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Marco Buticchi: La nave d'oro

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  • Название:
    La nave d'oro
  • Автор:
  • Издательство:
    Longanesi
  • Жанр:
  • Год:
    2003
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    978-88-304-1850-9
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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Antony Sorrentino stava scorrendo con espressione soddisfatta i tabulati degli incassi della sala da gioco, quando la voce della segretaria lo interruppe.

«Un certo signor Breil chiede di lei al telefono, signor Sorrentino. Che cosa devo riferire?»

«Breil? Oswald Breil? Me lo passi subito.»

Pochi istanti dopo i due erano in linea.

Oswald non si perse in convenevoli: «Se riuscissi in qualche modo a superare la cortina impenetrabile di guardie del corpo e segretarie che la circondano, penso che potremmo vederci…»

«Mi dica quando e dove. Le farò organizzare il migliore comitato d’accoglienza possibile, dottor Breil…»

«Diciamo… nel suo ufficio… tra venticinque, trenta secondi al massimo.»

Tokyo, febbraio 2002

L’appartamento occupava per intero l’ultimo dei trentadue piani del grattacielo della Water Enterprise. L’uomo stava davanti a una delle ampie vetrate che si affacciavano su Aoyama-Dori, proprio all’altezza del parco che circonda il palazzo Togu. Poteva avere sessant’anni o poco più. Era di corporatura robusta e, come molti suoi connazionali, di bassa statura. Aveva occhi sottili, intelligenti e freddi. La carnagione, di qualche tono più scura rispetto a quella della sua razza, lo faceva sembrare più simile a un malese o a un tailandese, ma Yasuo Maru era nato in Giappone da genitori giapponesi.

L’ambiente nel quale si aggirava era davvero vasto ed elegante: solo la sala misurava circa quattrocento metri quadrati e ovunque, inseriti in un arredo sobrio e di stile occidentale, si trovavano reperti antichi e capolavori che ci si sarebbe aspettati di trovare all’interno di un museo più che in un attico sfarzoso del centro di Tokyo. Già, l’antichità e l’arte rappresentavano l’unica passione di Yasuo Maru, oltre a quella dell’accumulo di ricchezze. Una passione che per il «Signore delle Acque», come tutti lo chiamavano, rasentava l’ossessione.

Un sorriso attraversò lo sguardo dell’uomo d’affari giapponese. Non era una vera e propria espressione di felicità, ma piuttosto un gelido cenno di trionfo.

Yasuo strinse con forza tra le mani la pisside d’oro: era un metallo antico, duttile e caldo. Quell’oggetto racchiudeva in sé una delle tante pagine avvolte nel mistero che la storia aveva tramandato fino al presente. Il calice in oro era certamente appartenuto a uno dei personaggi dell’antichità che Yasuo Maru ammirava di più: Nerone Claudio Druso Germanico Cesare, imperatore di Roma.

Gli occhi del Signore delle Acque si persero nuovamente nel verde del parco di palazzo Togu. Ancora una volta il gelido sorriso tornò sul volto di Yasuo. Nel medesimo istante, in qualche parte del mondo, una persona molto importante che aveva avuto l’ardire di sfidarlo stava attraversando un momento di estrema difficoltà.

Las Vegas, febbraio 2002

«A che cosa devo l’inaspettata visita di uno degli uomini più potenti del mondo?» chiese Antony Sorrentino con aria soddisfatta.

Oswald Breil stava seduto dinanzi alla grande scrivania in mogano, mentre le sue piccole gambe penzolavano nel vuoto. Quello che poteva sembrare un bambino con una grande testa da qualche settimana era il primo ministro della Repubblica israeliana.

«A un conto, Antony… Il saldo di un vecchio debito… una richiesta di aiuto da parte di un lontano conoscente.»

Antony Sorrentino sapeva di dovere la vita a quel piccolo uomo: l’attentato che avrebbe dovuto ucciderlo era stato sventato solo grazie al coraggio di colui che, ai tempi, era un giovane ufficiale dei servizi segreti israeliani. Ciononostante, l’esponente di Cosa Nostra non riusciva a capire.

«Le devo la vita, dottor Breil. La gente come me non si scorda questo genere di cose. Tuttavia mi chiedo come mai una persona nella sua posizione si rivolga a un modesto albergatore italo-americano per problemi che, da quanto intuisco, sarebbe più facile far risolvere a uno dei tanti servizi governativi israeliani…»

«Le anticipo una notizia che tra pochi giorni sarà di dominio pubblico: credo che passerò alla storia come uno dei capi di governo meno longevi nella loro carica. Uno scandalo bene architettato sta per travolgermi e ho già pronta una lettera di dimissioni. Quindi capirà che posso contare ben poco sugli organi dello Stato di Israele. Ma non è per discutere delle mie questioni personali che sono qui adesso… O meglio, non solo per quelle…»

«Che cosa posso fare per lei, Oswald?»

«Io so bene che non sto parlando a un ‘modesto albergatore italo-americano’, ma a uno tra i più ascoltati rappresentanti delle famiglie. E soltanto loro possono essermi d’aiuto in una brutta storia che coinvolge me e persone a me care.»

Antony Sorrentino assunse un’aria ancora più attenta. Ai loro piedi, per le strade, la vita di quella che veniva definita la capitale del vizio scorreva frenetica, piena di luci, false ricchezze e sogni incapaci di resistere più di alcuni minuti.

Breil puntò agli occhi di Sorrentino. Il suo sguardo si fece intenso, capace di soggiogare chiunque gli si trovasse di fronte.

«Yakuza», disse Oswald abbassando la voce, «questo è il conto che vi chiedo di pagare: una lotta contro un gigante che posso cercare di combattere soltanto con il vostro aiuto.»

PARTE PRIMA

Omnia humana brevia et caduca sunt et infiniti temporis nullam partem occupant.

Le cose umane sono brevi e caduche e non occupano alcuna parte del tempo infinito.

SENECA

1

Montecarlo giugno 2001 Un mare gonfio e scuro si frangeva contro le rocce - фото 1
Montecarlo, giugno 2001

Un mare gonfio e scuro si frangeva contro le rocce sottostanti Fort Antoine, poco lontano dall’imboccatura del porto. Giugno era iniziato, come sempre in riviera, tra giornate calde e passeggiate lungo le banchine affollate di yacht. Poi era venuto lo scirocco, denso e appiccicoso, foriero di tristi presagi e di pensieri cupi. E forse proprio uno di questi stava impadronendosi della mente di quell’uomo. Stava seduto con lo sguardo perso tra le onde imponenti, quelle stesse onde che gli avevano distrutto l’esistenza. Poteva avere poco meno di quarant’anni, il fisico alto, slanciato. Il volto, bruciato dal sole, era seminascosto da una barba incolta. Gli occhi erano verdi e intensi.

I cavalloni si inseguivano alti. La sua mente vagava tra i ricordi, lo sguardo sembrava rivedere nel mare in tempesta le sequenze del naufragio.

La voce che si levò dietro di lui, superando il fragore dei flutti, aveva un tono forte e sicuro.

«Lei è Henry Vittard?» chiese lo sconosciuto, costringendo l’uomo a girarsi.

Henry si trovò di fronte a un signore distinto, avanti negli anni, forse vicino ai sessantacinque. Aveva i capelli bianchi e occhi penetranti che non tradivano alcuna timidezza. Le labbra, ombreggiate da un paio di baffi candidi, erano atteggiate a un bonario sorriso.

Henry annuì. Provò una simpatia istintiva nei confronti di quell’anziano sconosciuto, anche se temeva fosse uno dei tanti curiosi interessati alle tristi vicende di uno tra i più blasonati lupi di mare di ogni tempo.

«Ho fatto molta strada per trovarla, Henry», disse ancora quel signore dai baffi candidi, superando con discreta agilità gli scogli che li separavano. «Mi chiamo Guglielmo Grandi, sono un ammiraglio in pensione della marina militare italiana», si presentò, porgendogli la destra. Era una stretta di mano forte, sincera, amica.

«In che cosa posso esserle utile, ammiraglio?» rispose Henry, con tono schivo, quasi volesse cautelarsi da richieste indesiderate.

«In molte cose. Prima fra tutte: sono convinto che lei sia in grado di fare luce su un episodio che mi ha segnato la vita. Se ha tempo e voglia di parlare con me per qualche minuto…» spiegò l’ammiraglio, indicando un bistrot a poca distanza dal molo.

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