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Marco Buticchi: La nave d'oro

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  • Название:
    La nave d'oro
  • Автор:
  • Издательство:
    Longanesi
  • Жанр:
  • Год:
    2003
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    978-88-304-1850-9
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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Lorenzo volle trascorrere la notte accanto al nonno morente. Ricordava con quanto affetto e attenzioni Ibn ben Mostoufi avesse protetto la sua infanzia, allevandolo come il più amorevole dei genitori.

Il sole era sorto da poco, quando il Muqatil si destò di soprassalto. ’Abd al-Hisàm, figlio della sorella dell’emiro, stava in piedi a poca distanza dal letto. Certo non era mai corsa una grande simpatia tra Lorenzo e il cugino, e adesso che l’emiro stava per morire il Muqatil sapeva che quella reciproca diffidenza poteva tramutarsi in qualche cosa di più profondo e grave.

«Che Dio sia con te, Muqatil», disse ’Abd al-Hisàm sollevando il braccio destro. «Mi sono precipitato qui non appena ho saputo che mio zio l’emiro versava in gravi condizioni di salute», continuò con un tono stentoreo.

«Puoi constatare tu stesso lo stato dell’emiro», rispose Lorenzo a voce bassa. «Ha perso conoscenza ieri nel corso della preghiera e non ha ancora riacquistato lucidità. Né credo che la potrà mai più riacquistare.»

«Abbiamo molte cose di cui discutere, cugino mio. Sarebbe meglio che ci appartassimo in una sala del palazzo per stare più tranquilli…»

«Avremo tempo e modo per farlo. In un momento come questo non voglio andarmene da qui per nessuna ragione al mondo.»

«Credo che invece sarebbe opportuno che tu e io parlassimo adesso», continuò perentorio ’Abd.

«Quali cose sarebbero così importanti da spingermi ad abbandonare mio nonno mentre sta morendo?» Gli occhi color del mare del Muqatil erano diventati due fessure mentre fissavano quelli del cugino.

«La discendenza, per esempio. Credo tu convenga che sono io l’erede diretto dell’emiro…»

«Non è tempo di parlare di queste cose. Almeno sino a quando Ibn ben Mostoufi non abbia esalato l’ultimo respiro.»

«Insisto, credo invece che proprio questa sia l’occasione più appropriata. Il nostro popolo non può essere governato in questi frangenti difficili da… da…»

«… da un bastardo, vuoi dire, cugino mio?»

«Non volevo usare quel termine, ma devi convenire che gli infedeli stanno compiendo scorrerie contro le nostre genti e non sarebbe opportuno che una persona nelle cui vene scorre sangue cristiano diventasse l’emiro di Tabarqa.»

Ibn ben Mostoufi emise un flebile lamento. Nella stanza calò un silenzio denso di apprensione.

Il Muqatil pregò il servo di chiamare il medico e, quando questi giunse nella stanza, il vecchio emiro parve riacquistare quella lucidità che spesso precede la morte.

«A mio nipote Lorenzo di Valnure spetterà il compito di succedermi, che Dio abbia cura di lui. Così ho deciso.» Ibn ben Mostoufi reclinò il capo per l’ultima volta.

«È quello che vedremo!» esclamò furente ’Abd al-Hisàm, mentre abbandonava la stanza.

Il Muqatil parve non sentirlo: le sue mani adesso stringevano con forza quelle senza vita della persona che più aveva amato.

Alessandria, anno di Roma 786 (33 d.C.)

La biblioteca si articolava in dieci enormi sale ove erano stati ordinatamente disposti, in alte scaffalature, i testi del sapere universale. Vi erano poi diverse stanze ove gli studiosi potevano appartarsi a consultare le opere di loro interesse. Gli occhi di Lisicrate percorrevano increduli le pareti e si soffermavano a osservare i rotoli di papiro, le pergamene e le tavole di cera: la biblioteca di Alessandria conteneva oltre settecentomila testi e ben cinquantamila si diceva fossero andati distrutti in un incendio che, un’ottantina di anni prima, era stato appiccato dai legionari di Giulio Cesare a uno dei dieci padiglioni.

Cherèmone, direttore della biblioteca, dell’attiguo museo e delle molteplici scuole sorte intorno all’istituto, era di corporatura robusta e quasi completamente privo di capelli. Si aggirava tra i locali con le movenze di un sacerdote e si rivolgeva ai suoi sottoposti con toni austeri.

Grazie ai legami di parentela tra la moglie del mercante egiziano e il direttore della biblioteca, non era stato difficile, per Sef, ottenere di essere ricevuto da una delle persone più influenti della città.

«E così sarebbe questo il fanciullo ateniese per il quale mia cugina ha speso eccellenti parole», aveva detto Cherèmone, osservando Lisicrate con uno sguardo severo. «Sai scrivere, leggere e far di conto, ragazzo?» aveva quindi continuato, esprimendosi in perfetto greco.

«Sì, signore. So farlo nella mia lingua. Sto apprendendo la lingua di Roma, ma per ora riesco a malapena a parlarla», rispose Lisicrate un poco intimidito.

«Bene, ragazzo. Noi abbiamo sovente necessità di persone con volontà di apprendere: potrai avere il privilegio di frequentare una delle nostre scuole, sempre ammesso che tu ne sia in grado. E a nulla varrà in tal senso la credenziale, rappresentata dal buon Sef e da sua moglie, con la quale entri in questo sacro luogo: se ti mostrerai meritevole, continuerai, altrimenti ritornerai da tuo padre al Pireo. Sappi che in questo momento, in giro per il mondo, ci sono almeno mille uomini che hanno il compito di trascrivere per la nostra biblioteca i documenti importanti di cui non è possibile entrare in possesso. A te piacerebbe diventare uno scriba?»

Lisicrate annuì con entusiasmo.

Assai diversa, però era la carriera che gli avrebbe riservato il destino.

Montecarlo, giugno 2001

L’ammiraglio Guglielmo Grandi osservò con attenzione Henry Vittard. Lo sguardo perso nei meandri dei suoi ricordi, sembrava seguirlo come un automa verso il bistrot all’angolo. Grandi lo lasciò ai suoi pensieri, constatando preoccupato che la persona accanto a lui assomigliava ben poco all’intrepido uomo di mare che aveva alimentato la leggenda.

Le immagini erano ancora nitide nella mente di Henry Vittard, sebbene l’incidente fosse avvenuto tre anni prima.

Il catamarano C’est Dommage navigava sicuro, spinto da un vento che i regatanti consideravano di media forza, ma che si aggirava attorno ai trentacinque nodi. Certo, lo skipper Henry Vittard aveva sollecitato le strutture in carbonio di quel siluro lungo trenta metri ben oltre i limiti delle numerose prove tecniche: aveva scelto una rotta più bassa per circumnavigare l’Antartide, quella dei «venti urlanti».

In quella stagione e a quelle latitudini, oltre il settanta per cento dei fenomeni eolici era stimato oltre forza 8 e, tra questi, più della metà si aggirava tra forza 10 e forza 12. Ne era conseguenza un continuo urlo assordante a oltre cento chilometri orari, capace di sollevare masse d’acqua che si cristallizzavano immediatamente, investendo l’equipaggio con piogge di aghi di ghiaccio: un vento capace di far montare onde alte oltre venti metri che viaggiano a trenta nodi, nell’affrontare le quali il minimo errore può essere fatale.

Sylvie si era dimostrata all’altezza del migliore membro dell’equipaggio, non facendo mai rimpiangere a Henry la decisione di averla imbarcata: si muoveva agilmente nelle manovre, era attenta e pronta in ogni occasione.

Doppiato capo Horn da più di mille miglia, il C’est Dommage navigava verso una meritata vittoria. Non appena usciti da quello che in gergo si chiamava «il buco», una zona d’ombra lontana da ogni rotta commerciale marittima e aerea, le temperature si sarebbero fatte sempre meno rigide nel risalire l’America del Sud, sino a diventare addirittura torride all’altezza delle coste del Brasile.

L’imbarcazione di Vittard aveva battuto ogni precedente record parziale e, a quell’andatura, avrebbe potuto tagliare il traguardo ben prima del settantesimo giorno di regata.

Giappone, 1331

Hito Humarawa non tradiva emozioni. Con atteggiamento marziale restava in piedi di fronte al suo generale, con la consueta espressione impassibile dipinta sul volto.

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