Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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Aveva appena nominato quella orribile donna che Britannico si accasciò a terra in preda a terribili convulsioni.

Nerone si alzò in piedi e nella sala calò il silenzio: «Un’altra delle tue usuali crisi di epilessia, fratellino caro?» chiese con aria ironica.

I commensali sembrarono risollevati da quelle parole e ripresero a mangiare come se nulla fosse successo.

Tutti tranne uno: Britannico, figlio di Claudio e di Messalina, fratellastro e cognato di Nerone, che stava morendo avvelenato.

Mar Mediterraneo, primavera 1335

Il grido si levò alto, sopra le case di legno del villaggio del Muqatil. Diletta Campagnola alzò gli occhi verso il cielo e vide Al-Buraq, il falco, volteggiare in cerchi sempre più stretti. Se voleva riuscire a fuggire dall’isola nella quale era tenuta prigioniera ormai da mesi, doveva ignorare la profonda inquietudine che inspiegabilmente provava all’idea di abbandonare il rifugio del Muqatil.

La consegna della galea era avvenuta senza cerimonie ufficiali. Hito Humarawa osservò l’imbarcazione con cui di lì a poco avrebbe percorso il mare, a caccia del nemico: era dotata di un solo albero armato con una vela «alla trina», come venivano chiamate dai veneziani le vele triangolari, altrimenti dette «latine», e diciotto lunghi remi per bordo, ognuno mosso da tre rematori.

La nave prese il largo, mentre i marinai intonavano il Celeuma , il ritmico canto che accompagnava lo sforzo della voga.

Humarawa rimase con gli occhi fissi sul mare, mentre il canto saliva alto e i remi si immergevano all’inizio di ogni verso, all’unisono.

O Dio ayunta noi
O que somo servi toy
O voleamo ben servir
O la fede mantenir
O la fede del cristiano
O malmenta lo pagano
Sconfondi u sarrahin
Turchi e mori gran mastin.

La galea filava veloce. Lui era silenzioso, lo sguardo di ghiaccio perso sulle onde. Ora aveva un nemico da combattere.

La più giovane tra le ancelle di Diletta si chiamava Giuditta e proveniva da una famiglia di naviganti. Da lei era venuta l’idea della fuga.

«Ci sono alcuni zaruk all’ormeggio nella baia», aveva detto un giorno Giuditta alla sua signora. «Sono piccole imbarcazioni che gli infedeli utilizzano per la pesca costiera. Credo di essere in grado di manovrare una barca come quelle. Se abbiamo fortuna, possiamo raggiungere qualche colonia veneziana nell’Egeo o imbatterci in una nave cristiana.»

Così, vestite come uomini musulmani con i variopinti turbanti sul capo, le quattro donne avevano raggiunto uno degli zaruk che dondolavano all’ancora, quasi nello stesso istante in cui il falco aveva preso a volteggiare sul villaggio lanciando il suo grido d’allarme.

Il dromone era sfilato a poca distanza dalla barca con le fuggiasche. Nessuno aveva prestato loro attenzione: a bordo della nave del Muqatil regnava una grande agitazione.

«Presto, preparate acqua bollente e bende pulite. Il Muqatil è gravemente ferito», aveva gridato un uomo non appena era giunto a portata di voce.

La galea veneziana perlustrava le rotte commerciali in cerca dei terribili pirati che infestavano quelle acque. Fatta eccezione per qualche imbarcazione di pescatori, Humarawa non aveva incrociato altro naviglio: il Muqatil e i suoi parevano essersi dissolti nell’immensità del mare.

A nulla sembrava essere valsa la consistente taglia che la Repubblica di Venezia aveva messo sulla testa del saraceno: nessuno si era mai presentato per fornire notizie utili alla cattura del pericoloso corsaro.

Zaydun, l’uomo che il Muqatil aveva punito per aver tentato di abusare delle prigioniere, era partito da alcuni giorni con una delle navi che, periodicamente, facevano la spola con la terraferma per vendere le merci sottratte durante le scorrerie.

L’imbarcazione viaggiava lenta, spinta da una brezza leggera, quando la galea apparve all’orizzonte.

Lo zaruk era ormai uscito dall’insenatura. Giuditta sembrava conoscere molto bene le manovre necessarie per governare la barca.

Un senso di vuoto regnava nel cuore di Diletta: il Muqatil era stato ferito e i suoi uomini avevano detto che era grave.

«Non posso…» mormorò Diletta all’improvviso, mentre mancavano poche miglia alla libertà. «Non posso. Quell’uomo ci ha salvato dalla violenza e dall’umiliazione. Ritorna all’isola, Giuditta.»

«Ma… mia signora… è un pirata, un infedele rinnegato!» rispose Giuditta.

«Quell’uomo… Quell’uomo ci ha salvato la vita. Non posso abbandonarlo ora che la sua è in pericolo», ripeté Diletta.

«Noi perderemo la nostra se continuiamo a rimanere schiave sull’isola», intervenne un’altra delle donne.

«Schiave…» ripeté Diletta con grande malinconia. «Che differenza passa tra godere di una qualche libertà in un’isola sperduta o essere davvero schiava del vecchio ricco veneziano al quale stavo per andare in sposa? Inverti la rotta», ordinò con un tono che non ammetteva repliche.

Gennaio 2002

Yasuo Maru si affacciò all’ampia vetrata al settantaseiesimo piano dello Jing Mao. La vista su Shanghai da Pudong, sulla riva orientale del fiume, era simile a quella di cui si può godere osservando dall’alto una modernissima metropoli occidentale. Il grattacielo dello Jing Mao, espressione che significa «oro e commercio», era di poco più alto delle torri gemelle di New York ed era stato progettato dalla Skidmore, Owings Merrill di Chicago. Ai fianchi della gigantesca torre si perdevano costruzioni ardite dai vetri scintillanti che sfidavano il cielo, e che spesso recavano sui tetti giganteschi pannelli pubblicitari di prodotti di largo consumo. Poco distante, l’ampia ansa del fiume Hwangpu circondava quasi il quartiere finanziario e commerciale di Lujiazui.

«Bella vista, vero?» commentò Zhu Ling. «Una suggestiva panoramica sui dodici milioni di esseri umani che vivono in questa città. Pensi, presidente Maru, che nella ricostruzione di Shanghai sono state impiegate l’ottanta per cento di tutte le gru edilizie operanti nel mondo. Dodici milioni di persone… e un miliardo e duecentocinquanta milioni di cinesi, Maru sama , un mercato enorme. E ognuno di loro consuma acqua, grandi quantità di acqua, in un paese ancora tutto da scoprire, potenziare, rendere competitivo… Senza contare che le organizzazioni… chiamiamole ‘non legali’… cinesi sono dotate dell’unica cosa che manca alla Yakuza giapponese: la ramificazione sul territorio. Sulle prime io ho un’ottima influenza. Sulla seconda, se non mi sbaglio, è lei, presidente Maru, a godere di buone aderenze…»

«Apprezzo il fatto che lei, come me, ami andare al cuore delle questioni senza troppi giri di parole. Sono qui per ascoltarla, presidente Zhu Ling.»

«Quello che sto offrendo alla Water Enterprise le permetterebbe di raddoppiare il volume di affari… Mentre quelli che si possono definire i ‘gruppi collegati’, attraverso le organizzazioni cinesi, potrebbero irradiarsi ovunque sulla terra.»

«Vuole dire…»

«Voglio esattamente dire che le sto offrendo, tra l’altro, la possibilità di conquistare il mercato di approvvigionamento idrico cinese in situazione di assoluto monopolio.»

«I miei addetti commerciali hanno più volte sondato tale opportunità, e l’unico risultato che hanno raggiunto è l’accordo che lei ben conosce con le forze armate. Una fornitura importante, ma pressoché irrisoria se comparata al fabbisogno idrico di oltre un miliardo di abitanti. Non voglio mettere in dubbio il suo sconfinato prestigio all’interno delle istituzioni, ma non riesco davvero a capire come il presidente della Commissione militare possa arrivare a tanto.»

«Ci sono molte strade, presidente Maru», rispose Zhu Ling, sorridendo in maniera sinistra. «Una di queste potrebbe essere una serie di attentati che mettesse in ginocchio l’intera rete idrica del paese. E, guarda caso, la Water Enterprise, già presente sul territorio perché fornitrice delle forze armate, avrà tutti i ricambi necessari per far fronte alle riparazioni. A questo punto, non sarà difficile, per me e per gli uomini a me collegati, presentare la sua società come un partner indispensabile.»

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