Il telefono prese a trillare con insistenza. Grandi osservò l’orologio: nessuno lo avrebbe chiamato dopo le dieci della sera, a meno che non si fosse trattato di un motivo serio.
La voce di Vittard era affannata.
«Hanno buttato all’aria ogni cosa all’interno del C’est Dommage. Poco fa la Gendarmerie ha recuperato il corpo di Akir nelle acque del porto di Montecarlo. Aveva il collo spezzato, povero Akir.»
Kuniko Sagashi aveva salutato con sollievo la partenza del capo supremo per l’Europa: oltre a godere di una notevole riduzione della mole di lavoro, poteva finalmente dedicarsi all’attività che più le stava a cuore. Aveva raccolto, fotografato e filmato una discreta quantità di documenti e riteneva fosse giunto il momento di farli pervenire agli addetti del Mossad. Sperando che l’incaricato fosse lo stesso giovane dalla carnagione scura con cui aveva avuto contatti nei giorni precedenti. Spesso si era trovata a pensare a lui, al suo sorriso gentile, ai suoi modi da gentiluomo che stridevano con la militanza nel servizio segreto più efficiente al mondo.
Presso la sede dello Ha-Mossad le-Modiin ule Tafkidim Meyuhadim, chiamato più semplicemente «l’Istituto» dagli addetti ai lavori e Mossad nel resto del mondo, il capitano Bernstein entrò nella stanza del capo.
Derrick Erma guardò con attenzione le fotografie, poi, quasi volesse aver conferma alle sue supposizioni, rimase a osservare il responsabile delle comunicazioni, sollecitandolo con uno sguardo a chiarirgli l’identità degli uomini immortalati nelle istantanee.
«La nave di Yasuo Maru ha ormeggiato a Montecarlo alcuni giorni or sono, dopo un lungo viaggio che dal Giappone l’ha condotta in Europa. Lo Shimakaze , questo il nome del caccia della seconda guerra mondiale riadattato a yacht di lusso, dovrebbe ospitare il Signore delle Acque nel corso della sua permanenza in Europa, così come ci è stato riferito dall’agente Bushido. Maru era da poco arrivato dal Giappone con il suo aereo privato quando, a bordo della nave, è stata organizzata una cena d’affari. E si tratta di affari consistenti, a giudicare dal peso specifico di ogni partecipante.»
Bernstein fece una breve pausa, poi riprese, indicando una delle fotografie. «Nicola Crisafulli. Ufficialmente magnate dell’edilizia e dell’alta finanza italiana. Le sue innumerevoli società hanno sede a Milano, dove anch’egli risiede dopo aver lasciato una trentina di anni or sono la nativa Palermo. I suoi legami con la mafia non sono poi così nascosti: Crisafulli ha già subito un paio di condanne lievi e risulta implicato in almeno quattro processi per associazione di stampo mafioso. Qualcuno sostiene che sia lui il vero capo supremo dell’organizzazione criminale. Comunque, se anche potessimo nutrire dei dubbi sull’appartenenza dell’industriale a Cosa Nostra, l’identità dei suoi ‘gentili accompagnatori’ credo sia in grado di fugarli del tutto. I soprannomi dei sei uomini che, a seguito del Crisafulli, scendono la passerella dello yacht vanno da Faccia tagghiata all’Americano e sono tutti pezzi da novanta della mafia italiana e statunitense. Non mi stupirei se alla riunione a bordo dello Shimakaze avesse partecipato l’intera Cupola mafiosa.»
«Abbiamo altre notizie dallo Shimakaze ?» chiese ancora il capo del Mossad.
«Purtroppo i nostri agenti hanno dovuto abbandonare la postazione: pare che un furto a bordo di uno yacht ormeggiato a Montecarlo sia sfociato nell’omicidio di un marinaio e il porto si è riempito di poliziotti.» Bernstein prese fiato e continuò: «Vista la stretta sorveglianza da parte della sicurezza di Maru, sembra impossibile collocare microfoni o sistemi di intercettazione a bordo. La solida struttura della nave, poi, impedisce l’uso dei microfoni direzionali e di quelli a ricezione laser. Il classico pedinamento, per ora, è l’unico modo per tenere Maru sotto osservazione».
Pochi minuti più tardi, Erma era di nuovo solo all’interno dell’ufficio. Sollevò la cornetta e compose un numero riservato.
«Volevo essere tra i primi a complimentarmi con lei… Devo chiamarla Eccellenza da oggi in poi?»
«Continui pure a chiamarmi ‘supercapogalattico’», rispose la voce scherzosa di Oswald Breil dall’altro capo della linea. «Come vanno le cose lì da voi all’Istituto, dottor Erma?»
«Se lo può bene immaginare, dottor Breil. In momenti come questo, poi… Ma siamo convinti che con lei alla guida del governo…»
«I miracoli sono impossibili per tutti, amico mio. E l’incarico che mi è stato appena conferito è talmente impegnativo da riuscire a mettere in difficoltà chiunque.»
La mente di Erma cominciò a vagare tra le mille e mille avventure che aveva vissuto al fianco di quello che considerava il suo maestro.
«No», pensò Erma, «Oswald Breil non si lascerà piegare dalle difficoltà. Di sicuro con lui le cose miglioreranno.»
Dello stesso parere era stato anche il parlamento, quando, con votazione pressoché unanime, aveva eletto Oswald Breil a capo del governo israeliano.
Sara Terracini abbandonò per un istante l’antico papiro di cui si stava occupando. Sedette dinanzi allo schermo piatto del computer e digitò alcuni comandi. Scrisse un breve messaggio di posta elettronica, poi indugiò nuovamente sui tasti. «… E va bene, criptato!» disse tra sé mentre predisponeva il testo per renderlo indecifrabile a occhi indiscreti. «Tu e la tua dannata mania della riservatezza e degli ascoltatori indesiderati, Oswald Breil!»
Un tocco sul comando di invio e la macchina comunicò la riuscita dell’operazione.
Sul messaggio era scritto: ‹MENTRE IO SONO QUI TRA LE SOLITE VECCHIE SCARTOFFIE, VEDO CHE TU NON DISDEGNI LA CARRIERA!!! SONO FIERA DI TE, SIGNOR PRIMO MINISTRO! SHALOM, SARA. P.S. FATTI VIVO APPENA HAI UN MINUTO›.
Roma imperiale, anno di Roma 804 (51 d.C.)
«Adesso che per tutti sei un uomo», aveva detto Lisicrate pochi giorni dopo la cerimonia, «credo sia tempo di vedere ciò che gli occhi degli uomini sono soliti vedere, Nerone.»
Entrambi uscirono da una delle porte secondarie del palazzo. Indossavano abiti che certo non erano adeguati a un futuro imperatore e al suo precettore. Per nascondere la sua chioma rossa, Nerone aveva calzato un cappello di lana spessa.
Era la prima volta che il giovane usciva dal palazzo senza scorta e senza percorrere itinerari conosciuti. La curiosità e l’eccitazione si impadronirono di lui mentre attraversava una Roma molto diversa da quella che conosceva.
L’Urbe, che contava circa un milione di abitanti, era composta di vie strette, che a volte consentivano a malapena il passaggio di due persone affiancate. Le case erano per la maggior parte di legno, cresciute in altezza a dismisura, fino a raggiungere i cinque o i sei piani: nonostante gli interventi urbanistici che si erano susseguiti nei secoli, era molto difficile far osservare i regolamenti edilizi. Per le strade la gente pareva indaffarata nelle faccende quotidiane: c’erano maghi che predicevano il futuro, botteghe che vendevano pane e alimenti, olio, vini, carni. I negozianti attiravano l’attenzione sulle loro merci con una strana cantilena e i vicoli risuonavano di voci.
Lucio stava al fianco di Lisicrate e si guardava attorno per nulla spaesato, ma con la stessa espressione attenta che mostrava quando ascoltava una lezione.
Avevano abbandonato i decumani affollati, preferendo anguste strade laterali: migliaia di plebei avevano assistito alle pubbliche cerimonie di investitura, e il rischio che qualcuno potesse riconoscere il figlio dell’imperatore era reale.
Le due figure sbucarono improvvise in un vicolo maleodorante e stretto.
«Scommetto che adesso andrai a godertela con il tuo giovane compagnuccio…» disse uno dei due.
Читать дальше