconia offuscò gli occhi dell’ufficiale del Mossad. «Per quanto riguarda invece la prima parte delle sue elucubrazioni, Iku san , devo constatare che le trame dei film di spionaggio hanno fatto un certo effetto su di lei. Io sono un funzionario d’ambasciata, addetto all’ufficio relazioni economiche. Servo e servirò sempre il mio paese. E questo non vuol necessariamente dire che io sia un agente dello spionaggio. Se fossi invece un moderno 007, sa che cosa farei al suo posto?»
L’aria interrogativa dell’ispettore riempì la pausa nel discorso di Bruno Milano.
«Mi rivolgerei alla società dove lavorava la ragazza. Sul giornale c’è scritto che era segretaria alla Water Enterprise. Insomma, ricostruirei ogni suo minimo spostamento nelle ore che hanno preceduto la sua morte.»
«Già fatto. Un video, registrato dalla rete a circuito chiuso della Water Enterprise, con tanto di data e ora, accerta l’ingresso in ufficio di Kuniko Sagashi e la sua successiva uscita al termine del turno di lavoro.»
«Quel maledetto ha pensato a tutto. Anche a costruirsi un alibi elettronico», pensò Bruno Milano con il cuore gonfio di odio.
L’inverno era stato particolarmente rigido e freddo, ma scarsamente piovoso. Una tramontana gelida aveva spazzato a lungo l’intero continente europeo, regalando tramonti di fuoco e temperature polari.
E un vento teso proveniente da nord stava spingendo in poppa il C’est Dommage. La scena era pressappoco identica a quella che Vittard e Grandi avevano vissuto alcuni giorni prima. La differenza era che, entro breve, Sara Terracini avrebbe terminato la riscrittura dei papiri e che quindi le loro ricerche sarebbero giunte a una svolta. Ormai era quasi certo che le supposizioni di Grandi fossero esatte: le poche indiscrezioni di Sara avevano confermato che nei papiri si parlava di una nave, una nave d’oro, appartenuta a Nerone Claudio Cesare Druso Germanico.
Roma imperiale, anno di Roma 817 (64 d.C.)
I disegni della nave imperiale erano stesi sulla grande tavola in marmo nei pressi del compluvio. La prima metà del mese di luglio era stata torrida, e Nerone aveva pensato di trascorrere alcuni giorni al riparo dalla canicola nella sua casa di Anzio.
Da quando Lisicrate aveva ricevuto l’incarico, aveva lavorato alacremente alla realizzazione di una nave unica, la più bella e preziosa imbarcazione di ogni tempo.
Nel corso di quei due anni, il greco si era trasferito a Miseno, dove, all’interno di un cantiere protetto da guardie armate e vietato a chiunque, tranne che alle maestranze, aveva potuto lavorare indisturbato.
Il ragazzo del Pireo, abituato agli odori forti della pece e al rumore delle pialle sul legno, era risorto in quell’uomo ormai maturo, dal fisico ancora atletico, e temprato nel carattere da lunghi anni trascorsi al seguito di un imperatore sempre più spesso dedito a scellerate occupazioni.
Anche tra la plebe correvano ormai voci preoccupanti, ingigantite dal pettegolezzo.
«Lo sai che Nerone è capace di giocare ai dadi cinquecentomila sesterzi a punto?» aveva detto un carpentiere a un altro.
«Un mio cugino di Anzio mi ha riferito che va a pesca con una rete dorata, legata con funi di porpora e cocco», aveva immediatamente rincarato l’altro.
Lisicrate, poco distante, non aveva potuto fare a meno di ascoltare la conversazione.
«Nessuno vi consente di criticare l’operato del divino Cesare», aveva detto troncando quella chiacchiera, mosso da un eccesso d’ira. «Siete fortunati che ho bisogno di tutti per terminare il lavoro e che perciò vi eviterò la frusta. Ma state attenti. Guai a voi se sentirò ancora infangare il nome di Nerone.»
Lisicrate dovette però riconoscere che ormai la maldicenza dilagava, alimentata anche dal comportamento di Nerone, sempre più eccessivo e spesso venato da una lucida follia.
«La nave, Nerone», spiegò Lisicrate, convocato ad Anzio dall’imperatore, indicando il disegno d’insieme, «è ormai prossima a essere varata. Mancano solo alcuni particolari. Come ho già avuto modo di riferirti, nel progettarla mi sono ispirato all’imbarcazione sacra ad Ammon-Ra, dio dalla fronte forte. Si trattava di un grande barcone fluviale, appartenuto ad Amenhotep in, faraone della diciottesima dinastia. Da quest’imbarcazione in cedro del Libano, con le fiancate ricoperte d’oro e l’interno rivestito in argento, la leggenda dice che il faraone distribuisse oro, argento e turchesi nel corso di cerimonie religiose che avvenivano lungo il corso del Nilo. Naturalmente le nostre esigenze erano diverse e richiedevano maggiori attenzioni: quella era un’imbarcazione di piccole dimensioni, concepita per la navigazione fluviale. La tua, Nerone, sarà invece una nave sicura, capace di raggiungere senza pericolo la Grecia o le coste egiziane. E questo sarà possibile grazie alle sue ragguardevoli misure: quarantadue passi di lunghezza per dodici di larghezza. Nella costruzione è stato usato solo un pregiato cedro del Libano, opportunamente stagionato. L’opera morta è stata interamente rivestita di lamine d’oro e perle. La carena, invece, è stata rinforzata con lamine di piombo capaci sia di proteggere il legname dalla teredo navalis — il mollusco spesso responsabile di danni anche molto gravi nella carena — sia di conferire peso alla parte immersa, garantendo stabilità. Come con te concordato, il bronzo in lega d’oro, che nulla ha da invidiare per effetto ottico al prezioso metallo, è stato realizzato da artisti provenienti dal lontano Oriente: le sole persone che conoscono il segreto di questa lega. E con tale metallo così simile all’oro, sono stati realizzati i fregi, i corrimano e le statue che adornano il ponte. Per le teorie, abili incisori hanno creato figure mitologiche in avorio africano, e tutta la nave è circondata da satiri, ninfe e fiere che ora si inseguono, ora fuggono. Infine, la nave sarà armata con un solo albero e mossa da tre ordini sovrapposti di remi.»
«Quando potrò, amico mio, navigare sulla mia nave?» domandò Nerone con uno sguardo simile a quello di un bimbo in attesa di un agognato regalo.
«Tra pochi giorni, mio imperatore. Venti al massimo e poi potremo indire una cerimonia per festeggiare il varo.»
Nerone non ebbe il tempo di rallegrarsi a quella notizia.
Lo sguardo dell’ufficiale era sconvolto, quando fu fatto accedere nel peristilio della residenza imperiale ad Anzio.
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