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Marco Buticchi: La nave d'oro

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  • Название:
    La nave d'oro
  • Автор:
  • Издательство:
    Longanesi
  • Жанр:
  • Год:
    2003
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    978-88-304-1850-9
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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Le immagini erano ancora nitide nella mente di Henry Vittard, sebbene l’incidente fosse avvenuto tre anni prima.

Il catamarano C’est Dommage navigava sicuro, spinto da un vento che i regatanti consideravano di media forza, ma che si aggirava attorno ai trentacinque nodi. Certo, lo skipper Henry Vittard aveva sollecitato le strutture in carbonio di quel siluro lungo trenta metri ben oltre i limiti delle numerose prove tecniche: aveva scelto una rotta più bassa per circumnavigare l’Antartide, quella dei «venti urlanti».

In quella stagione e a quelle latitudini, oltre il settanta per cento dei fenomeni eolici era stimato oltre forza 8 e, tra questi, più della metà si aggirava tra forza 10 e forza 12. Ne era conseguenza un continuo urlo assordante a oltre cento chilometri orari, capace di sollevare masse d’acqua che si cristallizzavano immediatamente, investendo l’equipaggio con piogge di aghi di ghiaccio: un vento capace di far montare onde alte oltre venti metri che viaggiano a trenta nodi, nell’affrontare le quali il minimo errore può essere fatale.

Sylvie si era dimostrata all’altezza del migliore membro dell’equipaggio, non facendo mai rimpiangere a Henry la decisione di averla imbarcata: si muoveva agilmente nelle manovre, era attenta e pronta in ogni occasione.

Doppiato capo Horn da più di mille miglia, il C’est Dommage navigava verso una meritata vittoria. Non appena usciti da quello che in gergo si chiamava «il buco», una zona d’ombra lontana da ogni rotta commerciale marittima e aerea, le temperature si sarebbero fatte sempre meno rigide nel risalire l’America del Sud, sino a diventare addirittura torride all’altezza delle coste del Brasile.

L’imbarcazione di Vittard aveva battuto ogni precedente record parziale e, a quell’andatura, avrebbe potuto tagliare il traguardo ben prima del settantesimo giorno di regata.


Giappone, 1331

Hito Humarawa non tradiva emozioni. Con atteggiamento marziale restava in piedi di fronte al suo generale, con la consueta espressione impassibile dipinta sul volto.

«Il motivo della tua convocazione, Hito», disse il generale Ashikaga al samurai, «è della massima importanza. Ho chiesto allo shogun Hojo, tra le altre cose, che ti venga conferito un prestigioso incarico e gli ho quindi suggerito che le tue doti e capacità ti farebbero ben figurare come daimyo della prefettura di Shimane.»

La carica feudale di governatore, il daimyo appunto, era la massima aspirazione di ogni samurai. Malgrado ciò, Hito si limitò a rispondere: «Vi sono grato per questo enorme privilegio, generale Ashikaga».

«Considera, inoltre», continuò Takauji Ashikaga, «che sotto quella giurisdizione ricadono anche le isole Old, il luogo nel quale è stato esiliato l’imperatore Go-Daigo. Io non credo che, con l’esilio, il potere che l’imperatore aveva ricostruito attorno a sé sia andato del tutto perduto. Anzi, sono convinto che lo shogun abbia creato un pericoloso martire, pronto a colpire con la rapidità e la forza di un serpente. A te spetterà il compito di riferirmi ogni mossa di Go-Daigo. Si profilano nuovi e preoccupanti scenari all’orizzonte. Nel contempo, la tua carica di daimyo ti consentirà di agire come meglio credi per accumulare ricchezze e potere utili alla nostra causa…» Lo sguardo che Ashikaga rivolse a Hito, mentre sottolineava l’espressione «come meglio credi», era eloquente.

Hito Humarawa assunse il suo ruolo di daimyo pochi mesi più tardi, e subito incominciò a circolare la leggenda dell’inflessibile e feroce samurai che aveva fatto parte della guardia personale del Grande Generale. Una leggenda che ben presto la popolazione avrebbe constatato quanto corrispondesse a realtà, specialmente nei suoi risvolti negativi.

Nell’arco dei due anni che seguirono, Humarawa inasprì la pressione fiscale nei confronti dei ceti meno abbienti e mise in piedi una flotta di wako: veri e propri pirati che agivano ai soli ordini e nell’interesse esclusivo del daimyo. Alcuni dicevano che spesso fosse lo stesso Hito ad assumere in prima persona il comando nelle scorrerie compiute ai danni delle navi mercantili. Ma pochi, quasi inesistenti, erano i testimoni che i feroci wako lasciavano sopravvivere dopo ogni azione piratesca.


Tabarqa, 1331

Non era certo facile governare una città. Il Muqatil lo sapeva bene, e per questo motivo continuava ad avvalersi dell’esperienza di coloro che avevano collaborato con suo nonno Ibn ben Mostoufi.

Da quando il vecchio emiro era morto, il Muqatil aveva abbandonato le operazioni in mare, dedicandosi solo all’amministrazione delle sue terre e della sua gente. E in un breve lasso di tempo si era guadagnato il medesimo rispetto che gli veniva tributato come guerriero.

L’uomo che entrò dalla porta principale della città era stanco e visibilmente scosso. Vestiva la divisa dei soldati dell’emiro. Montava un cavallo di piccola pezzatura. Il manto dell’animale era madido di sudore e dei soffi rumorosi uscivano dalle narici dilatate.

«Presto, preparatevi all’assedio: gli infedeli sono sbarcati a poche miglia da qui. Stanno per organizzare le file e mettersi in marcia», disse il cavaliere al comandante del corpo di guardia non appena varcò le mura di Tabarqa.

La notizia percorse in breve l’intera città, come un fremito di terrore si irradia nel corpo di un uomo dinanzi al pericolo.

Il giovane emiro fu tra i primi a essere informato e subito si mise al comando di una pattuglia che aveva lo scopo di osservare il nemico e di valutarne la forza.

Il gruppo, non appena giunse in prossimità del luogo dello sbarco, abbandonò le cavalcature e prese ad avanzare a piedi, trovando riparo tra le rocce che digradavano verso la spiaggia di sabbia bianca.

I vessilli sventolavano al di sopra dei cavalieri. Dovevano essere poco meno di cinquemila uomini: una forza sufficiente per assediare Tabarqa e metterne a dura prova le difese. Sarebbe stata questione di tempo, ma la città era destinata a capitolare, schiacciata dalla forza degli assalitori.

Il Muqatil osservò con attenzione le bandiere variopinte che si tendevano al vento e trasalì: tra di esse riconobbe un vessillo moresco. Incredulo, aguzzò ancor più la vista, fino a che, tra la moltitudine di cavalieri, non gli parve di riconoscerlo: ’Abd al-Hisàm, il suo perfido cugino, vestito con armatura ed elmo da guerra, guidava un contingente di traditori e marciava al fianco degli infedeli contro la sua stessa gente.


Oceano Atlantico, 1998

Il radar ad alta definizione del catamarano aveva segnalato l’arrivo di una perturbazione di notevole entità nel corso della notte.

Vittard impartì i comandi, poi si ritirò nella sua cuccetta. Alcune ore di sonno gli sarebbero state necessarie per meglio affrontare il turno di notte.

Il mare cominciò a montare poco prima che Henry riprendesse il timone. Il vento, proveniente da poppa, si attestò sui quarantacinque nodi. Il C’est Dommage volava sull’acqua scura a una velocità impensabile anche per un motoscafo d’altura. Una luna piena e incandescente illuminava la notte ogni volta che riusciva a far capolino tra le nuvole, gettando una luce fredda sul mare in tempesta.

Sylvie sedette accanto al timone, osservando il suo uomo da sotto gli occhiali protettivi. Lo sguardo della donna esprimeva un amore intenso e una profonda ammirazione.

«Con questo mare bisogna tenere sotto controllo costante lo schermo radar. È possibile che le onde coprano il segnale dei ‘figli’».»

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