Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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«Credo sia inutile raccomandarle la massima discrezione, dottor Vite: la Yakuza ha mille tentacoli e orecchie insospettabili.»

«Kuniko?» La voce di Maru era come sempre autoritaria. «Dica all’equipaggio del mio aereo di tenersi pronto a decollare per domattina.»

«Destinazione, Maru sama

«Shanghai», rispose il Signore delle Acque.

L’elicottero, pilotato personalmente da Maru, si alzò con perfetta puntualità alle otto e trenta del mattino. L’aeroporto internazionale Narita, dove il jet era ad attenderlo, distava sessantasei chilometri dal centro di Tokyo. Yasuo Maru osservò dall’alto la sede della compagnia che aveva creato dal nulla, anche se aveva ricevuto un aiuto iniziale e consistente dall’ oyabun Yoshio Kodama, il capo di tutti i capi della Yakuza che per lui era stato quasi un padre.

Il Signore delle Acque non riteneva di aver avuto un’intuizione geniale, quando aveva dato vita a uno dei più grandi colossi dell’economia mondiale: un articolo apparso su un giornale inglese, mentre ancora frequentava l’università, gli aveva dato quello spunto che si sarebbe rivelato vincente.

Aveva discusso l’argomento con Kodama in persona.

«Pensa, zio Yoshio, un bene indispensabile come l’acqua è soggetto a sprechi che, ancor prima di raggiungere le nostre case, si aggirano attorno al trenta per cento. Nessuna attività industriale si può permettere una perdita così consistente. Razionalizzare il sistema idrico può essere la più redditizia delle attività, un’attività ‘pulita’ per definizione. Pulita come l’acqua…»

Yoshio Kodama era un uomo di poche parole. In quell’occasione, però, aveva interrogato a lungo il giovane Yasuo e, alla fine, gli aveva chiesto: «Quanto pensi sia necessario per impiantare questa nuova attività?»

«Senza pensare troppo in grande, credo che otto o dieci milioni di dollari potrebbero essere sufficienti», aveva risposto Maru.

Da quel momento, la Water Enterprise era cresciuta a dismisura. Un sofisticato sistema di sensori computerizzati controllava l’affluire di ogni goccia di liquido vitale in quasi ogni zolla del globo terrestre. Già, questo rappresentava l’acqua per Yasuo Maru: il più vitale degli elementi, lo stesso che gli consentiva di figurare tra i dieci uomini più ricchi al mondo.

Perciò non ne doveva essere sprecata nemmeno la più infinitesima stilla: il sistema era in grado, in caso di perdite o di eccessivi consumi, di limitare o chiudere del tutto l’erogazione agendo su una serie di valvole, anch’esse computerizzate, che si irradiavano dall’acquedotto verso ogni singola utenza.

L’elicottero virò, cominciando a rallentare. Dolcemente si adagiò nei pressi del grande velivolo verde e argento che aveva stampato il logo della compagnia sulla fusoliera.

Venti minuti più tardi, il pesante Boeing 767 decollava dalla pista numero tre del New Tokyo International Airport.

Yasuo Maru si apprestò a trascorrere le tre ore di volo, necessarie per superare i milleottocento chilometri che separano Tokyo da Shanghai, tra le comodità del suo aereo personale. Doveva arrivare ben riposato all’appuntamento con il generale Zhu Ling.

Roma imperiale, anno di Roma 808 (55 d.C.)

«Siediti e calmati, Giulia. Sono qui per ascoltarti», disse Lisicrate cercando di placare l’agitazione della donna.

«Agrippina sembra impazzita: gira per le sue stanze come una furia, maledicendo il figlio e il momento in cui lo ha scelto per succedere a Claudio.»

«Che cosa dici, Giulia?» chiese Lisicrate.

«Nerone ha licenziato Pallante senza nemmeno avvertire la madre. E tu sai, Lisicrate, quanto Agrippina fosse legata al più potente dei liberti.»

«Lo so bene», rispose il greco.

«Agrippina ha considerato questa decisione come un insulto alla sua persona e sta meditando vendetta. Ho udito con le mie orecchie la mia signora pronunciare frasi irriverenti nei confronti del figlio imperatore.»

«Credo sia comunque tempo che Nerone agisca di testa sua e non per conto di sua madre.»

«È proprio questo che Agrippina sembra non tollerare. Credo che presto assisteremo a un cambiamento di alleanze.»

«Continui a parlare per mezze frasi. Esprimi apertamente il tuo pensiero.»

«Agrippina sta dicendo in giro che il vero successore di Claudio doveva essere Britannico e non Nerone. Tu sai quanto timore abbia l’imperatore di perdere il trono. Questa sembra la migliore vendetta che Agrippina possa mettere in atto nei confronti del figlio disobbediente, e la migliore arma con la quale riportarlo sotto la sua esclusiva tutela.»

«Non sono d’accordo. Se Nerone ha cominciato a muoversi da solo, ben poche minacce saranno in grado di sbarrargli la strada. Ormai ha l’esperienza sufficiente per capire come vanno le cose qui a palazzo. Ma credo sia opportuno che io faccia visita al mio giovane discepolo, oggi imperatore di Roma.»

Il giorno seguente Lisicrate si recò nelle stanze dell’imperatore. Proprio sulla porta degli appartamenti di Nerone, il precettore greco si imbatté in una figura molto pericolosa che era ricomparsa a palazzo. Lucusta quasi lo urtò, mentre usciva da quella che Lisicrate riteneva fosse un’udienza con l’imperatore.

«Mio buon amico, sono davvero felice di vederti», disse Nerone non appena ebbe il precettore dinanzi a sé.

«Ho udito notizie preoccupanti, Nerone», ribatté Lisicrate con il tono confidenziale che sempre usava quando era con l’imperatore senza nessuno ad ascoltarli.

«Ti riferisci alle ire della mia Augusta madre per averle licenziato il passatempo personale?» Per la prima volta Lisicrate vide negli occhi azzurri di Nerone una strana luce, una luce di follia. «La cosa non mi preoccupa, al punto che per stasera ho organizzato una sontuosa festa alla quale il mio fratellastro, d’un tratto assurto al ruolo di pretendente, è stato cordialmente invitato. Vedranno i romani chi mia madre vorrebbe al mio posto.»

Poi, Nerone assunse un tono più pacato e continuò. «Sono stanco, Lisicrate. Stanco di essere imbrigliato e indirizzato da schiere di precettori, liberti e, soprattutto, da una madre ingerente. Roma non ha bisogno di un fantoccio, ma di un imperatore capace di sopportare il peso della carica. E io sono sicuro di esserlo.»

«Lo sei certamente, Nerone. Ma credo che agire in maniera diplomatica…»

«Agire in maniera diplomatica?» Ancora riapparve la furia negli occhi dell’imperatore. «E perché dovrei? Di fronte a una madre che rinnega il figlio solo perché ha sollevato Pallante dalle sue occupazioni preferite: unirsi carnalmente con lei nelle sue stanze e attingere a piene mani dall’erario del popolo? Dovrei forse essere diplomatico di fronte a questo? Ho il Senato con me, l’esercito con me, il popolo con me. Io sono Roma e Roma è me.»

Gli invitati arrivarono puntuali. Tutti facevano parte della più alta aristocrazia cittadina. Era da lungo tempo che Lisicrate non incontrava Cherèmone e, non appena scorse il suo antico maestro tra gli ospiti, il giovane greco si precipitò a conferire con lui.

«Ho la sensazione, Cherèmone, che le cose stiano assumendo una piega molto preoccupante», spiegò Lisicrate non appena si adagiarono su due triclini accostati.

«So a che cosa ti riferisci. Anch’io ho notato comportamenti alquanto singolari in Nerone, sebbene io frequenti poco il palazzo. Né va sottovalutata l’ostilità che lo circonda e che viene dai suoi stessi familiari. Il nostro compito, comunque, è quello di restare qui e cercare di mutare il vento a favore della nostra terra e della nostra cultura. Ricorda il giuramento che hai fatto, Lisicrate.»

«Mai potrei dimenticare di essere un sacerdote di Osiride, e il mio giuramento è ben vivo nella mia mente.»

In breve, Lisicrate accennò ai due personaggi singolari e pericolosi che aveva incontrato nelle stanze dell’imperatore: Simone, il mago di Samaria, e Lucusta, l’avvelenatrice.

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