Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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«Mamma isterica!» avrebbe voluto urlargli Kuniko sulla faccia, ma si limitò ad assumere un’aria dispiaciuta, mentre Taka sbirciava sullo schermo del computer il documento al quale stava lavorando.

«Le ricordo, Kuniko Sagashi, che lei è ancora in prova e alla prossima che combina la sbatto fuori! Ma non da quest’ufficio, dalla compagnia! Non lo faccio subito perché professionalmente lei è ineccepibile. Non si dimentichi mai del posto che occupa e sia riservata. Sempre riservata.»

Taka si congedò da lei con uno sguardo severo.

«Si accomodi, capitano Macchi.» Oswald Breil si era alzato dalla scrivania e gli aveva stretto cordialmente la mano, quindi il piccolo uomo indicò il salottino nell’ufficio del capo del governo.

Gli uomini che hanno vissuto insieme vere avventure molto raramente ne parlano quando si incontrano. Così fecero Oswald e il capitano dei carabinieri. Uno sguardo fu sufficiente a capire che, nonostante gli anni passati e le strade percorse, un legame indissolubile li univa ancora.

«Non credo alla morte naturale del dottor Vite», aveva esordito Macchi, senza troppi giri di parole.

«Ha qualche prova o indizio?»

«Sensazioni… Congetture. Vite stava benissimo, forse era solo un po’ stanco. Sono stato con lui fino a quando non si è ritirato nel suo alloggio. Nulla nel suo stato fisico avrebbe potuto lasciar presagire la tragedia. Sarebbe stata sufficiente la sua solita doccia serale, e sarebbe ritornato il guerriero di sempre. L’ultima… ma a un certo punto è mancata l’acqua… in tutta la caserma, mentre Vite stava facendo la doccia… Anch’io ero in bagno e l’acqua è mancata per circa mezz’ora.»

«E invece, evidentemente, nell’appartamento di Vite l’acqua c’era ancora: la testa era fuori dal piatto della doccia ed era bagnata. La donna di servizio, che aveva dimenticato degli oggetti personali ed è rientrata, ha scoperto la disgrazia circa venti minuti dopo che era uscita.»

«Vedo che, come sempre, non si lascia sfuggire nulla, dottor Breil.»

«Semplici informazioni che ho raccolto dopo che un mio caro amico è morto in circostanze poco chiare. Lei, capitano, riuscirebbe a sapere chi fornisce l’acqua potabile alla caserma?»

«Mi è sufficiente una telefonata.»

Qualche minuto più tardi, Macchi leggeva alcuni appunti che aveva preso su un foglio.

«Si tratta della Acquedotti Romani S.p.A., una società quotata in borsa, oggetto, tre anni or sono, di una scalata da parte della multinazionale giapponese Water Enterprise.»

«Yasuo Maru!» sibilò tra i denti il primo ministro israeliano.

Kuniko Sagashi uscì dall’ufficio alle sei del mattino. Tokyo era stretta in una morsa di gelo. I primi pendolari scendevano dalla metropolitana. Sedette in un vagone pieno di gente troppo assonnata per prestarle attenzione. Il palazzo in cui abitava alla periferia est della metropoli non era certo lussuoso, ma era abitato da gente perbene.

Kuniko aprì la porta d’ingresso. Prima che potesse accendere la luce, una mano le tappò la bocca con forza.

«Sono io, non gridare!» Nonostante il tono fosse basso, la giovane riconobbe subito quella voce.

«Puoi stare tranquilla, nessuno mi ha visto arrivare e nessuno mi vedrà andare via. Dovevo parlarti di persona di quello che è successo questa sera.»

«Vedo che siamo già passati al tu e alle intrusioni notturne a casa mia», disse Kuniko, riprendendosi dallo spavento. «Con quale sigla o nome in codice dovrei chiamarla, io? Amico di Bushido?»

«Bruno Milano. Sono il maggiore Bruno Milano del Mossad.»

«Agli ordini, signore», rispose Kuniko con un’aria simpatica.

Parlarono per alcuni minuti e Milano, data la scarsa fiducia che Taka nutriva nei confronti della giovane spia, le raccomandò di essere molto prudente. Poi il maggiore chiese di accedere al computer di Kuniko. Estrasse un microdisco dalla tasca interna della giacca e lo inserì nel lettore.

Le immagini, girate da una telecamera a infrarossi, riempirono lo schermo.

«Questa è Genji Enshigoju mentre entra nel palazzo. Come vedi, indossa la divisa della Water Enterprise e spinge un carrello per la distribuzione della posta interna.» Ci fu un cambio di immagine e Milano continuò: «Questa è sempre la maitresse che esce dalla sede della società diciotto minuti più tardi. Non indossa più la divisa e non c’è traccia del carrello. Uno dei nostri agenti ha riferito che la donna non ha usato nessuno dei quattro ascensori pubblici della hall, ma si è diretta verso il corridoio da dove partono quelli privati».

«Quelli che conducono, senza fermate intermedie, agli uffici del presidente o alla sua abitazione.»

«Precisamente. Il carrello era così grande da poter agevolmente contenere una persona.»

«Se una persona è entrata, una persona deve anche essere uscita. Con lo scarso afflusso notturno… Avete controllato l’entrata di servizio?»

«Certo. Non è uscito nessuno. È soltanto arrivato un furgone della lavanderia alle quattro e venti e ha caricato un grosso sacco di biancheria. Credo che nel grattacielo della Water Enterprise, stanotte, sia successo qualcosa di molto grave.»

Kuniko non parlò. Aveva capito che cosa voleva dire Milano. E la telefonata in codice di Taka a una «lavanderia» riusciva solo a confermare l’ipotesi formulata dal maggiore del Mossad.

L’ufficiale estrasse il microdisco dal lettore del computer e fece per congedarsi.

«Hai qualcuno che ti aspetta, Bruno… Voglio dire, una moglie, una famiglia?»

Al diniego dell’uomo, Kuniko continuò: «Ormai è mattina e sarai stanco anche tu. Se vuoi, posso sistemarti sul divano e domani, anzi oggi, più tardi, vai via con tutta calma: io sono a riposo dall’ufficio».

Nel buio della casa, Kuniko riusciva a muoversi alla perfezione. Eaggiunse il divano e strofinò dolcemente la sua testa su quella dell’uomo. Bruno Milano non stava dormendo. Le sue mani cinsero la nuca della donna e lui premette la sua bocca contro le labbra di lei. Kuniko scivolò tra le lenzuola. Adesso avevano solo voglia l’uno dell’altra.

Roma imperiale, anno di Roma 812 (59 d.C.)

Lisicrate si presentò davanti alla locanda guidando un carro trainato da due cavalli da soma. Salì nella stanza di Giulia e la accompagnò in strada, dove con grande circospezione la fece salire sul cassone coperto.

Nel corso delle ultime ore, il giovane greco aveva avuto modo, forse per la prima volta in tanti anni, di constatare il potere dei sacerdoti di Osiride in ogni angolo del mondo.

Nel cuore della notte precedente, infatti, si era recato alla casa di un mercante egiziano. Un’opportunità, gli aveva detto Cherèmone tempo addietro, a cui ricorrere solo in casi particolarmente gravi. Era stato sufficiente mostrare all’anziano venditore di anfore il nodo di Iside in diaspro rosso e dirgli che una persona si doveva allontanare per qualche tempo da Roma e in tutta fretta. Il mercante egiziano gli aveva fornito il recapito, nei pressi di Napoli, di un suo conterraneo che avrebbe prestato ospitalità e assistenza.

Un gruppo di persone circondava un uomo sul ciglio della strada che da Roma conduceva a Napoli.

Lisicrate lo riconobbe subito: Simon Mago stava al centro del capannello, con le palme delle mani rivolte verso l’alto e le pupille riverse all’indietro. Il greco girò il viso dall’altro lato, proprio mentre Simone roteava le pupille, facendo loro ritrovare la posizione consueta.

Da tempo si diceva che Simone andasse in giro predicando e compiendo miracoli. L’unica differenza tra lui e i mille falsi profeti che sembravano crescere come le onde del mare era la sua furbizia. Il mago predicava e raccoglieva discepoli in nome dell’Augusto imperatore e sia Claudio prima sia Nerone poi sembravano avere grande stima di lui.

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