Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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«Ma signor Maru… Quello che lei mi dice mi giunge nuovo… Io non sapevo…» farfugliò Funet. «… E poi il mio compito non è certo quello di agente segreto, ma mi onoro di essere uno dei suoi consulenti d’arte…»

«E proprio con queste mansioni lei si trova a bordo dello Shimakaze , Funet. Il suo compito sarà quello, una volta arrivati sul luogo ispezionato da Vittard e Grandi, di catalogare e classificare ogni reperto che i miei uomini riusciranno a portare in superficie.»

Lo Shimakaze navigava sicuro su un mare che si andava a poco a poco calmando.

Sara Terracini prese la borsa sportiva che Vittard le stava porgendo con grande cautela. Aprì la lampo dello scomparto principale e cominciò a deporre a uno a uno i papiri su un tavolo che aveva sgombrato in precedenza.

«Comincerò oggi stesso a immergere i reperti in una soluzione appropriata. Ci vorrà del tempo per riuscire a leggere il contenuto dei rotoli. Comunque state tranquilli, qui saranno in buone mani e lontani da qualsiasi minaccia.»

«A proposito di minacce», intervenne Vittard, «la ringraziamo di essersi preoccupata della nostra incolumità: il nuovo marinaio raccomandatoci dai suoi ‘amici importanti’ sembra uno che conosca il fatto suo.»

«Nuovo marinaio?» chiese Sara con aria sorpresa. «Ah sì… Devo scusarmi con voi, ma tutto è avvenuto nel corso delle ultime ore. La faccenda è un po’ più complicata di quanto appare e un amico molto influente ha ritenuto fosse necessario proteggervi. Mi ha detto che avrebbe disposto una certa sorveglianza, ma non credevo in così breve tempo. Comunque verificherò e vi saprò dire.»

«Un amico influente… Una situazione di grave pericolo…» farfugliò Grandi sotto i baffi. «Non vorrei lei stesse credendo di giocare agli eroi dei romanzi di Fleming, dottoressa Terracini. E poi, chi sarebbe questo amico tanto influente che ci fa da balia?»

«No, ammiraglio. Io sono e resto una ricercatrice di oggetti che ci aiutano a comprendere meglio il nostro passato. Non ho velleità da James Bond, anche se la mia esperienza mi ha insegnato a non sottovalutare mai nessun segnale che si accenda attorno a un reperto, per il suo valore venale, storico o religioso. E se non sbaglio stiamo parlando di una nave d’oro di un imperatore romano e di qualcuno che, duemila anni fa, si è preso la briga di trascrivere documenti unici e impagabili. Gli interessi, per quanto ne so, sono torbidi e in mano a persone che hanno troppo spesso scarso rispetto per la vita altrui. Intuisco dal suo tono, ammiraglio, un certo risentimento per avere divulgato una notizia riservata. Ma le assicuro che non è mia abitudine parlare con persone che non godano della mia assoluta fiducia.»

«Le credo, dottoressa Terracini», intervenne Vittard. «E siccome siamo tutti nella stessa barca, ci conviene tenere il timone ben saldo per superare ogni tempesta. L’unico appunto è che, se una rotta dev’essere tracciata, dobbiamo farlo tutti assieme.»

«Come vi ho detto, tutto è accaduto in poche ore. Erano molte le coincidenze correlate con un fatto grave come l’omicidio di Akir», disse ancora Sara.

«D’accordo… Nessun rancore da parte di nessuno», concluse Grandi. «Chiedo solo di conoscere il nome di questo nostro protettore e il motivo di tanto interesse.»

«Oswald Breil», rispose Sara. «Per quanto riguarda il motivo del suo interesse, a me non è dato modo di conoscere quelle che sono state definite ‘importanti questioni di Stato’.»

«Vuol dire quell’ Oswald Breil, Sara?» domandò Vittard sgranando gli occhi. «Il primo ministro israeliano?»

«Proprio lui. Siamo amici da molto tempo», chiarì Sara mentre un sorriso le illuminava il volto.

I tre discussero a lungo sul lavoro che li attendeva, e la dottoressa spiegò quali procedimenti sarebbero stati applicati ai papiri per facilitarne la lettura e impedire danni irreparabili.

Circa un’ora più tardi, Vittard e Grandi tornavano alle loro rispettive destinazioni.

Rimasta sola nel suo studio, Sara alzò la cornetta del telefono e compose un numero interno per invitare, con dolcezza inconsueta, il migliore dei suoi collaboratori a raggiungerla.

Toni Marradesi entrò con la sua solita aria trafelata. Lanciò un’occhiata ai papiri allineati sul tavolo e poi disse, rivolto alla ricercatrice che cercava di rabbonirlo con il suo più caldo sorriso: «Che cosa ci ha preparato di buono la dottoressa Terracini per cena? Gnam, gnam… Una decina di papiri al sugo e magari li vuoi pronti, asciutti e srotolati per domani mattina… Desideri anche che ricalchi le lettere nelle quali è scomparso l’inchiostro o affiderai il compito a una delle tue infernali macchine?» A questo punto Toni abbandonò il tono canzonatorio: «Ti ricordo che giù da me, in attesa di subire trattamenti e restauri vari, ci sono tante opere da poter allestire un museo di dimensioni eccezionali. E anche quelle hanno fretta».

«Non ti ho chiesto di elencarmi il tuo carico di lavoro, ti sto solo chiedendo di aiutarmi a fare luce su un importante personaggio del passato. Quei papiri sembrano scritti da una persona a lui molto vicina. Qualcuno che sembra essere molto colto e che suppongo amasse iniziare ogni capitolo con una citazione. E le citazioni latine mi sembra siano il tuo forte. Per scoprire che l’unica che ho avuto modo di leggere apparteneva a Cleante, io ci ho impiegato più di un’ora.»

«Questa volta non ci casco, cara mia. Tanto più che vorrei sapere quanto zampino di Oswald Breil ci sia in tutta questa faccenda. La cosa migliore che può succederci quando c’è di mezzo lui è che ci scoppi una granata sotto il sedere.»

«Oswald non c’entra…» mentì Sara, poi, a voce più bassa, si corresse: «… almeno per ora. Non riuscirei a farti cambiare idea nemmeno se ti dicessi che l’antico personaggio a cui si riferisce la biografia potrebbe essere Nerone?»

Gli occhi di Marradesi si illuminarono come fiaccole. Il più enigmatico, camaleontico, al tempo stesso spietato e generoso, ma soprattutto l’imperatore del quale quasi ogni traccia era stata cancellata dalla damnatio memoriae , poteva rivelare ai posteri i lati più oscuri della sua vita.

Marradesi sorrise, si appropriò di uno dei carrelli da trasporto nel corridoio e uscì dalla porta quasi coccolando i preziosi papiri.

«A proposito di priorità», disse prima di varcare la soglia spingendo il suo prezioso carico, «sono appena arrivati una decina di dipinti da Parigi che richiedono cure e restauri.»

«Da Parigi?» ripeté Sara con fare perplesso. «Sono anni che qui non arrivano ‘pacchi’ dalla Francia.»

«È vero, e questo lavoro pare non aver seguito i canali tradizionali. Sembra che ci sia stato commissionato direttamente dal sovrintendente e non dall’ufficio apposito… quello con a capo quel simpaticone di Grégoire Funet…»

«Già, Grégoire Funet…» pensò Sara ad alta voce.

Grégoire Funet corse per l’ennesima volta al parapetto dello Shimakaze. Anche il minimo accenno di onda era capace di scatenare reazioni incontrollabili nel suo organismo.

Da due giorni il lussuoso yacht stava ormeggiato poco distante da punta Marsala, nell’isola di Favignana. Due squadre, ciascuna composta da quattro subacquei, aveva effettuato una serie di immersioni, senza però riuscire a individuare alcun reperto di valore.

Il giorno seguente, gli impegni di lavoro di Yasuo Maru avrebbero costretto lo Shimakaze a levare le ancore.

«Una nave, nel momento in cui impatta il fondo, generalmente non lo fa con eccessiva violenza: le vere forze pericolose per la struttura sono quelle di superficie, quando, per esempio, lo scafo si capovolge o si impenna.» In una rara pausa tra i conati, Funet stava catturando l’attenzione di Maru con dettagliate spiegazioni: «A seguito dell’adagiarsi del relitto sul fondo, incomincia la sedimentazione e, in una zona molto sabbiosa come questa, l’effetto più plausibile è quello che la sabbia inghiotta il relitto. Questa eventualità si traduce in una fortuna archeologica: l’involucro sabbioso protegge le strutture sommerse come una campana di vetro. Naturalmente, questi non sono processi immediati e richiedono del tempo. Le parti superiori del relitto, maggiormente esposte all’erosione sottomarina e soggette a una più lenta ricopertura da parte di materiale sabbioso, spesso vengono aggredite dalle correnti o da organismi e agenti corrosivi. A questo punto, il materiale ligneo rimasto fuori dalla sabbia va in briciole, riversando il carico nella zona circostante. Il carico tracimato si dispone quindi, negli anni e spesso nei secoli, allineandosi alla corrente dominante. Se non erro, questa baia è battuta dallo scirocco. Per questo motivo ho chiesto alle squadre di effettuare le ricerche subacquee muovendosi sull’asse sud-est nord-ovest».

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