In quell’istante un segnale del suo computer la informò che qualcuno la stava chiamando.
L’informativa firmata da Derrick Erma, capo del Mossad, stava sul tavolo del primo ministro. Oswald conosceva bene l’importanza di quelle poche note scritte in linguaggio burocratico. Lesse con attenzione quanto l’Istituto riferiva su Yasuo Maru e sulla Water Enterprise. Quindi chiamò il ministro da cui dipendeva l’assegnazione dell’appalto alla multinazionale nipponica.
«Dobbiamo aspettare per dare inizio ai lavori: consulti i suoi uffici legali, trovi un cavillo, un vizio di forma. In ogni caso, posso solo dirle che reputo pericoloso metterci nelle mani della Water Enterprise in un settore importante come l’approvvigionamento idrico», disse Breil con fare che non ammetteva repliche.
Alle blande proteste del ministro che lo metteva in guardia riguardo a un ricorso a vie legali contro la società giapponese, Oswald rispose: «Sono pronto a far pagare delle salate penali a Israele, perché la minaccia che temo è ben più grave».
Oswald ripose la cornetta del telefono e prese a scorrere la sua casella di posta elettronica. Il messaggio di Sara fu il primo che aprì. Scosse compiaciuto la grande testa mentre le gambette a penzoloni sotto la scrivania si muovevano con esuberanza quasi infantile.
«Proviamo a vedere se hai perso le vecchie abitudini. Vivi ancora vicino a un computer collegato in rete, mia bella dottoressa Terracini?» si chiese il piccolo uomo, digitando un messaggio di risposta sulla tastiera.
Il cielo di Montecarlo era grigio e scuro. Sembrava volesse far pesare sull’umore dei suoi abitanti la pioggia sottile e incalzante che sarebbe scesa di lì a poco. Il mare era agitato e gli spruzzi bianchi si levavano alti, non appena un’onda si frangeva contro il molo di protezione del porto.
Grandi sapeva dove avrebbe trovato Henry: nello stesso posto in cui lo aveva incontrato la prima volta, con lo sguardo perso nell’immensità dell’acqua.
«Sono andato a deporre alla Gendarmerie, come mi aveva chiesto, Henry.»
«La ringrazio, ammiraglio. Con molta delicatezza, l’ispettore incaricato delle indagini mi ha chiesto conferma del mio alibi. Ma veniamo a noi: ha avvertito la dottoressa Terracini del cambiamento di programma?»
«Già fatto: ci aspetta per domani mattina con il resto dei reperti. Il suo laboratorio è sicuro quanto la cassetta della mia banca a Genova.»
In quello stesso istante, la sagoma dello Shimakaze doppiò l’imboccatura del porto. La prora fendette il mare con la stessa facilità con cui un coltello si infila nel burro.
Grandi e Vittard rimasero a osservare lo yacht che si allontanava verso sud.
Kuniko Sagashi riuscì a malapena a nascondere la delusione, quando uno sconosciuto giapponese la avvicinò pronunciando la formula di riconoscimento. Poi si convinse che la prudenza non era mai troppa e forse era meglio che non si incontrasse sempre con lo stesso agente. Al nuovo emissario consegnò il solito microdisco pieno di informazioni e un foglietto sul quale stava scritto il nome Genji Enshigoju. Le generalità della donna che aveva chiamato poco prima in cerca di Maru erano accompagnate da una puntuale descrizione delle parole che questa aveva pronunciato e da una richiesta di informazioni al riguardo da parte dell’agente Bushido.
‹ALLA FACCIA DELLA TELEPATIA, SIGNOR PRIMO MINISTRO. STAVO PROPRIO PENSANDO A TE!› digitò rapidamente Sara, una volta in linea con Oswald Breil.
‹NON SI TRATTA DI TELEPATIA, MIA CARA. IL FATTO È CHE SONO SEMPRE PRESENTE NEI TUOI PENSIERI›, rispose Oswald.
‹NON ME LA SENTO DI DARTI TORTO. MA, DIMMI, COME TI TROVI NELLE VESTI DI UNO TRA GLI UOMINI PIÙ POTENTI DEL PIANETA?›
‹BE’, ADESSO NON ESAGERARE…›
‹VUOI FORSE DIRE CHE LA GUIDA DI ISRAELE NON È DETERMINANTE IN BUONA PARTE DELLE VICENDE INTERNAZIONALI?›
‹NO, QUESTO NO, MA DA QUI A ESSERE UN POTENTE VERO E PROPRIO C’È UNA BELLA DIFFERENZA. COMUNQUE SAPPI CHE, PER OGNI SCALINO CHE SI SALE, I PROBLEMI AUMENTANO IN MANIERA ESPONENZIALE. SPESSO INVIDIO TE E IL TUO LABORATORIO ULTRATECNOLOGICO. LE OPERE D’ARTE, ANCHE SE HANNO UN’ANIMA, CREANO MENO PROBLEMI DEGLI ESSERI UMANI.›
‹MI STUPISCE CHE PROPRIO TU DICA QUESTO… SAI BENE CHE NON È VERO… E IL PASSATO SPESSO ACCENDE APPETITI PERICOLOSI.›
‹DAL TONO, MI SEMBRA CHE TU TI SIA CACCIATA IN UNA DI QUELLE STORIE PIENE DI GUAI CHE TI PIACCIONO TANTO. QUESTA VOLTA, ALMENO, NON DARAI LA COLPA A ME…›
‹È VERO, OSWALD… O ALMENO SEMBREREBBE, DATE LE PREMESSE. MA ANCHE DI QUESTO VOLEVO PARLARTI…›
Sara Terracini descrisse in sintesi gli avvenimenti recenti, senza tralasciare nulla riguardo all’incontro avuto con Henry Vittard e l’ammiraglio Grandi, quindi concluse con queste parole: ‹… PARE CHE QUALCUNO SI SIA INTRODOTTO SUL CATAMARANO DEL NAVIGATORE OCEANICO E ABBIA ROVISTATO. OVUNQUE. È QUASI CERTO CHE IL MARINAIO DI VITTARD ABBIA SCOPERTO L’INTRUSIONE, TANTO È VERO CHE È STATO RINVENUTO DALLA GENDARMERIE A GALLEGGIARE CON IL COLLO SPEZZATO NEL PORTO DI MONTECARLO. GLI INQUIRENTI SOSPETTANO UN TENTATIVO DI FURTO SFOCIATO IN TRAGEDIA.›
‹MONTECARLO, HAI DETTO?› digitò Oswald. Poi prese la serie di foto inviategli da Derrick Erma. La data, l’ora e il luogo in cui le istantanee erano state scattate erano impressi sul bordo, in basso a sinistra, della carta.
«Montecarlo… Montecarlo», ripeté Oswald tra sé. Poteva benissimo trattarsi di una coincidenza, ma Breil aveva ormai imparato da tempo che nel suo lavoro non c’era spazio per le coincidenze.
Un impercettibile rollio scuoteva lo Shimakaze , mentre le due turbine da settantamila cavalli spingevano la nave alla ragguardevole velocità di crociera di trenta nodi.
Yasuo Maru era seduto su un divano nell’ampio salone. Un uomo stava in piedi davanti a lui. L’espressione del Signore delle Acque era severa.
«Chiedo perdono, Maru sama. Qualche cosa non deve aver funzionato con le dosi di anestetico in spray e il marinaio mi si è avventato alle spalle mentre stavo effettuando la perquisizione… Comunque sono riuscito a fotografare questa.»
L’uomo porse una foto dell’anfora e si inchinò.
«La tua missione è stata un fallimento», disse Maru inflessibile. «L’ordine che io stesso avevo impartito era di raccogliere informazioni e di lasciare tutto in perfetto ordine. Credi che per la foto di un’anfora possiamo mettere a repentaglio tutto? Hai fallito e adesso sai che cosa devi fare.»
Sul grande tavolo dinanzi ai divani si trovavano un ceppo di legno e una piccola spada affilata, dalla lama spessa, forse più simile a una mannaia che a una vera e propria sciabola. Maru indicò la spada con uno sguardo. L’uomo si inchinò ancora una volta dinanzi a lui, prese senza esitazione l’arma e, con altrettanta risolutezza, dopo aver poggiato il dito indice sul ceppo, vibrò il colpo. Il dito, reciso di netto poco sopra la nocca, rimase sul legno, cambiando rapidamente colore. Il sangue rosso usciva a fiotti dalla ferita. L’uomo non emise un lamento, ma osservò con fierezza Yasuo Maru. Quella era la pena minima alla quale andavano incontro i fedeli uomini della Yakuza colpevoli di un grave errore.
Nemo tam divos habuit faventes, crastinum ut possit polliceri.
Nessuno ebbe mai gli Dei così favorevoli da potersi promettere un sicuro domani.
SENECA
La nave d’oro
Roma imperiale, anno di Roma 806 (53 d.C.)
Che cosa poteva dare un imperatore alla propria consorte che un altro uomo, pur ricchissimo, mai avrebbe potuto?
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