Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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Il villaggio cresceva a vista d’occhio. Le dodici donne che erano state rapite in un borgo costiero sembrava si andassero adattando a quella vita: senza dubbio poteva offrire loro un’esistenza migliore uno degli uomini del Muqatil che non un misero pescatore.

Rientrando al villaggio, l’emiro si fermò dal vecchio Kahyr che, da sempre, allevava piccioni viaggiatori, per riferirgli l’incontro con il predatore.

«Se ti ha scelto», disse Kahyr, «difficilmente ti abbandonerà.»

Diletta Campagnola non riusciva a domare l’inquietudine. Anzi, a mano a mano che la nave avanzava verso la meta, sentiva crescere il turbamento. A bordo, la giovane e le sue tre dame di compagnia erano le uniche donne. Il comandante aveva volentieri ceduto la propria cabina alla figlia dell’armatore e alle sue damigelle. E nell’angusto alloggio le quattro donne stavano trascorrendo buona parte della navigazione.

Alessandro Crespi attese pazientemente che Angelo Campagnola gli concedesse udienza.

«Mio buon amico, qual buon vento vi porta?» chiese il Campagnola con fare cordiale non appena il mercante fu dinanzi a lui.

«A dire il vero non è un vento foriero di buone notizie. Hito Humarawa è stato arrestato per omicidio», rispose Crespi.

«Conosco la storia, come del resto la conosce tutta la città. È un fatto ormai sulla bocca di tutti. Il giapponese ha quasi tagliato in due uno dei più pericolosi attaccabrighe di Venezia.»

«Si è trattato di legittima difesa, eccellenza.»

«So anche questo. E vedrete che la giustizia farà il suo corso, scagionando il vostro amico. Per adesso ritengo più opportuno che resti in carcere: tanto per non aver contro la pubblica opinione.»

La nave del Muqatil si spinse fuori dalla baia vulcanica come un felino in caccia. L’isola era ancora visibile, quando il falco cominciò a volteggiare sopra l’albero di maestra del dromone.

«Te lo avevo detto, Muqatil», disse Kahyr indicando il volo del predatore. «Lui ti ha scelto come suo padrone e amico. Non sarà facile che ti abbandoni.»

Il predatore dispiegò le ali e i suoi artigli si serrarono attorno a una delle cime in testa d’albero. Gli occhi dell’uccello scrutarono il ponte, fino a che non si fermarono quando incontrarono quelli del Muqatil.

Gli uomini d’equipaggio della cocca veneziana erano intenti alle manovre. Dalla loro cabina, le quattro donne sentivano il trambusto, l’aumentare dei tonfi e lo scalpiccio di passi pesanti. Poi, come per incanto, il rumore cessò.

Sul ponte, uno dei marinai osservò il cielo e indicò ai compagni il grosso volatile che planava sopra la nave.

«Certamente non si tratta di un gabbiano o di un altro uccello acquatico…» disse uno della ciurma del Campagnola. «… sembrerebbe, sembrerebbe un predatore, un’aquila oppure un falco…»

«Ma che cosa ci fa un falco in mare aperto?» chiese un altro.

«Poco mi importa. Ce lo chiederemo stasera, quando assaggeremo della pregiata cacciagione arrosto.» Così dicendo, il primo marinaio corse sottocoperta a prendere la sua balestra.

Il falco parve accorgersi del pericolo e cominciò a volare in cerchi più stretti, aumentando la velocità. La prima freccia sibilò lontana, poi una seconda e una terza che quasi riuscì a lambire le ali. Il predatore si gettò in picchiata. La sua velocità non consentiva a nessuno, nemmeno al più abile degli arcieri, di riuscire a colpire il bersaglio.

La bandiera di Venezia sventolava a poppa. Gli artigli del falco si chiusero attorno al vessillo rosso con il leone d’oro di San Marco. In un battito di ciglia la bandiera scomparve dall’asta, mentre il rapace si allontanava stringendo il drappo colorato tra le zampe.

«Smettetela di giocare, uomini.» La voce severa del nostromo risuonò sulla cocca. «Cercate di manovrare per non farci perdere la formazione: siamo in acque pericolose.»

Il piccolo punto nel cielo divenne sempre più nitido. Il falco si posò in quello che aveva eletto come il suo domicilio a bordo. Aprì gli artigli e lasciò cadere la bandiera veneziana sul ponte.

«Calcolando il breve tempo che ha impiegato per raggiungere la nave nemica, dovremmo essere a poche miglia da loro», disse il Muqatil, mentre poggiava come ricompensa un grosso pezzo di carne salata sul luogo ove era caduto il vessillo.

«Forse», continuò l’emiro rivolto ai suoi ufficiali, «si tratta di un convoglio. Prepariamoci a una notte insonne.»

E una notte senza luna scese dolcemente, sul mare calmo e in totale assenza di vento. Le lanterne di segnalazione, poste a prora e a poppa di ciascuna nave del convoglio, dondolavano pigramente, diffondendo riflessi dorati sulla superficie dell’acqua.

Nessuno tra i comandanti era riuscito a mantenere la formazione, anzi spingevano le proprie navi in direzioni opposte, con la speranza di individuare un soffio di vento nell’assoluta bonaccia.

Sulla nave del Campagnola regnava una quiete apparente: l’uomo sulla coffa si era assopito già alcune volte e i marinai di guardia si erano adagiati sul ponte a godersi la forzata inattività.

La freccia sibilò, subito seguita da un tonfo sordo. La vedetta si accasciò senza un lamento. Il suo corpo privo di vita si abbandonò sul parapetto della coffa e cadde nel vuoto. Il tonfo del cadavere che si abbatteva sul ponte parve essere il segnale: gli uomini del Muqatil si mossero senza fare alcun rumore. Come precisi dardi, si scagliarono ciascuno contro il proprio bersaglio. Pochi istanti furono loro sufficienti per diventare padroni della nave. A questo punto, altri uomini scavalcarono la murata e si dispersero, armi in pugno, all’interno del veliero catturato.

L’ordine che il Muqatil aveva loro impartito era stato, come sempre, di far salva la vita a chi non avesse opposto resistenza.

Le due scialuppe che avevano accostato la nave veneziana si staccarono dal bordo. La sagoma del dromone apparve improvvisamente nella notte scura, come un mostro infernale giunto a reclamare anime. La manovra di accostamento venne eseguita in perfetto silenzio.

I veneziani, colti di sorpresa nel sonno più profondo, non poterono fare altro che alzare le mani in segno di resa, quando si trovarono le lame dei pirati a pochi centimetri dalla gola.

Zaydun era stato liberato dalla schiavitù nel corso di un arrembaggio a una nave veneziana. Odiava gli infedeli con tutte le sue forze. Non condivideva la clemenza mostrata spesso dal Muqatil nei confronti dei nemici catturati. Fosse stato per lui, avrebbe provato grande piacere a squartarli uno per uno con le sue stesse mani. Zaydun scese la scaletta che conduceva alla cabina del comandante. La porta era chiusa dall’interno. Il pirata affibbiò un calcio potente allo stipite. Quello che vide quando la porta si spalancò incarnava il più bello dei sogni: quattro donne dalla pelle candida si stringevano impaurite e supplicavano pietà.

Zaydun ripose la spada: il suo volto era illuminato da un torvo sorriso. L’arabo si avviò verso quella che, alla luce delle lanterne, appariva come la più giovane e bella.

Diletta restò immobile mentre l’uomo si avvicinava. Non si scostò neppure quando le dita del pirata le sfiorarono il seno. La mano si attardò e il tocco, prima leggero, divenne più insistente, quasi doloroso. Diletta si mosse repentina. La lama vibrò nell’aria e si conficcò nel dorso aperto della mano del saraceno.

Zaydun emise una smorfia di dolore: ci voleva ben altro che uno stiletto per fermarlo. Estrasse la lama e rivolse a Diletta uno sguardo carico di odio e di disprezzo.

«Adesso pagherai per questo, donna infedele.»

A nulla valsero le grida di aiuto della giovane. In un attimo si trovò a terra, il corpo del pirata sopra di lei. Sentì l’alito dell’uomo sulla faccia, mentre le gambe di lui facevano pressione per divaricare le sue. La lotta era impari e, entro breve, Diletta avrebbe ceduto.

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