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Marco Buticchi: La nave d'oro

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  • Название:
    La nave d'oro
  • Автор:
  • Издательство:
    Longanesi
  • Жанр:
  • Год:
    2003
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    978-88-304-1850-9
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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Fu così che quel bambino di dieci anni, con gli occhi e i capelli scuri e uno sguardo curioso più di altri, partì alla volta di quello che si sarebbe ben presto rivelato come un viaggio fantastico.

Montecarlo, giugno 2001

Henry Vittard percorse ancora una volta con lo sguardo il mare in tempesta. Una sensazione di vuoto si impadronì di lui. Quante volte si era ripromesso di scuotersi da quello stato di prostrazione che lo stava divorando. Ma era ancora presto. Il ricordo del naufragio era troppo vivo nella sua memoria, così come il volto di Sylvie, la donna che aveva amato più della sua vita.

Tutto era incominciato poco più di tre anni prima, nel porto di Barcellona.

Vittard aveva già vinto molto di quello che si poteva vincere, prima di imbarcarsi in un’impresa ardua, ma non impossibile: il giro del mondo a vela.

Il Trophée Jules Verne — una competizione velica che aveva preso vita una dozzina di anni prima dalla mente di Yves Le Cornec — dal 1990 in poi aveva raccolto un numero sempre maggiore di partecipanti e un interesse che cresceva a ogni edizione. Il regolamento era piuttosto tollerante: soltanto pochi capoversi, a parte una serie di appendici che disciplinavano i rari casi in cui era consentita una energia diversa dalla forza umana e da quella del vento.

«I partecipanti» — Henry ricordava bene cosa recitavano le norme di gara — «a bordo di imbarcazioni di ogni tipo e dimensione a sola propulsione velica, dovranno oltrepassare la linea immaginaria di partenza intercorrente tra Créac’h sur l’Ile d’Ouessant e il faro di Cap Lizard. Dovranno compiere il giro del mondo, lasciando a sinistra il capo di Buona Speranza, capo Leeuwin e capo Horn. Dovranno quindi riguadagnare la linea di partenza in senso inverso.»

Vittard rivedeva gli occhi scuri di Sylvie quando lei gli aveva comunicato che non l’avrebbe lasciato partire da solo. Risentiva le parole con le quali lui aveva insistito nel sottolineare i pericoli di quella competizione. Ricordava con quanta preoccupazione avesse inserito il nome della sua compagna nella lista degli altri sette membri dell’equipaggio.

E adesso Sylvie non c’era più.

Kyoto, Giappone, 1330

La residenza imperiale era circondata da un alto muro di cinta, sorvegliato in permanenza da guardie armate di arco. Hito fu il solo a poter seguire Ashikaga all’interno del palazzo, il resto del drappello di scorta fu costretto a stazionare davanti alla grande cancellata attraverso la quale si accedeva al parco della dimora reale.

Gli spazi erano ampi, i giardini curati alla perfezione. Tra ponti di legno, laghetti e giochi d’acqua, si aggiravano personaggi d’alto lignaggio abbigliati in maniera sontuosa, sotto lo sguardo vigile delle guardie imperiali, che testimoniavano il costante stato di tensione e di pericolo.

L’imperatore si trovava all’interno della più grande delle costruzioni che costituivano il complesso: era un padiglione di forma quadrata, quasi interamente occupato da una sola stanza di vaste dimensioni, in cui Go-Daigo concedeva udienza.

L’imperatore del Giappone stava seduto in posizione eretta su un tatami in paglia pressata, ricoperto da un prezioso telo di seta ricamato con fili d’oro zecchino.

Ashikaga e Hito si inchinarono al suo cospetto, poi presero posto a rispettosa distanza, mentre Go-Daigo cominciava a parlare.

«È tempo che la nostra terra riacquisti le sue antiche tradizioni, Takauji.»

«Ogni vostro desiderio è per me un ordine, Maestà imperiale», rispose Ashikaga chinando il capo.

«Ma tu sai bene che così non è… Proprio tu che sei a capo delle forze degli Hojo. Eppure la tua famiglia è legata a quella imperiale da una solida e secolare amicizia. Takatoki Hojo, lo shogun, non sembra in grado di governare il paese in maniera equa e integerrima. Credo sia tempo di correre ai ripari.»

«Quello che avete appena detto, mio imperatore, se fosse proferito da qualsiasi altra persona, suonerebbe come un incitamento alla diserzione… Sapete che cosa il bushido , la legge dei samurai, preveda per un tale disonore o per la mancata lealtà nei confronti dei superiori e del divino imperatore: il seppuku , una lama affilata che recide le viscere e allontana l’onta dalla memoria.»

«Non sto incitando il Grande Generale al tradimento, o tantomeno al suicidio, bensì gli sto offrendo l’opportunità di occupare il posto che lui stesso merita all’interno delle gerarchie del nostro paese. Il Giappone ha bisogno di un uomo come te…»

Un lampo attraversò per un istante lo sguardo di Ashikaga, mentre l’imperatore continuava, arrivando ben presto al cuore della questione.

«Molti sono gli scontenti di questa situazione, e non solo i nobili, ma anche alcuni componenti delle altre caste. Buona parte delle stesse forze militari è pronta a sfidare gli Hojo sotto il mio comando. Con la tua adesione e quella dei contingenti da te diretti, non dovrebbe essere difficile conquistare la città di Kamakura e destituire lo shogun. Sarà quello il momento opportuno per conferire i più alti incarichi alle persone che si sono dimostrate fedeli nei miei confronti…»

Quando uscirono dalla residenza imperiale, Ashikaga si rivolse a Hito con un sorriso: «Una promessa che Go-Daigo non potrà mantenere… Almeno per ora. E se un imperatore è disposto a offrire la carica di shogun a un generale, chissà che cosa può essere disposto a elargire colui al quale questa carica verrebbe strappata. È tempo che Takatoki Hojo sappia che cosa si trama alle sue spalle».

Nel volgere di pochi mesi, l’imperatore Go-Daigo veniva arrestato mentre cercava di fuggire da Kyoto e costretto all’esilio sull’isola di Oki, nella parte orientale del paese.

Tabarqa, 1330

Non c’era tempo. Se voleva rivedere il nonno ancora in vita, Lorenzo di Valnure, che tutti temevano come il pirata Muqatil, doveva affrettarsi.

La galea era ancora intenta alle manovre di ormeggio, mentre il giovane corsaro la abbandonava a bordo di una scialuppa.

Non appena varcò la soglia del fastoso palazzo dell’emiro, un medico di corte gli si fece incontro. «Vostro nonno è molto debole. Credo gli rimanga poco da vivere e la nostra medicina a nulla è riuscita contro il male che lo sta portando tra le braccia di Dio.»

La stanza era in penombra. Il Muqatil dovette stringere gli occhi per distinguerne i contorni. Suo nonno Ibn ben Mostoufi era adagiato sul letto. Gli fece cenno di accostarsi e, una volta che il nipote gli fu vicino, la mano ossuta del vecchio andò in cerca di quella del giovane.

«Adesso posso anche morire in pace con Dio. Ora che ti ho finalmente vicino, sangue del mio sangue.»

A stento, compiendo uno sforzo immane, l’emiro guadagnò la posizione seduta e continuò con un filo di voce: «A te, nipote mio, spetterà il compito di governare queste genti e, conoscendoti, so che ne sarai all’altezza. Diffida di tutti. Anche degli amici. Adesso, ti prego, aiutami ad alzarmi. Voglio pregare Dio forse per l’ultima volta».

Un servitore aiutò l’emiro a compiere il rituale ghusl , l’abluzione, poi il medesimo servo si accertò che il tappeto da preghiera fosse sistemato nella qibla , l’esatto orientamento verso la Mecca. Quindi il vecchio Ibn ben Mostoufi si mise in piedi e pronunciò il tabrìk con le mani aperte vicino al capo. « Allah akbar », Dio è grande, ripeteva l’emiro ogni volta che, con grande sofferenza e fatica, cambiava posizione nei movimenti della rak’a. L’emiro guardò il Muqatil negli occhi prima di accasciarsi mentre pronunciava la benedizione finale: il saluto e la misericordia di Dio siano su di voi. Il servo e il nipote lo sorressero, evitandogli di cadere a terra, e lo adagiarono di nuovo sul letto.

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